Quando vieni al Sud piangi due volte, quando arrivi e quando te ne vai. Giuseppe Marotta non ha mai lavorato al Sud, ma nella sua carriera ha affrontato scelte insidiose come Claudio Bisio che, nei panni di Alberto Colombo, un lavoratore affascinato da Milano e impaurito dalle diversità del meridione, si sente riportare quel famoso detto popolare nel film Benvenuti al Sud quando è costretto a trasferirsi in Campania, a Castellabate, per gestire l’ufficio postale del paese. Una frase che racchiude in sé un significato prezioso, un’emozione che descrive in modo preciso cosa significa affrontare una realtà sconosciuta, affezionarsi a essa ma constatare che prima o poi, in qualche modo, saremo costretti a lasciarla. La vita è così: le esperienze sono cicliche, c’è sempre – o quasi – un inizio e una fine, e da sempre siamo abituati a dire addio a qualcosa cui eravamo legati.
Giuseppe Marotta ha vissuto tutto questo quando ha accettato di diventare direttore generale della Juventus nel 2010. La squadra veniva da un campionato concluso al 7° posto, il giocatore con più presenze all’attivo era Diego Ribas da Cunha, e la panchina era vuota, dopo un anno di alternanza tra Ferrara e Zaccheroni. Probabilmente Marotta non ha pianto quando è arrivato a Torino: per un dirigente in rampa di lancio, la Juventus è ovviamente un’occasione straordinaria, anche se le sabbie mobili in cui si trovava il club non erano certo un presagio positivo per le stagioni future. Il legame tra il club e il direttore si è creato negli anni, si è consolidato trasmettendo all’esterno l’idea di una società unita e solida con un obiettivo comune, cosa non scontata nel mondo del calcio odierno. Fino alla notizia di qualche giorno fa: tra qualche settimana l’ex-dirigente della Sampdoria lascerà Torino. L’inizio difficile, il legame che si crea col tempo, l’addio doloroso: le strade di Alberto Colombo e Giuseppe Marotta hanno tratti simili, pur correndo su binari completamente divergenti.
Marotta Bianconero
Quando una persona di un certo peso si allontana da un mondo in cui ha impresso un grande cambiamento gli si dedica sempre un ricordo, si osservano le memorie per capire abbia lasciato nei suoi anni di lavoro. Quali sono state le tappe decisive della carriera juventina di Marotta? Li abbiamo raccolti qua sotto, come in un powerpoint da proiettare alla fine di una festa un po’ nostalgica.
1. L’arrivo
L’estate del 2010 è un momento fondamentale del recente passato della Juventus, uno di quegli spartiacque che segnano un prima e un dopo. A maggio Andrea Agnelli viene nominato presidente dal Consiglio d’Amministrazione, ereditando il ruolo da Jean-Claude Blanc, rimasto in carica solo un anno dopo la fine dell’era Cobolli Gigli. Un Agnelli non era rivestito di questo ruolo da quarantotto anni, l’ultimo presidente membro della famiglia era stato proprio il padre Umberto. Agnelli ha un’idea precisa di Juventus: vuole creare una squadra in grado di vincere contro ogni avversario e per questo contatta uno dei dirigenti più brillanti del momento. Marotta aveva lavorato con la Sampdoria dal 2004, portando Antonio Cassano a Genova nel 2007 e creando una squadra in grado di scalare i gradini della Serie A fino al quarto posto, valevole per i preliminari di Champions League, raggiunto nella primavera 2010. Nella sua lettera il nipote di Gianni parla di grande uomo di calcio ma anche di conoscitore dei complessi meccanismi economici di una società.
Nel suo breve viaggio tra la Liguria e il Piemonte, Marotta decide, con l’avallo del presidente, di portare con sé Gigi Delneri, il tecnico di quella Sampdoria miracolosa. Delneri avrebbe dovuto portare esperienza oltre a cultura e disciplina sportiva nello spogliatoio. L’allenatore andrà in difficoltà nel corso della stagione, perdendo il polso della situazione – chiuderà ancora al 7° posto in campionato – ma ricevendo sempre il sostegno del suo direttore generale, che ne prenderà più di una volta le difese. La fine del rapporto tra la Juventus e Delneri, al termine della stagione, è un simbolo: Marotta è partito nella sua avventura bianconera cercando un legame con il passato, ma dopo questo passo falso deve proseguire da solo.
2. Il Maestro
La grande qualità che non può mancare a un uomo-mercato è quella di saper fiutare l’occasione, di sviluppare un intuito in grado di dirigere le sue attenzioni verso chi può aiutare la squadra a un prezzo contenuto, rispettando un consono quoziente qualità/prezzo. Nell’estate del 2011 la Juventus è quella descritta sopra, un club che fatica a carburare e a tornare stabilmente tra le grandi in Italia. Serve un leader, un giocatore con carisma vincente, in grado di trasmettere questa personalità a tutti i compagni. Andrea Pirlo proprio in quel periodo aveva deciso di mettere fine alla sua iconica storia con il Milan, infastidito dal ruolo secondario a cui Allegri, anche a causa degli infortuni, lo aveva relegato.
Pirlo era l’uomo perfetto per la Juventus, nel momento migliore. Qualità personali e sportive si abbinavano ottimamente alle necessità dei bianconeri. La sua classe non veniva messa in dubbio da nessuno, ma gli interrogativi riguardavano la sua tenuta fisica: con il Milan aveva dovuto saltare la seconda parte della stagione per problemi al tendine d’Achille e per uno stiramento. Anche dal punto di vista tattico si poteva esprimere qualche diffidenza: Conte stava architettando un 4-2-4 offensivo, e la scarsa mobilità del regista poteva essere un deficit non indifferente. Se Pirlo si fosse infortunato, e se Conte non avesse rapidamente virato su un 3-5-2 più coperto, probabilmente la storia sarebbe cambiata. Dopo un anno difficile, Marotta era riuscito a portare in bianconero uno dei centrocampisti più forti al mondo che, con la maglia della Juventus, vivrà una seconda giovinezza e uno dei periodi più esaltanti della sua lunga carriera.
3. Presente e futuro, gratis
Marotta ha sempre avuto particolare attenzione ai giovani talenti, certo che tra i ragazzi si potesse nascondere un nuovo campione. Per anni la Juve è stata elogiata per le plusvalenze che è riuscita a creare con giocatori mai entrati nei radar bianconeri, ma semplicemente acquistati e girati in prestito in giro per l’Italia, aspettando che aumentassero il loro valore. Anche in questo caso, il direttore sportivo è mosso dalle potenzialità, dalla possibilità di economizzare al massimo un ingaggio di grande rilievo.
Nella prima metà del 2012, quindi, Marotta inizia a muoversi con forza verso Paul Pogba, al tempo diciannovenne promessa del Manchester United. Il suo agente, Mino Raiola, era alla ricerca di un’occasione per il ragazzo, visto il suo contratto in scadenza con gli inglesi. Ferguson non la prese bene – non ci ha rispettato; se questi sono i suoi comportamenti, può andarsene – ma il nome del procuratore del ragazzo era, ed è, ovviamente una garanzia di caos e incertezza. Così, Pogba a luglio diventa ufficialmente un giocatore bianconero. Dovrebbe partire in seconda fila, essendo praticamente un esordiente nel calcio professionistico e avendo davanti nelle gerarchie Pirlo, Marchisio e Vidal, ma riesce a ritagliarsi un certo spazio, totalizzando 18 presenze da titolare in Serie A. Il resto è storia: il centrocampista francese ha rivoluzionato il ruolo di mezzala, impersonando un modello di giocatore in grado di approcciare entrambe le fasi di gioco in modo eccezionale. Non a caso, nell’estate del 2016 la sua diventerà, anche se per poco tempo, la cessione più costosa della storia del calcio.
4. Intuizioni
Quando si costruisce una nuova squadra l’allenatore è una figura fondamentale. Solitamente la sua persona influenza le scelte di mercato, proiettando le attenzioni di una società su determinati profili che possano rispondere alle sue necessità. La politica della Juventus guidata da Marotta è, tuttavia, parzialmente diversa da questo quadretto. Il direttore sportivo fa di necessità virtù e, senza avere il budget dei migliori club europei, riesce comunque ad aggiungere alla rosa giocatori importanti. Per questo Marotta deve aver intuito che due allenatori pragmatici come Conte e Allegri potessero tornare estremamente utili a una società che lavora su questi binari. Entrambi, infatti, hanno sempre abituato gli osservatori a un gioco camaleontico, basato su determinati principi ma in grado di essere flessibili, cucendosi attorno alle caratteristiche degli interpreti. Non era facile, però, dare fiducia a due personalità del genere.
Conte arrivava da esperienze vincenti in Serie B, ma la sua unica stagione in A con l’Atalanta si era interrotta a metà anno a causa delle sue dimissioni volontarie per il cattivo andamento della squadra. Allegri, invece, era stato esonerato dal Milan a gennaio del 2014. La sua carriera sembrava bloccata, dopo il picco toccato con lo Scudetto del 2011. Marotta invece ha visto in lui quella leadership e quella capacità di ambientamento fondamentali per impegnarsi nel progetto della Juventus.
In entrambi casi c’erano rischi, problematicità, incertezze. L’intuito, però, non vale soltanto per i giocatori, ma anche per chi siede in panchina.
5. Scappa con la refurtiva
Il calcio è arte, come un film, e proprio come una pellicola ha bisogno dei suoi colpi di scena. Marotta è stato un re degli effetti speciali nei suoi giorni bianconeri. In questi sette anni ha spesso derubato le rivali dei loro giocatori di punta, sfruttando il principio per il quale se non puoi sconfiggerli, unisciti a loro. Diventa più facile vincere se, oltre a migliorare la propria squadra, si peggiora quella degli avversari. Higuaìn, chiaramente, ne è stato l’esempio più lampante: due estati fa la Juventus arrivò a pagarlo 96 milioni, sfruttando i soldi incassati con la cessione di Pogba, mandando su tutte le furie tutto il popolo napoletano e lanciando, indirettamente, la carriera di un giovane rapper partenope.
Pjanic, lo stesso Pirlo, Cancelo, Vucinic, Bonucci: la lista sarebbe troppo lunga.
6. Premio
Il 24 settembre di quest’anno, prima di dare l’annuncio dell’addio al club – forse era il segno della fine di un ciclo – Marotta ha vinto il premio organizzato dal World Football Summit come miglior manager calcistico d’Europa. Un premio che in qualche modo chiude un cerchio, permettendo a tutti di ricordare le incredibili capacità con le quali Marotta è riuscito a spingere sempre più in alto l’asticella di una società guidata da una famiglia benestante, ma senza le capacità economiche di emirati o magnati. Un premio alla carriera, e un ulteriore trampolino di lancio verso gli obiettivi futuri.
7. CR7
Quello di Cristiano Ronaldo è l’ultimo degli incredibili successi raggiunti da Marotta alla Juventus, ma è anche il punto terminale della sua avventura. Alcune voci, infatti, vorrebbero che proprio la sua contrarietà all’acquisto del portoghese siano state alla base del dissenso con Agnelli, che ha portato a questo addio. Chissà se sapremo mai la verità al riguardo. Quello che sappiamo, comunque, è che il lavoro fatto da Marotta nel corso degli anni ha creato l’humus necessario per puntare a giocatori di questo calibro, cioè il più forte sulla piazza: è anche grazie al certosino lavoro e alle capacità imprenditoriali di Marotta, se oggi la Juventus può portare avanti operazioni di questo tipo.
Forse Marotta non piangerà come fece Colombo tornando nella sua Milano, ma ora che i suoi anni alla Juventus sono terminati, magari, un filo di quella commozione lo attraverserà.