Giuseppe Rossi corre con le braccia tese in avanti e i pugni chiusi. Le nocche guardano il prato verde del cuoio, il capo si sporge verso il cielo rigonfio di speranze, il busto si inclina leggermente all’indietro, un saltello, l’arresto, gli occhi sempre chiusi, il volto palpita di una gioia che purifica.
In quei dieci secondi sei libero, sei solo te stesso.
Giuseppe Rossi torna sempre
Intorno i compagni sono raggianti, sugli spalti i tifosi sono in festa. Giuseppe Rossi è lì, in mezzo al campo, in un corpo perfettamente umano, con una luce diversa negli occhi, quando li riapre. Sono occhi sereni che riempiono uno sguardo dolce, carico, ogni gol in più, di un destino beffardo e di un’immagine nostalgica che Giuseppe ricorda in maniera tenera, piena di amore e rimembranze felici: è l’immagine di Fernando, suo padre, suo consigliere, suo primo allenatore nei giardini di Clifton, cittadina nel New Jersey dove la famiglia Rossi vive dal 1966.
Gli inizi e il rapporto con il papà Fernando
Mio padre ne capiva di calcio.
Fernando Rossi è morto il 23 febbraio del 2010, aveva 60 anni.
Poco dopo la sua scomparsa, le testate giornalistiche del New Jersey gli hanno dedicato qualche trafiletto appellandolo Legendary Coach. Trasferitosi nel New Jersey nel 1966 dall’Abruzzo (nativo di Fraine) insieme alla moglie Cleonilde (nativa di Acquaviva d’Isernia) i due hanno insegnato italiano e spagnolo nella Clifton High School. Dal 1978 al 2001 Fernando ha preso in mano la squadra di calcio della scuola: 353 vittorie, 51 pareggi, 95 sconfitte, con un record di 20 vittorie su 22 nel 2001 che valsero ai Mustangs il quinto titolo consecutivo. L’ultimo di Fernando poiché decise di raggiungere Giuseppe in Italia, che sentiva la mancanza della famiglia (a 12 anni) e che nell’estate precedente era stato notato dal Parma in un campus di Salsomaggiore, durante la consueta vacanza estiva in Italia della famiglia Rossi (questa volta non in Abruzzo) mentre Trezeguet ci condannava a una notte di lacrime.
Era il Parma che aveva appena ceduto Crespo alla Lazio, ma che annoverava giocatori come Buffon, Cannavaro e Thuram, poi Frey e Di Vaio, quindi Adriano, Mutu e Gilardino, regalando le ultime apparizioni alla carriera gloriosa di Taffarel. Era il Parma che nel 2004 venne sommerso dal crac Parmalat provocato da Callisto Tanzi, il più grosso caso di bancarotta fraudolenta mai avvenuto in Europa. Quello che costrinse Arturo Lupoli (oggi alla Fermana in Serie C) e Giuseppe Rossi, i due talenti più limpidi della primavera gialloblu e del calcio italiano giovanile dell’epoca, a emigrare in Inghilterra: Arturo all’Arsenal di Arsène Wenger, Giuseppe allo United di Sir Alex Ferguson.
Fernando tornerà, poi, nel suo New Jersey da Cleonilde e Tina, e continuerà a vivere a Clifton fino al 23 febbraio 2010. Prima di andarsene e di salutare la sua famiglia ha lasciato al figlio, che per lui è semplicemente Beppe, un biglietto con annotato tutte le doti da ricordare per continuare a salire in cima, e non cadere mai: talento, forza fisica e mentale, disciplina, ambizioni, allenarsi bene e fondamentals. Ma ciò che più colpisce sono le frasi all’inizio e alla fine. That’s the profession that you chose e mescolando gli idiomi Guarda e studia the game as much as possible.
Per Fernando Rossi il calcio era tutto, per Giuseppe Rossi il calcio sarà tutto.
Per capire Giuseppe Rossi calciatore e l’aurea che si è guadagnato, composta da un reale e sincero rispetto di tutti gli addetti ai lavori, sarebbe riduttivo esaltarne solo l’animo temerario e dipingerlo con colori spesso malinconici, percorrendo le tappe di una via crucis iniziata 7 anni fa che non gli ha mai concesso di disputare un Europeo o un Mondiale: bisogna realmente guardare ciò che ha fatto in campo e in che modo l’ha espresso.
Prima di cominciare, a mio avviso, è importante provare (come ho provato io) a intuire l’attaccamento di Giuseppe con suo padre Fernando e con tutta la sua famiglia, che presto si allargherà a Jenna Sodano, la fidanzata italo-americana alla quale ha proposto di sposarsi il 20 maggio 2017. È importante perché Giuseppe Rossi, nei momenti di maggiore difficoltà, ricomincerà sempre da queste persone e da questi luoghi: da Clifton e da Manhattan, dove possiede un appartamento, e dove trascorre gran parte delle vacanze estive e natalizie. Giuseppe Rossi ricomincerà sempre dalla semplicità del quotidiano, del privato. Un ricominciare dall’ “io” più intimo e ascetico, che irrimediabilmente lo ricollega al calciatore italiano archetipo del ritorno osannato, senza colori d’appartenenza: Roberto Baggio nel 2002, che già nel 1986, quando passò dal Vicenza alla Fiorentina da infortunato, si rifugiò nella sua Coldogno abbracciando la fede del buddhismo.
I primi gol con il Manchester United
La semplicità è una di quelle doti che non si possono acquisire con l’allenamento e che Giuseppe Rossi possiede a dismisura, dentro e fuori dal campo. Non è umiltà, non è modestia. È fare -dare e ricevere- le cose in maniera semplice, un concetto molto differente. Sicuramente d’estrazione familiare.
Il 6 luglio 2004, giorno di presentazione allo United, scatterà una serie di foto con Sir Alex Ferguson nel Trafford Training Centre, fatto costruire dallo scozzese a inizio anni ‘90 nei pressi di Carrington per l’Academy dei Red Devils. La foto più significativa di tutte è quella con la famiglia. È una foto semplice, in posa, tutti sorridenti con la sciarpa del Manchester United tesa; una foto che potrebbe scattare chiunque di noi in altre circostanze, ma in quella c’è uno dei manager più influenti della storia del calcio con una famiglia italo-americana e il sogno di un ragazzino.
Nonostante Ferguson straveda per lui, Giuseppe Rossi passerà due anni con la maglia numero 10 della squadra riserve insieme a Gerard Piqué, totalizzando 14 presenze in prima squadra (il catalano ne raccoglierà 10). Dodici arriveranno nella seconda stagione, contribuendo in maniera sostanziale alla vittoria della Coppa di Lega con 3 presenze e un gol al Barnet. In quella stagione, Giuseppe Rossi segnerà anche una doppietta nel replay di FA Cup contro il Burton e debutterà in Champions League nei preliminari contro gli ungheresi del Debreceni, e nel girone contro il Lille, sostituendo Cristiano Ronaldo sullo 0-0: il Manchester arriverà ultimo nel gruppo vinto dal Villarreal, futura semifinalista del torneo, e squadra del destino di Giuseppe Rossi.
Ma il giorno più importante della sua carriera giovanile si materializza il 15 ottobre 2005.
Al 78’ subentra con la maglia numero 42 a Ruud van Nistelrooij, sul risultato di 2-0 allo Stadium of Light del Sunderland. I padroni di casa accorciano subito dopo, e la partita assume un’intensità differente: Alan Smith intercetta per Wayne Rooney che ripulisce di prima verso Giuseppe Rossi.
Nel bigliettino che papà Fernando gli ha lasciato nel 2010, la prima voce scritta sotto la parola fondamentals è controll. I fondamentali sono quella cosa che i grandi campioni della storia del calcio sanno fare alla perfezione e, rispettando semplicemente l’ordine cronologico, il controllo orientato è il primo fondamentale che eleva un giocatore al di sopra della media.
Io ho una fisima che, in quanto tale, è limitata: valutare tecnicamente i giocatori, giudicandoli solo nei gesti dei loro primi frammenti di carriera a determinati livelli, quando con l’incoscienza del debuttante si permettono di esprimere interamente loro stessi. La tattica, il lavoro muscolare e l’esperienza poi li perfezioneranno, permettendogli di raggiungere l’apice estetico di un gesto che proviene da molto più lontano: dalla naturale coordinazione che solo alcuni predestinati posseggono.
Al minuto 87 c’è tutto quello che è, e sarà, Giuseppe Rossi: essenziale, minimale, tremendamente efficace. Primo tocco di mancino con sfera che leggermente gli sfugge, scatto impercettibile, secondo appoggio ed esecuzione fulminea, con la testa bassa di chi non ha bisogno di guardare nulla, supportato da un baricentro basso che esplode completamente in quel saltello finale. Il tiro di sinistro, a incrociare rasoterra, è un altro di quei fondamentali – shooting è la seconda voce di fondamentals – che Giuseppe Rossi sa esprimere fin da subito limpidamente. Il ragazzo nato a Teaneck nel New Jersey, cresciuto tra Clifton e Parma, ha segnato al debutto in Premier League: un gol che lo accompagnerà in quasi tutti i battesimi di fuoco.
Il primo giocatore che lo abbraccerà sarà Wayne Rooney.
Giuseppe Rossi è un ragazzo che alla numerologia sembra tenere abbastanza: quando può indossa la maglia numero 22 (giorno di nascita del padre) oppure la numero 49 (anno di nascita del padre) come a Firenze e ora a Genova; sul suo profilo instagram si chiama beppe787 che molto probabilmente rappresenta il minuto in cui ha debuttato in Premier League (78) e il minuto in cui ha segnato (87).
Dopo due anni, su suggerimento dello stesso papà Fernando, Giuseppe lascia il Manchester United, per trovare continuità. In ogni intervista dell’epoca sottolineerà lo scarso minutaggio in quei due anni, senza mai citare i giocatori presenti nel suo ruolo (Ronaldo, Rooney, Van Nistelrooij e Saha). Prima di partire riceve comunque il premio Jimmy Murphy come miglior giocatore delle giovanili ad aver debuttato in prima squadra (2004/2005) e il Denzil Haroun come miglior giocatore della squadra riserve (2005/2006).
Il fatto più curioso, ripreso a più battute nell’esperienza di Giuseppe Rossi al Manchester United, avviene tuttavia il 26 febbraio 2006. In una partita senza storie, in cui Rossi non è neanche convocato, i Red Devils battono 4-0 il Wigan e si aggiudicano la Coppa di Lega. Al momento della premiazione, Giuseppe Rossi rimane senza medaglia perché non ha disputato neanche un minuto nella fase finale della competizione. Nemanja Vidić, che era approdato dallo Spartak Mosca nella finestra del calciomercato invernale, e in quella finale era subentrato negli ultimi 7 minuti, regala la propria medaglia all’italiano. Un gesto semplice che rispecchia l’attenzione che Giuseppe Rossi si era guadagnato, con talento e dedizione, in una squadra di superstars, in quel biennio seconda sola al ciclone blues di Mourinho.
La salvezza di Parma e Pechino 2008
Nell’estate del 2006, mentre Piquè passa al Saragozza e Lupoli al Derby County in seconda divisione, Giuseppe Rossi approda al Newcastle United, indossando la maglia numero 15.
Ed è proprio in quell’estate che ho il primo impatto con Giuseppe Rossi.
Il ricordo è preciso e vivido: è ferragosto ed è la prima partita della sfortunata gestione Casiraghi sulla panchina dell’Under 21. A metà secondo tempo, contro la Croazia sul campo del Grosseto, Giuseppe Rossi con la maglia numero 20 prende il posto di Alessandro Rosina, all’epoca il talento più fulgido dell’Under 21.
Ogni volta che controlla il pallone, con il solo primo tocco crea superiorità posizionale, imbarazzando tutta la difesa croata. Sfiorerà quattro volte il gol, servendo un assist delizioso per Padoin che sprecherà sui guantoni di Subašić. È disarmante la semplicità con cui Giuseppe Rossi si coordina palla al piede: quando l’avversario si avvicina, anticipa l’intervento del difensore spostando il cuoio all’ultimo momento, possibilmente con il collo sinistro, e spingendo su una muscolatura compattissima. Sarà una prerogativa che lo accompagnerà sempre nel suo gioco essenziale, e che diventerà sempre più efficace in un raggio d’azione più circoscritto.
Padoin ha dovuto aspettare due anni e mezzo per debuttare in Under21 dalla prima convocazione, e sembra un’ala sinistra devastante. D’Amico è imbarazzato dal senso di adeguatezza di Giuseppe Rossi.
Alla fine del match Pierluigi Casiraghi lo eleggerà subito punto fermo del biennio 2006-2008; lo stesso Donadoni, che il giorno dopo debutterà a Livorno come CT perdendo 2-0 contro la Croazia, lo indicherà come un attaccante da tenere senz’altro in considerazione per l’Europeo del 2008.
Il debutto in Nazionale non avverrà con Donadoni, mentre il biennio in Under 21 sarà segnato da alti e bassi: stecca in parte l’Europeo di categoria nel 2007 e brilla alle Olimpiadi di Pechino del 2008 con l’Italia eliminata ai Quarti dal Belgio. In quella competizione Giuseppe Rossi, con la maglia numero 11, si laureò capocannoniere con 4 gol in 4 partite, mentre l’Argentina fuori categoria vinse con Messi che passeggiò insieme a Riquelme e Agüero, lasciando gli oneri della ribalta a Di María.
È proprio con le prestazioni in Under 21 che nascerà il soprannome di Pepito. Enzo Bearzot, in una delle sue ultime intuizioni calcistiche (ci lascerà anche lui nel 2010) guardando le partite degli azzurrini inquadra perfettamente la natura calcistica di Giuseppe Rossi, richiamando con quel soprannome le gesta di Paolo Rossi, che in Spagna nell’estate del 1982 divenne semplicemente Pablito. Con Paolo, oltre al cognome e al ruolo, Giuseppe ha in comune un corpo piccolo e un tempo di reazione agli eventi circostanti che muscolarmente non lascia scampo. A differenza dell’ex campione del mondo ha una padronanza con i fondamentali superiore (tranne nel colpo di testa) e una naturale predisposizione a incidere anche lontano dall’area di rigore: Paolo Rossi segnò una sola rete in carriera da fuori area, proprio nel Mondiale del 1982 contro il Brasile (gol del 2-1) in quella che molti brasiliani ricordano come Rossi 3, Brasile 2. Che poi è anche l’ultima vittoria nella storia dell’Italia contro il Brasile.
Facendo un doppio passo indietro, l’ambientazione di Giuseppe Rossi al Newcastle è inaspettatamente difficile: giunto ad upon Tyne dopo il debutto in Under 21, gioca solo 11 partite in campionato (3 da titolare) senza segnare. L’unico gol arriva il 25 ottobre contro il Portsmouth in Coppa di Lega.
Il 18 gennaio, ancora su suggerimento di papà Fernando, Giuseppe Rossi ritorna al Parma via Manchester. Dopo il crac Parmalat che costrinse il Parma a vendere Pepito in Inghilterra, la società parmense viene commissariata nel giro di due anni da Enrico Bondi (oggi alla ribalta per il Caso Ilva di Taranto). Se nel 2004 il Parma usufruisce della Legge Marzano per svincolarsi dalla società Parmalat, evitando il fallimento e venendo acquistata da Guido Angiolini, nel 2007 è il turno di Tommaso Ghirardi, l’uomo che 7 anni dopo manderà definitivamente nel baratro la società. Al momento dell’acquisizione di Ghirardi, il Parma è penultimo in classifica con 12 punti.
La squadra tuttavia ha delle individualità importanti, l’unico innesto quindi è quello di Giuseppe Rossi.
Tre giorni dopo, il 21 gennaio, Pepito debutta al Tardini dal primo minuto contro il Torino con la maglia numero 8: al 75’ prova ad addomesticare con la suola sul versante destro dell’area di rigore, la sfera rimbalza mezzo metro più avanti, a quel punto è come se si accendesse una miccia: in 4 secondi, Rossi esplode sulle gambe e dribbla (il terzo fondamentale) nello spazio di 5 metri 3 giocatori sgusciando tra loro e, accentrandosi, tocca la palla sempre con il mancino, prima di concludere verso Taibi che può solo deviare, senza cambiarne le sorti: gol, ancora al debutto in un massimo campionato.
Non ricordavo il gol fosse così bello. Nel rivederlo, la prima immagine che m’è ritornata in mente è il gol del 2-0 di Maradona contro il Belgio nella semifinale del suo Mondiale 1986; poi, a riguardare meglio, mi ricordavo una rete ancora più simile di Diego, quella contro il Brescia alla prima giornata del campionato 1986/1987.
Giuseppe Rossi viene sommerso dai compagni in festa, il Parma torna a vincere dopo 10 partite, ma le sconfitte contro Milan e Roma convincono Ghirardi a esonerare Stefano Pioli e a richiamare in Italia dopo 10 anni Claudio Ranieri. L’avvio non è entusiasmante: 3 sconfitte (2 in Coppa Uefa contro lo Sporting Braga) seguite da 4 pareggi.
Il 7 aprile è il giorno che consegna Giuseppe Rossi alla storia del Parma. All’ultimo minuto contro il Livorno, sugli sviluppi di un corner, Pepito si stacca dalla mischia e raccoglie al volo la respinta di Manitta, quel giorno sostituto di Amelia. La coordinazione è perfetta: attende con calma che il pallone giunga a una altezza soddisfacente per essere colpito, si piega perfettamente con il busto, e impatta la sfera con un mezzo collo esterno sinistro, tagliando l’aria a metà, esattamente dal limite dell’area di rigore.
C’è una schiera di 14 uomini contrapposti tra lui e la porta, molti dei quali si parano dinanzi in maniera casuale, avendo perso il riferimento con la sfera: infilare quella palla nell’angolo alla sua sinistra è francamente impossibile.
Ciò che mi stupisce, oltre alla coordinazione, è la capacità di ricercare il proprio spazio vitale all’interno di un campo, quello del gioco aereo in spazi ristretti, che lo vedrebbe in svantaggio fisicamente: è fondamentale eseguire tutto con i tempi giusti per staccarsi efficacemente dal diretto marcatore, anche se qui parte già preventivamente senza, ma è bravissimo a non farsi attrarre dalla palla e arretrare anche senza avversari intorno.
Da lì in poi, il Parma vince cinque partite, ne pareggia due e ne perde soltanto una, classificandosi 12° con 42 punti in una classifica cortissima (il Chievo retrocederà con 39 punti). Al termine dell’ultimo match contro l’Empoli, viene organizzato addirittura un tour in pullman nelle strade di Parma per celebrare la salvezza. Claudio Ranieri e Giuseppe Rossi hanno scritto una pagina epica del Parma, pur non richiamando i fasti degli anni precedenti.
Rossi segnerà in totale 9 gol (con 2 doppiette) senza saltare neanche un match (19). È il giocatore italiano under 20 che segnerà più gol al debutto in Serie A, come Roberto Mancini, disputando però mezza stagione.
L’uomo del Submarino Amarillo e Sudafrica 2009
Il gol più bello, a mio avviso, dell’esperienza a Parma lo realizza contro la Fiorentina.
Imbeccato da Igor Budan, manda fuori giri Potenza con quello che in NBA chiamerebbero crossover e conseguente ankle break del difendente. Il tiro di punta, per anticipare la scivolata di Dainelli e l’uscita di Frey, testimonia il senso di adeguatezza innato di Giuseppe Rossi difronte alla porta.
Un gol anche d’astuzia, un’altra dote che non si costruisce durante la settimana, ma che si coltiva nell’istante, di intuizione o immaginazione, di cui Giuseppe Rossi è portatore sano dalla nascita.
Questo gol ci proietta direttamente al Santiago Bernabéu, crocevia della carriera di Pepito.
Al 15’ Cani serve centralmente Giuseppe Rossi con la maglia numero 22 che elude l’avversario come se fosse nuovamente Potenza: si lascia sfilare il cuoio davanti al corpo e con una finta secca sposta la palla a sinistra, vince il contrasto e, arretrando leggermente, batte Iker Casillas con un tiro a giro forte sotto l’incrocio. Fabio Cannavaro rimane impietrito sul posto, scartato nello stretto in un’azione sporca come pochi saranno in grado superarlo. È il 27 gennaio 2008: Real Madrid 1, Villarreal 1. Il sogno del record di imbattibilità di un alquanto contrariato Casillas viene infranto così, lo scontro per la vetta è ora pari dopo il vantaggio di Robinho. Sugli spalti è accorsa tutta la Famiglia Rossi, mamma Cleonilde in mezzo alle maglie dei blancos, esulta al gol del figlio per i Sottomarini Gialli.
La partita terminerà 3-2 per il Real Madrid futuro campione, mentre il Villarreal otterrà il secondo posto, massimo traguardo mai raggiunto. Giuseppe Rossi segnerà 11 gol in 27 presenze, e andrà in rete ancora al debutto nel derby contro il Valencia, sul rigore procurato da Mati Fernández.
Giuseppe Rossi è uno dei miglior rigoristi degli anni 2000: l’esecuzione di questo fondamentale rispecchia il suo essere essenziale. Calcia principalmente in due maniere che si differenziano solo nella parte finale: la rincorsa è tipicamente decentrata verso destra, lunga e usualmente veloce, parte dall’inizio dell’area e termina con l’ultimo passo destro vicino al cuoio, per concludere con un tiro secco di piatto mancino, rasoterra, non sempre angolatissimo, spesso ad aprire; quella più usata, però, prevede un rallentamento finale, con un saltello rapido alla Maradona, per attendere fino in fondo la decisione del portiere e indirizzare la sfera rasoterra. Raramente ha calciato quasi da fermo, qualche volta ha eseguito tanti piccoli passettini prima di tirare, in ogni caso la palla difficilmente si alza.
Condizionato solo da un problema al menisco tra novembre e dicembre, la prima stagione in Liga di Pepito è positivamente impattante, ma non gli permette di essere convocato per l’Europeo in Austria e Svizzera, vinto poi dalla Spagna. Mentre parteciperà alle Olimpiadi di cui sarà capocannoniere.
L’esperienza di Giuseppe Rossi al Villarreal è un continuo crescendo, prima sotto la guida di Manuel Pellegrini, poi con Juan Carlos Garrido, passando per Ernesto Valvarde. Se fino all’estate del 2007 era stato impiegato principalmente come seconda punta, ma anche come trequartista o esterno su entrambe le fasce, prendendosi compiti da enganche in ogni squadra, nel periodo Villarreal viene esaltato da un palleggio continuo che prevede fulcri di gioco dislocati in ogni zona del campo: Gonzalo Rodríguez, Joan Capdevila, Bruno Soriano, Borja Valero, Mati Fernández, Santi Cazorla, Cani, sempre diretti dall’ordine mentale di Marcos Senna. Rossi ha il compito di rifinire l’azione con il gol o con l’ultimo passaggio per Nihat o Nilmar, mettendo in mostra il proprio bagaglio tecnico in massimo venticinque metri, e in spazi tipicamente ristretti e centrali, dove la sua reattività muscolare superiore alla media è evidente e determinante.
Dopo la prima stagione chiusa a 13 reti complessive, nelle due seguenti mette a segno 15 e 17 gol. Finalizza in ogni modo, anche di testa e su punizione. A quel punto la chiamata in Nazionale nel Marcello Lippi bis è inevitabile: l’11 ottobre 2008 debutta in un noioso 0-0 contro la Bulgaria a Sofia, valevole per le qualificazioni mondiali del 2010. Per il primo gol bisogna attendere il 6 giugno 2009 nel match contro l’Irlanda del Nord in cui sblocca l’incontro con la maglia numero 11 e un mancino violento, scoccato poco fuori dall’area di rigore. Era un’Italia molto sperimentale, basti pensare che gli altri marcatori dell’incontro sono stati Pasquale Foggia e Sergio Pellissier. Un’Italia che qualche settimana dopo avrebbe disputato la Confederation Cup in Sudafrica, in cui Giuseppe Rossi sarà presente con la maglia numero 17.
Con il primo controllo si è già liberato dell’avversario
Il 15 giugno 2009, al debutto della Nazionale Italiana in questa competizione, segna una doppietta proprio contro i suoi Stati Uniti da subentrato: al 59’ pareggia, dopo due minuti dall’ingresso in campo, con un sinistro a uscire da oltre venti metri, dopo aver rubato il possesso poco oltre il centrocampo; infine finalizza di destro al volo, in corsa, una delle giocate più eleganti della carriera di Pirlo, per fissare il punteggio sul 3-1 nei minuti di recupero.
Pirlo in loop
Sembra il preludio a qualcosa di veramente grande tra Rossi e la Nazionale, invece sono gli ultimi due gol sotto la gestione Lippi che lo escluderà dalla lista dei 23 per il Mondiale 2010. Una scelta inspiegabile, se si considera soprattutto la chiamata di Iaquinta in netta fase calante. Lo stesso Marcello Lippi indicherà la mancata convocazione di Giuseppe Rossi come l’unico rimpianto nella sua seconda esperienza in azzurro.
Smaltita la delusione, Pepito Rossi nella stagione 2010/2011 mette a segno ben 32 reti: 18 in campionato, 4 in Coppa del Re, 11 in Europa League. Segna in tutti i modi possibili, e se andate a rivedere i gol nessuno vi sembrerà il banale.
Il suo essere essenziale e anche brutale è la caratteristica che più impressiona nel suo agire che ha un solo e semplice obiettivo: il gol.
Sempre più trascinatore della squadra conduce i suoi fino alla semifinale di Europa League eliminando, con 5 gol in 6 partite, il Napoli (nella partita in cui cade una transenna del Madrigal al gol di Hamšík), il Bayer Leverkusen, il Twente, inchinandosi al poker di Falcao nella semifinale di andata, capocannoniere davanti a Rossi della competizione con 15 gol e vincitore con il Porto.
Intanto in Nazionale, il nuovo CT Cesare Prandelli sta costruendo intorno a lui l’ossatura offensiva dell’Italia insieme a Balotelli e Cassano, affidandogli anche la fascia di capitano contro la Romania il 17/11/2010 a soli 23 anni, che lo rendono uno dei giocatori più giovani ad averla mai indossata.
Gli ultimi anni
Nell’estate del 2011 slittano gli approdi alla prima Juventus di Conte e al Barcellona che gli preferì Alexis Sánchez, così ai nastri di partenza della Liga 2011/2012 Giuseppe Rossi è l’uomo franchigia del Villarreal con 77 reti che già lo rendono il cannoniere di tutti i tempi del Submarino Amarillo davanti a Forlán (distaccato a 59) che aveva sostituito proprio nel 2007 quando l’uruguayo passò all’Atletico Madrid.
Non solo, Giuseppe Rossi è un giocatore che in Italia raramente si è visto per la capacità di segnare in ogni modo con una tecnica di base così limpida: a 24 anni è già internazionalmente riconosciuto come uno degli attaccanti più cinici al mondo, perfetto in quasi tutti i fondamentali – sta affinando il colpo di testa (heading è il quarto) – e che sembra aver acquisito una consapevolezza dei propri mezzi tale per cui vale costruirgli una squadra intorno. Pepito è senza ombra di dubbio uno degli uomini copertina insieme a Lionel Messi, Cristiano Ronaldo e Radamel Falcao. Ma a differenza loro non ha ancora vinto nulla di importante e gioca in una squadra normale senza una tradizione vincente. Accostare il suo nome a loro tre risulta quasi blasfemo.
Il Villarreal, infatti, è destinato a rimanere una squadra incompiuta di fronte a superpotenze come Real Madrid e Barcellona, alle quali si aggiungerà l’Atletico Madrid con l’arrivo in panchina di Simeone e ingenti cifre spese sul mercato. E come spesso capita in queste circostanze, dopo una serie di grandi stagioni, c’è un’annata storta, iniziata male, ma che poi svolta addirittura in maniera fatale. Il 26 ottobre 2011 al Santiago Bernabéu, Giuseppe Rossi sente crack al ginocchio dopo 58 minuti: rottura del legamento crociato del ginocchio destro, fuori 6 mesi. Prova a rientrare sul finale di stagione per salvare la squadra in piena zona retrocessione, e conquistare l’Europeo, ma il 13 aprile 2012 in allenamento si rompe nuovamente il legamento crociato anteriore del ginocchio destro. È la fine della sua esperienza al Villarreal, che ineluttabilmente retrocederà, e delle sue speranze in azzurro.
Da quel giorno, per Pepito Rossi è iniziato un calvario che quasi tutti conoscono a memoria: altri 2 infortuni gravi a entrambi i crociati e un intervento in artroscopia al ginocchio destro per un sovraccarico del ginocchio; 110 partite e 31 gol negli ultimi 7 anni con i club, a fronte dei 91 in 225 partite nei primi 7 anni, di cui due passati nel Manchester United Riserve.
Di fatto la maturazione tattica di Giuseppe Rossi si è compiuta interamente in quegli anni spagnoli, senza giungere a una reale definizione in Nazionale, in cui spesso è stato schierato in zona defilata. Indiscusso il valore tecnico, raro e differente per lo meno nella storia moderna del calcio italiano, rimane solo da chiedersi se, e con quale modalità, l’intelligenza calcistica, che aumenta di partita in partita, gli avrebbe consentito di migliorare esponenzialmente un talento che si è manifestato tanto brillante quanto discontinuo per via dei troppi infortuni.
La mia carriera è stata piena di sacrifici sin da quando avevo 12 anni: non ho paura dei sacrifici. So cosa voglio, so dove voglio arrivare, e so cosa devo fare per arrivarci. I miei sogni sono sempre lì, so che posso arrivarci, e non c’è niente al mondo che mi può deviare da questi sogni.
Giuseppe Rossi si è, quindi, operato sempre negli States, prima con Richard Steadman e poi con Steve Singleton, e ha sempre ricominciato dal suo fisioterapista fidato Luke Bongiorno nel New Jersey, circondato solo dai suoi cari. Quei nomi, quei luoghi, quella cultura, quel quotidiano anonimo in pubblico – Giuseppe Rossi a Manhattan passa inosservato – per lui significano catarsi emotiva e fede nelle proprie enormi abilità che, incredibilmente, non sembrano mai risentire di questi periodi di stop forzato: Pepito è sempre tornato e ha sempre segnato senza mutare il proprio stile di gioco.
Come nel 2013 alla Fiorentina, con la maglia numero 49, e un investimento della Viola di ben 10 milioni, pienamente ripagato all’inizio della stagione 2013/2014 con un avvio travolgente di 14 gol in 18 match e una tripletta contro la Juventus, in cui affrontava per la prima volta Buffon, in una partita che è già storia del calcio italiano; come nel 2014 dopo la chiamata privata di Roberto Baggio a consolarlo in seguito all’infortunio procurato da Rinaudo, e a incoraggiarlo a prendersi il Mondiale: segnò così 2 gol nelle ultime 3 partite ma, come Trapattoni con Baggio, non convinsero Prandelli; come nel 2015 con la maglia numero 22 e il gol in Europa League contro il Belenenses e una stagione (l’ultima interamente giocata) culminata in prestito al Levante, di cui tutti ricorderanno l’accoglienza dei tifosi riservata a Pepito con la maglia numero 21 che viene abbracciato da un anziano tifoso che non riesce a credere come Rossi possa giocare per la sua squadra destinata a retrocedere.
Così, dopo 8 mesi dall’ultimo infortunio con il Celta Vigo, nella continua altalena tra calcio italiano e calcio estero, Giuseppe Rossi è stato tesserato il 5 dicembre dal Genoa e il 20 dicembre è tornato ancora una volta in campo, con la maglia numero 49 del padre, per gli Ottavi di Coppa Italia contro la Juventus e solo il VAR non gli ha concesso di calciare il rigore contro Szczęsny. Il suo ingresso in campo è stato salutato dagli applausi di tutto lo Juventus Stadium: una riconoscenza sinonimo di sincera riverenza. Qualche giorno dopo ha debuttato in campionato contro il Torino, mentre il gol, a causa di alcuni problemi muscolari, è arrivato solo il 6 maggio 2018, contro la sua Fiorentina, quasi 4 anni dopo il suo ultimo gol in Serie A.
Il recupero, come al solito, è avvenuto in privato, negli Stati Uniti.
Nei mesi precedenti al tesseramento, tramite i suoi canali social, ha pubblicato una serie di homevideo con dei trick da street football , che in una partita vera il suo stile minimale non gli concederebbe mai di eseguire.
Attualmente svincolato, Giuseppe Rossi si è rifugiato ancora una volta nella sua America, e su instagram ha recentemente pubblicato una serie di foto in cui fa sapere che non esiste nulla al mondo in grado di scalfire il suo sogno: giocare a calcio. Un modo semplice, genuino, estremamente tenero per comunicare nel 2018 la propria essenza di una vita, improntata sul coraggio: non dimenticatevi che io, Giuseppe Rossi, torno sempre.
Il racconto è liberamente ispirato dalla puntata “Sfide – Tremate Pepito sta per tornare” andata in onda il 14 marzo 2015