Il fiocco della discordia

Partiamo da una considerazione: Josep Guardiola non è nulla di nuovo.
Calmi, non stiamo parlando dello straordinario modo in cui fa giocare il suo Manchester City schiacciasassi, né dell’apporto che ha dato nel far evolvere il gioco del calcio, rendendolo ancora più spettacolare, nell’epoca in cui “essere spettacolo” è tutto.
No, noi ci stiamo riferendo alla sua immagine rispetto alla questione dell’indipendenza della Catalogna, abbondantemente alimentata dai media e da lui stesso.
Ecco, in questo senso, non è una novità che la rassicurante immagine di un campione del mondo dello sport venga utilizzata per scopi politici, che siano essi una rivoluzione, una secessione, un consolidamento o altre iniziative più normali.
Del resto, uno che ti faceva divertire col pallone, non concorrerà mai per sconvolgerti la vita, o no?
Francamente, è un’immagine trita e ritrita, basta vedere, senza andare lontano con gli anni, il significato dell’esultanza di Cengiz Ünder o di altri calciatori turchi in questo periodo.
È quindi inevitabile, e abbastanza normale, che, nel caso in cui un personaggio con la rilevanza mediatica di Pep Guardiola si esponga a tal punto, possa finire per essere strumentalizzato.

Nell’occhio del ciclone

Sarebbe doveroso, per capire meglio il comportamento di Guardiola, tentare di comprendere l’aspetto sociologico della Questione Catalana.

Posizione che non dovrebbe nemmeno suonare nuova.

La terra di Gaudí ha visto succedersi moti indipendentisti fin dagli anni ’20 del secolo scorso e, benché siano stati repressi durante la terribile censura della dittatura franchista e smorzati negli anni subito successivi alla transizione democratica, non sono mai spariti dalla testa di molti abitanti della regione.
Oltretutto, come vi raccontavamo nei giorni successivi al referendum del 1º ottobre, il calcio ha rappresentato un importante strumento di espressione per i propugnatori del catalanismo, soprattutto durante la dittatura.
Per averne un’idea, basti pensare al Camp Nou come zona franca dove poter usare la lingua catalana, proibita dalle arbitrarie leggi del Caudillo in tutta la regione durante il suo dominio.

Alla luce di ciò, non dovremmo essere sorpresi che un uomo nato nel ’71 a pochi chilometri da Barcellona da una famiglia Culé, abitante in Catalogna dal ‘500, patteggi per la causa separatista.
A stupire è, forse, più il perché un personaggio mediatico di tale livello, fondamentalmente rispettato e ammirato da tutti, decida di andare incontro ad una serie di reazioni negative, per una causa che avrebbe potuto, volendo, anche sovvenzionare in maniera più discreta.
In fondo, ognuno ha le proprie idee, ma esprimerle pubblicamente, quando hai questa casa di risonanza, non è sempre conveniente.
Non che sia sbagliato farlo, anzi, Muhammad Ali combatteva anche per questo, però le conseguenze saranno inevitabili.
Come inevitabile è stato il deferimento della Football Association dopo che Guardiola ha più volte sfoggiato un nastro avente i colori della Senyera – la bandiera catalana – durante partite e conferenze stampa.
Il gesto, un plateale sostegno al Procés – nome che i catalani danno alla corsa all’indipendenza – e a chi per esso è stato imprigionato o costretto a fuggire, ha portato all’apertura di un’inchiesta perchiaro messaggio politico“, atteggiamento vietato dalle strette regole della massima federazione calcistica della Perfida Albione.
È così, gli inglesi su determinati comportamenti non transigono, basti pensare alla tempesta di critiche che piove addosso a James McLean ogni volta che si rifiuta di indossare il Poppy durante il Remembrance Day, che per un ragazzo nato a Derry, sarebbe, da un certo punto di vista, anche piuttosto comprensibile.

Volendo smorzare un po’ i toni, ma neanche troppo, si potrebbe dire che i due non sono poi così diversi: uno odia la regina, l’altro il re.

Spagna e Inghilterra, stessa storia

Spagna e Regno Unito non condividono solo la forma di governo, la passione per i rispettivi sovrani e l’aver combattuto a lungo contro formazioni terroristiche interne di stampo indipendentista.
Di comune, con anche quasi tutte le altre nazioni dell’Occidente a dire il vero, hanno lo storcere il naso quando uno sportivo manifesta idee politiche forti.
Non si tratta di repressione del dissenso, attenzione, solo che è come se questo dissenso, da parte di chi viene ritenuto un privilegiato, sia socialmente accettato molto meno rispetto a quello di altri personaggi, anche più discutibili.
Non è nel nostro file culturale quindi è difficilmente accettabile, e anche per noi è lo stesso, pensate solo a cosa potrebbe succedere se, per esempio, Donadoni si dichiarasse favorevole all’eventuale indipendenza della Padania, per dirne una po’ insensata ed un po’ impossibile.
Tornando a Guardiola, è quindi normale che chi si comporta così vada incontro a delle conseguenze, che esse siano di poco conto o di maggior peso.
E se, come dicevamo prima, è prassi che i rigidi e inflessibili inglesi applichino alla lettera il loro regolamento, lo è molto meno che la Guardia Civil perquisisca due volte in 3 giorni l’aereo e l’auto sul quale hanno viaggiato i familiari di Pep di ritorno da Manchester.
Il tutto pare per scoprire se all’interno si nascondesse Carles Puigdemont, leader del movimento indipendentista catalano.
Benché la giustificazione della psicosi generatasi in Spagna per un ipotetico ritorno in patria dell’ex presidente della Generalitat possa reggere, non è da escludere che da Madrid vogliano farla pagare al tecnico originario di Santpedor per il suo appoggio alla causa.
E, da un lato, non è nemmeno un’idea così campata per aria, dato che sottovalutare l’importanza di uno sportivo popolare per una causa politica è quasi sempre una mossa deleteria.

Guardiola, veramente?

In base all’intonazione che avete dato a questo titolo, probabilmente avrete un parere diverso sulla vicenda.
Uno stupore che può essere positivo o negativo, ma che difficilmente mancherà.
Si, perché chiunque si è stupito nel vedere una persona come lui esporsi a tal punto.
Anche perché l’immagine di Guardiola che ci eravamo fatti tutti è quella di un filosofo pensatore e, in quanto tale, è un’eremita rispetto alla piazza politica, essendo interessato più al mondo spirituale che a quello terreno.
Il fatto divertente è che alla luce degli ultimi fatti, verrebbe da dire che, anche se in un altro modo, avevamo pure ragione.
D’altronde per gli spagnoli unionisti potrebbe essere considerato un corruttore di giovani, esattamente come Socrate nell’Atene del V secolo avanti Cristo.

La filosofia Guardiolesca evidentemente non si ferma solo al campo da calcio, anzi, abbraccia diverse sfere della vita quotidiana, una delle quali è appunto la politica.

Giusto perché in tutto questo ci dimentichiamo della sua filosofia calcistica.

Se però l’applicazione sul campo ha generato complimenti da tutto il mondo, quella in campo politico è destinata a dividere, perché piacere a tutti in tutto è impossibile.
Vedendola in senso parecchio figurato, si potrebbe anche far notare come il calcio svolga un ruolo di unione delle ideologie molto più solido rispetto ad altre branche, ma, come direbbe uno che probabilmente penserebbe la stessa cosa, questa è un’altra storia.

Sul versante opposto, probabilmente anche i suoi hater calcistici saranno rimasti sorpresi di questo suo esporsi a tali difficoltà, considerando che, nella maggior parte dei casi, questa gente gli rimprovera la mancanza di coraggio nell’affrontare alcuni giocatori di personalità, come successo durante l’avventura di Ibra a Barcellona, stando alle parole dello svedese.

In merito alle azioni e alle parole di Guardiola per la Questione Catalana è difficile esprimere un giudizio e schierarsi lo è ancora di più.
Un po’ perché qui, in Italia, avere un giudizio adeguato e completo sulla vicenda è impossibile, un po’ perché si capisce, tra le righe, che, per paura della sua influenza, la sua libertà d’espressione sia sotto costante minaccia.
I provvedimenti della FA che sono stati, e verranno, presi nei suoi confronti, sono poi abbastanza sfumati, contando che si tratta di un comportamento politico riferito a posti esterni al Regno Unito e, soprattutto, avvenuto dopo che Guardiola aveva più volte espresso il suo parere in merito.
La tutela della libertà di espressione, in questi casi, dovrebbe essere garantita, visto quanto appena detto e che non va a ledere né ad offendere nessuno, invece di essere sacrificata sull’altare del Politically Correct.

Oltretutto rispettare la volontà popolare dovrebbe essere normale. Questo a prescindere dalla fazione che si preferisce, dato che, come detto, scegliere è impossibile.

E in tutto questo, ci stiamo dimenticando che Guardiola è un uomo come tutti noi, libero, in quanto tale, di pensarla come vuole in ogni campo della vita, non solo nel calcio.

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