In Indiana, il basket è come il calcio in Italia, al bar la mattina non si parla d’altro e attorno ad esso gira molto della vita degli abitanti dello stato. Si dice che nel cortile di ogni casa ci sia almeno un canestro e che se un vigile passa e non lo trova, vada a chiedere spiegazioni.
Sì, questa è solo una leggenda, ma perché rovinare una bella storia con la verità?
Quello che in realtà la frase sopra vuole intendere è che il basket è il cuore pulsante dello stato del nord est americano che, realmente, non ha nient’altro. L’Indiana è uno stato povero, operaio, un cesto di legno appeso e un pallone non costano nulla, ogni famiglia può permetterselo, sia che viva nelle lunghe distese di campagna nel centro-sud della zona, sia che abiti nelle zone industrializzate del nord.
Certo, poi ha aiutato il fatto che uno dei giocatori più forti della storia, tale Larry Joe Bird, sia cresciuto a French Lick, Indiana; ma questa è un’altra storia.
Tutto gira intorno alla città più popolosa, Indianapolis, centro pulsante della vita di The Hoosier State.
Qui ha sede, oltre alla leggendaria ‘500 miglia‘, anche la squadra di basket NBA, gli Indiana Pacers, che, in un posto come questo, non poteva certo mancare.
I Pacers nacquero nel 1967 come team della lega parallela all’NBA, la ABA, dove vinsero anche tre titoli tra il ’70 e il ’73, prima che le due leghe venissero fuse insieme nel 1976. Nella nuova lega hanno visto il loro momento migliore negli anni ’90 dove, sotto il comando di Reggie Miller, raggiunsero 4 finali di Conference e una finale NBA, tutte perse. Attualmente la squadra viene da anni di alti e bassi, dopo due finali di Conference consecutive nel 2013 e 2014 perse entrambe con gli Heat dei Big 3, nelle ultime due stagioni hanno raggiunto i PlayOff solo una volta, perdendo al primo turno.
In termini di vittorie/sconfitte, in questa stagione le aspettative non dovrebbero essere troppo diverse dalla scorsa; mentre per la classifica, con Cavaliers, Celtics, Raptors oggettivamente più forti, i Pacers se la dovrebbero giocare con Pistons, Hawks e Hornets per i piazzamenti dal 4º al 7º posto.
A far saltare il banco, a favore dei ragazzi di coach McMillan, potrebbe essere Paul George, fresco campione olimpico con gli USA e voglioso più che mai di rimettere in mostra quelle giocate che portarono il suo team a giocarsi le finali della Eastern Conference. George ha superato a pieni voti l’esame della scorsa stagione, dopo che aveva saltato quasi tutta l’annata 2014/15 per il bruttissimo infortunio a tibia e perone che l’ha costretto ad un lungo stop.
Il 2015/16 del giocatore californiano si è chiuso con 23,1 punti di media e, cosa forse più importante, con 81 partite giocate, segnale fondamentale per valutare la tenuta fisica, dato che, visto il fittissimo calendario NBA, il rischio ricaduta era forte. Oltretutto, la media punti della scorsa stagione è stata la più alta della sua carriera, segno che, oltre ad aver recuperato completamente dall’infortunio, è anche migliorato nelle sue percentuali.
Per il nuovo anno ci si aspetta di vederlo ancora più forte, ora che la squadra è tutta nelle sue mani ed è tornato indiscutibilmente la stella da seguire, dopo i tanti dubbi che c’erano all’inizio della scorsa Regular Season.
In estate Paul, dopo la vittoria olimpica, ha dichiarato di aver finalmente chiuso il cerchio, partito 2 anni fa con l’infortunio e passato attraverso un calvario lungo quasi un anno.
C’è quindi da aspettarsi che, tornato galvanizzato dalla rassegna a 5 cerchi, diventi ancor più dominante all’interno della Lega, cosa che gli è riuscita, in parte, nella scorsa stagione. L’età è della sua, visto che ha appena 26 anni e che nell’NBA, dopo ventisei primavere, non sei considerato ancora nel pieno della propria maturazione.
Avrà a disposizione, per farlo, una batteria di gregari niente male, partendo dal fido Monta Ellis, che ad Indianapolis ha trovato una vera e propria seconda giovinezza, fino ad arrivare ai tre nuovi arrivati, Jeff Teague, Al Jefferson e Thaddeus Young.
Teague andrà a sostituire George Hill in cabina di regia, andando ad aggiungere punti e assist, a discapito di una minore efficacia a rimbalzo del predecessore, anche se per un play non è una statistica fondamentale. In generale sembra averci guadagnato da questo cambio, anche perché Teague è più giovane di due anni rispetto a Hill e, soprattutto, viene da anni molto buoni in quel di Atlanta.
Al Jefferson, arrivato da Charlotte, rappresenta un notevole aumento di presenza fisica in area, visti i suoi 131 kg distribuiti su 208 cm di altezza che andranno a rinforzare il reparto lunghi in cui dovrebbe fare coppia con il giovane classe ’96, Myles Turner, altra “bestia” da 2 metri e 11 centimetri per 110 kg, arrivato ai Pacers nel draft 2015 con l’undicesima scelta assoluta.
Interessante sarà anche vedere il contributo che potrà dare Thaddeus Young, anche se difficilmente partirà nel quintetto titolare viste le presenze di Ellis e George. Il nativo di New Orleans è stato uno dei pochi a salvarsi nella disastrosa scorsa stagione dei Nets, visto che ha chiuso l’annata a 15 punti e 9 rimbalzi di media.
Bisognerà osservarlo all’opera in un contesto come quello di McMillan, che molto probabilmente gli garantirà un minutaggio minore. Importantissimo sarà anche l’apporto che daranno dalla panchina giocatori come C.J Miles, Rodney Stuckey e Aaron Brooks, tutti ormai arrivati alla soglia dei 30 anni e con una notevole esperienza in NBA. Nonostante non siano mai stati giocatori di primo piano, spesso una panchina d’esperienza è un elemento importantissimo per ottenere grandi risultati.
Per chiudere, vorrei ipotizzare un quintetto di partenza per i Pacers, ad oggi mi sento di dire che sarà: Teague, Ellis, George, Jefferson, Turner.
This is Indiana, they do it big!