Georgie for good

“Vivo la mia vita un drink alla volta”

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George Best

So bene cosa vi aspettate da una lettura su George Best. Stereotipi antica formula e, sopra ad ogni cosa, la celeberrima citazione sul considerare sperperati tutti i soldi non spesi in alcol, donne e macchine. Questa volta però soffermiamoci di più su di un lato di Georgie certo noto, ma purtroppo anche tragico. Lo facciamo perchè in futuro parleremo di grandi biografie e di “drinkology“, unendo curiosità da bere a personaggi celeberrimi. Come non iniziare da lui? Da George Best. Un incipit quasi dovuto.  L’alcolismo che lo accompagnò durante tutto il suo percorso di vita, che segnò la sua carriera, che diede quella tinta malinconica alla sua icona, è da ricordare, come tributo e come un monito.

George Best: vissuto da divo, divenuto un icona molto prima che morisse, alla fine del 2005. L’episodio che fece spostare l’occhio dei fan del Manchester United e del mondo su di lui, mettendolo al centro della curiosità di tutti, varia a seconda della biografia che si legge. Alcuni dicono dopo aver sconfitto il Benfica di Eusebio nel ’66, altri quando scese con un sombrero calato sul capo da un bus dopo un incontro, procurando crisi isteriche alle fans. Ma poi chissà. Una vita discussa, vista al rallenty sul campo, scritta, commentata, rivista, resa leggenda. Ad attrarre l’attenzione: l’uomo e l’appeal da una parte, il campione calcistico dall’altra. Le gesta e le parole di Best sono divenute un tassello fondante della Storia del Calcio e non solo quello inglese. Di più, Best è rimasto nell’immaginario culturale di un intero continente.

Georgie "the Best"
Georgie “the Best”

C’è qualcosa nel suo essere un ragazzo “troppo piccolo e leggero” di Belfast, nel suo essere un Irlandese del Nord, che precede la sua fama di “quinto beatles “, che in qualche modo lo segna e lo racconta. Un popolo protagonista di capitoli oscuri della storia del vecchio continente, luoghi che induriscono più velocemente di quanto farebbero altri. Qui gli eccessi che saranno di Georgie rimangano in un certo modo giustificati, dal carattere, dall’asprezza del cielo plumbeo, dal grigio freddo dell’isola. Luoghi che preannunciano destini, appartenenze che non smentiscono le attitudini del singolo. La storia di uno dei più grandi calciatori di sempre. Tecnicamente sublime, di un intelligenza calcistica rara e con il carattere di andare fino in fondo. Per la verità il ragazzo ha soprattutto carattere, inizia a dimostrarlo sin da subito anche al di fuori del campo e potremmo dire divenga  il motore principale della sua fama. E quest’ultima dei suoi problemi.

“Per quanto riguarda il bere, non è che avessi davvero intenzione di smettere. In effetti era più o meno il contrario. Invece che cercare la soluzione ai miei problemi di stomaco in una confezione di medicinali, la cercavo in una bottiglia di brandy. […] Ora avevo iniziato a berne sempre di più. A volte cominciavo appena sveglio, oltre naturalmente all’autobotte di vino che mi ingollavo ogni giorno. E naturalmente più bevevo, meno sentivo il dolore. Così, con la tipica logica da alcolista, non avevo dubbi: più alcol = meno dolore”.

Sicuramente l’alcolismo e la dipendenza originano in un tessuto psicologico più complesso e privato, ma il personaggio pop che sarà Best, la sua esposizione mediatica, ipertrofizzeranno il problema. Il cachet concorrerà a creare le possibilità. Del resto da sempre denaro e dipendenza si sposano in una fenomenologia tragica. Inoltre il talento pare, storicamente, alimentare in non pochi un formidabile istinto autodistruttivo. Il ragazzo di Belfast vivrà fino in fondo l’eccesso. Come racconta incredibilmente bene Federico Buffa, delle tre dee cui Best era devoto, la sfera, il femminino e la bottiglia, quest’ultima finì per renderlo schiavo e per compromettere in qualche modo la sua costanza e le sue possibilità. Georgie si vedeva lucidamente rispetto al problema del bere ed i titoli dei giornali fecero eco a questo tragico palcoscenico tramite le sue stesse dichiarazioni.

 

A 22 anni George aveva il mondo in mano. Da lì modelle e Miss Universo, soldi e champagne, molto, troppo. Sul fronte calcistico l’inizio del declino, con lo United che zoppicava nelle varie classifiche. La frustrazione si faceva sentire e solo sei anni dopo, a 28 anni, Best giocò la sua ultima partita con la maglia dei red devils. Era il 1974. Era l’inizio di un vagabondare contrattuale e calcistico che lo porto a giocare ovunque, senza costanza se non quella dedicata alla bottiglia. Dalla birra e dai pub irlandesi della sua Belfast, al francese e amato Dom Pérignon, fino alla vodka moscovita. Nessuna differenza, nessuna predilezione. Ma forse Georgie era destinato a questo. Mettere la stessa energia e la stessa irriverenza nel calcio, come nel bere. E se non poteva essere fermato nel primo caso, con la palla al piede, qualcuno avrebbe forse potuto nel secondo?

Non c’è bisogno di essere tipi alla Bogart per dare il giusto peso a ciò che un uomo beve, e George Best beveva. Forte tanto quanto giocava. Questo peso si fece sentire sempre, dai ritiri alle mancate presenze agli allenamenti, sugli affetti e sul suo mito, fino a quando molti decenni dopo il magico periodo degli anni ’60 e ’70, Georgie se ne andò per un infezione epatica. Osannato da un’ultima folla, quella stesa e accalcata lungo tutta Londra il 25 novembre 2005. “Don’t die like me“. 

“Era il 1976, si giocava Irlanda del Nord – Olanda. Giocavo contro Johan Cruyff, uno dei più forti di tutti i tempi. Al 5° minuto prendo la palla, salto un uomo, ne salto un altro, ma non punto la porta, punto il centro del campo: punto Cruyff. Gli arrivo davanti gli faccio una finta di corpo e poi un tunnel, poi calcio via il pallone, lui si gira e io gli dico: ‘Tu sei il più forte di tutti, ma solo perché io non ho tempo.”

George “The Best”

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