“Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita.”
LA TEMPESTA – Atto IV
W. Shakespeare
William Shakespeare, il drammaturgo che ha cambiato il modo di vedere e pensare le opere teatrali in un periodo in cui queste rispettavano dei canoni estremamente rigidi per quella che è l’arte dello spettacolo, per quella che ancora oggi regala emozioni tra tende e palcoscenici, ha avuto una carriera lunga e prosperosa, durante la quale ha ammaliato occhi e orecchie di tutti quegli spettatori paganti che, senza remore, hanno detto e possono ancora dire che l’inglese di Stratford ha reso indimenticabile ogni singolo schizzo d’inchiostro nella maniera in cui l’ha poggiato su carta.
Su un palcoscenico in tartan, dove il saltatore è il protagonista principale, dove l’asta è partecipante attivo, dove il sudore è la china che si muove tra una corsia e l’altra, Gianmarco Tamberi si è cimentato nella sua Tempesta. Cinque gli atti della commedia nella sua finta trama teatrale, cinque gli atti del salto nella sua reale consistenza atletica, nella sua trasformazione in tragedia.
Il I atto ha preso luogo qualche giorno prima del Meeting di Monaco, in una Amsterdam che ha visto il trionfo Europeo di ‘Gimbo‘, ennesima dimostrazione che quel ragazzo, con quella rincorsa, ci sa fare eccome. Aveva dunque preparato la sua entrata in scena, che lo vedeva protagonista in un teatro decisamente importante come lo Stade Louis II, sotto gli occhi del Principe Alberto.
Nel II atto, nella parte in cui l’eroe deve entrare nel vivo delle sue peripezie, Gianmarco ha preso di petto l’asta, superandola praticamente sempre al primo tentativo, generando la simpatia dei francesi verso di lui, verso quel ragazzo sempre più uomo, con quella ‘halfshave‘ che ricorda le sue parti d’anima: una bambina e irriverente, una anziana e matura.
Il III atto è stato l’arrivo alla montagna da scalare, quei 2.39 che lo guardavano con aria di sfida. Ma come il buon Prospero, disposto a tutto pur di rimettere la figlia al proprio posto, così anche Tamberi ha messo da parte la paura, ha accolto la sfida del monte, scalandolo fino in vetta, facendo segnare il record italiano.
A questo punto, nel IV atto, dovrebbe accadere l’evento che non ci si aspetta, quel colpo di scena che renderebbe tutta la storia più viva di quanto già non sia; e purtroppo così è stato. Due centimetri più alta l’asta, stessa concentrazione negli occhi del leone, stesso attacco con quel piede: nulla. Nell’attimo del respiro che si blocca in gola, quando il vento si vorrebbe come alleato, tanto quanto le vibrazioni che trascinano l’asta verso la forza di gravità, Gianmarco è caduto in terra, scaricato da se stesso, da quel limite fisico che pensava di non avere.
Ma rispetto agli altri tre, questo sipario non si è voluto chiudere così presto; anzi, ha continuato a vivere della penna che lo ha scritto, quel destino infame e carnivoro di sogni che ha strappato all’azzurro la sabbia di Rio, quei cerchi olimpici che lo attendevano per vedere di cosa fosse realmente capace. Non lo vedranno mai.
Il V atto è iniziato il giorno dopo, quando Gianmarco si è reso conto di cosa fosse successo, di come in un semplice secondo tutta la gioia si fosse tramutata in tristezza e delusione. Verso se stesso; magari verso quel tentativo che poteva anche non essere fatto; delusione verso un traguardo che dovrà aspettare altri 4 anni per poter essere tagliato.
“Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni“, direbbe William, siamo meticolosamente alla ricerca di quella essenza inconsistente della vittoria che perseguita l’atleta, che lo spinge verso il massimo, verso quel limite che chiede a se stesso, che prepotentemente ed egoisticamente pensa appartenga a lui soltanto.
Ma a differenza di un copione, il destino è in continuo scriversi, in indefessa mutazione, positiva o negativa che sia, pronto a distribuire nuove trame e ruoli a chiunque faccia parte della nostra vita. E adesso, con il sipario che si è chiuso su una delle tragedie meglio riuscite al quel regista dallo sguardo sogghignate e fiero, non si può far altro che sperare in un’altra opera, una commedia stavolta, che possa far vedere non spettatori in piedi a battere le mani e piangere, bensì spettatori applaudenti e contenti.