Il rinnovato Parc Olympique Lyonnais attendeva i beniamini di casa per questa finale, invece ospiterà un’altra francese: il Marsiglia di Rudi Garcia. Nonché l’ultima finalista francese di una competizione europea. Nell’annata 2003/2004 il Marsiglia fu finalista di Coppa Uefa, mentre il Monaco di Champions League. Entrambe perdettero nettamente, rispettivamente contro il Valencia di Benitez (2-0) e contro il Porto di Mourinho (3-0). A Rudi Garcia il difficile compito di riportare il calcio francese al centro del villaggio.
Dall’altra parte Diego Simeone, in tribuna squalificato – al suo posto siederà il fido Germán Burgos – tenterà di riportare il trofeo nella Capitale dopo 6 anni, come tutto era iniziato e come solo i greci hanno il potere di far finire: ciclicamente. Il cholismo a Madrid sembra esser giunto veramente al capolinea e molti big dovrebbero partire.
Quattro possibili finali
I favori del pronostico sono tutti per gli spagnoli. Se vincesse l’Atletico Madrid si tratterebbe del terzo trofeo ed eguaglierebbe il Siviglia da quando la competizione si chiama Europa League, continuando sulla scia di un dominio spagnolo che non sembra contemplare il suo tratto finale. Se dovesse trionfare il Marsiglia, per la prima volta una francese vincerebbe questa competizione (considerando anche la vecchia nomenclatura) e una squadra transalpina tornerebbe sul tetto d’Europa dopo 25 anni: nel 1993 sempre il Marsiglia sconfisse il Milan di Capello in una delle finali più discusse a posteriori nella storia.
Cercando di aumentare il vostro grado di piacevole attesa, abbiamo immaginato 4 possibili scenari di finale lungo un fil rouge: una pioggia battente sul cielo di Lione.
Cinico
a cura di Paolo De Angelis
Se cercate romanticismo nei meandri di queste righe, vi sbagliate. Cambiate direzione
Qui non c’è spazio per il romanticismo, ingombrante e mieloso, perfettamente rappresentato dal non-gioco dell’Atletico di Simeone: per il Cholo, ogni partita non va interpretata come un gioco, ma come una guerra, una battaglia da vincere.
E il modernissimo anfiteatro di Lione, questa battaglia, la ospita con un clamore forse ritrovato; però ammettiamolo, le finali di Europa League non sono belle. Non mi piacciono per niente.
Non si fa piacere nemmeno la partita, nervosa e zoppicante fin dai primi istanti di gioco: la marea di contrasti e verticalizzazioni sballate inasprisce un terreno inzuppato e appesantito dall’incessante pioggia. Ma tanto, che importa ai tifosi spagnoli particolarmente ubriachi?
Ubriachi di birra, astemi di emozioni. Per tremare dall’emozione – e dalla paura – i colchoneros devono attendere il 67′ minuto: Pelé rinvia troppo centralmente, Saul tenta la conclusione memorabile, alla Stankovic contro il Genoa, impietrendo tutto lo stadio. Il tempo si ferma, così come le cornee degli spettatori, concentrate sul movimento rotatorio e libertino del pallone. Fuori di poco. Sarebbe stato un gol troppo romantico. Ve l’ho detto, qui non ve n’è traccia.
È la scossa che ravviva una finale morta. La scossa quasi salvifica che permette al Marsiglia di scaldare una serata fin qui fredda e stantia, anche grazie alla vastissima qualità del reparto offensivo marsigliese: tranne Payet che, come nella finale contro il Portogallo, rimane in ombra. Thauvin scatena il panico fra le serratissime linee biancorosse, per lo più con soluzioni isolate, dalla distanza, rese ancor più velenose dal terreno viscido. Oblak deve superarsi, ripetute volte.
Ora, dal 75′ in poi, siamo nel momento di massima esaltazione del pragmatismo di Simeone: Gabi applaude i suoi e cerca di consolare un Savic affranto dopo il quasi autogol: siamo al 78′, Cross di Gustavo, il serbo vola per anticipare Germain e fa sbattere il pallone sul palo. I minuti passano, e da entrambe le porte passano le balle di fieno. Partita brutta, spezzettata, un pugno in un occhio per gli amanti dell’estetismo: Marsiglia e Atletico esortano la mia mano a chiudere il televisore. Arrivato fin qui, però, non posso gettare la spugna. Ho resistito ottanta e più minuti, non mi fermo.
Ma poi l’urlo del telecronista mi scassa i timpani.
Gol dell’Atletico! Chi se non lui, il giocatore più imbruttito, ma non per il suo smodato desiderio di fatturare. Diego Costa, l’uomo che non ti sorriderà sempre, a 42 denti, ma te li vorrà distruggere; spalle alla porta, sfrutta il suo fisico, si gira e col sinistro la incrocia sul secondo palo. Diego ha battuto Pelé. Maledetto romanticismo, si annida ovunque.
Alza le mani al cielo, il 19 dell’Atletico, per sentire la ferocia e il grido incandescente del suo pubblico. Arriverà il secondo gol, su un tiraccio deviato casualmente da Correa. Ottantanovesimo minuto, i colchoneros fanno 2-0 e ipotecano la Coppa.
Finisce qui, l’Atletico è campione.
Nuovo Mondo
a cura di Angelo Mattinò
I diecimila tifosi del Lione presenti allo stadio si schierano: il Marsiglia deve vincere questa finale
Piove copiosamente, dopo due minuti arriva il gelo. Koke porta in vantaggio l’Atletico, il Cholo è fradicio a bordo campo, si è messa come vuole lui. L’OM appare totalmente inerme dinanzi alla garra colchonera, ma all’11’ accade l’impensabile: segna Rami, su azione da calcio d’angolo: è pareggio. Una casualità, frutto di un episodio che sembra poter rompere un paradigma, quel genere di gol che il cholismo non prende mai in una situazione come questa. La partita non sarà più la stessa. L’Atletico è sorpreso perché non riesce più a riportarla sui propri binari, il Marsiglia prende coraggio, e allo scadere del primo tempo colpisce con Thauvin: l’hanno ribaltata, al Mono Burgos gli girano come non mai.
Comincia la ripresa. Il baricentro dei francesi si alza, quasi quanto la pressione del Mono Burgos, il Cholo invita alla calma ma sembra proprio non riuscire ad arginare tutto ciò. Minuto 57: Sanson – avete letto bene, non Santon – mette un cross invitante al centro, Godin la svirgola. Oblak guarda il pallone infilarsi in rete: siamo sul 3-1. Raramente l’Atletico si è trovato in questa condizione: è costretto a imporre il gioco, o meglio, è costretto a imporre un gioco.
Ho sempre pensato che nelle competizioni europee, la componente episodica gioca una parte importante, a volte più che la struttura stessa. Al 69′ giunge uno di quei momenti: Griezmann, finora totalmente estraneo al match, raccoglie un pallone sciaguratamente perso da Sarr e fa partire un tiro dal limite. Mandanda tocca ma non può nulla più: 3-2.
A questo punto va in scena qualcosa che in 7 anni di cholismo non si era mai visto. Il Marsiglia ha già un piede nella fossa, se lo è praticamente infilato da solo e dalla paura ora ci sta spingendo l’altro. L’Atleti comincia a giocare. A giocare un buon futbol, frutto di fraseggi e altre velleità estetiche che non sono mai state inserite nel vocabolario calcistico del Cholo. I colchoneros trovano il pareggio a dieci minuti dalla fine: 3-3 nella partita meno cholista che si sia mai vista. Si va ai supplementari.
Lo stile di gioco dell’Atletico, seppure con un’inerzia trainante ora, consente agli uomini di Garcia di restare in partita. Thauvin ha l’occasione per riportare in vantaggio i suoi, ma si fa ipnotizzare da Oblak, Griezmann prende un palo. La partita è bellissima, e i rigori non sembrano essere assolutamente contemplati.
Chi lo avrebbe mai detto, chi avrebbe mai detto che il Marsiglia facesse anche il quarto?
Lo segna N’Jie, un figurante, perché stasera doveva andare così. Una squadra francese sul tetto d’Europa, in una serata in cui si è visto un mondo capovolto.
Il Marsiglia ha avuto la forza, e la fortuna, di trovarsi nella situazione di dover mettere il Cholo e i suoi ragazzi su una via del tutto inesplorata. Un nuovo mondo, una nuova narrazione, finendone sconfitto.

Le parvenu va gagner
a cura di Federico Sessolo
Le cholisme n’est pas football
Il Cholo è stato chiaro. Ha fatto vedere ai suoi le azioni più importanti del Marsiglia. Puntando il dito tozzo sullo schermo, hadetto ai colchoneros che c’è un solo modo per neutralizzare il Marsiglia. Dimitri Payet è bersagliato senza pietà. Il dieci del Marsiglia prova a imbastire il gioco, ma se tiene il pallone per più di due secondi si trova una cicatrice fresca.
I tifosi sugli spalti cominciano a protestare. Le cholisme n’est pas football, urla qualcuno in accento alverniate. Arriviamo quasi alla fine del primo tempo, siamo ancora sullo 0-0. Pochissime emozioni, qualche randellata, squadre intirizzite dalla pioggia battente.
Giusto il tempo di cambiare le magliette all’intervallo, e la corrida ricomincia. Payet si nasconde dietro ai suoi avversari. Rudi Garcia gli chiede di tirar fuori gli attributi e guidare la squadra. Il Marsiglia rischia di disgregarsi, soffre sempre di più.
Minuto 61. Saul è in ritardo sulla marcatura: Payet fa in tempo a stoppare il pallone, ma poi va a terra. I replay sono impietosi: il centrocampista spagnolo ha lasciato la sua firma sul polpaccio di Payet. Rudi Garcia esplode, abbandona la sua area tecnica e va a pigliare Saul in mezzo al campo: ceci n’est pas football. Succede di tutto, e alla fine solo l’autorità morale di Fernando Torres (dalla panchina) pone fine allo spettacolo.
Payet è a bordo campo, ma non vuole essere sostituito. Sordo a ogni ragione, litiga coi dottori.
Nel frattempo il Marsiglia gioca in 10 senza alcuna idea precisa. Ocampos si fa tutta la fascia ed è stremato. Siamo oltre l’ottantesimo e Payet è ancora fuori; Rudi Garcia è una furia, va a parlare col suo capitano abbandonando la panchina. Per il quarto uomo è troppo: l’allenatore del Marsiglia deve lasciare il campo. Poco prima di essere cacciato, però, ha il tempo di sussurrare qualcosa all’orecchio di Payet. Il 10 annuisce e non dice nulla. Rientra in campo. Ovazione dagli spalti alverniati.
Minuto 88. Dimitri zoppica. La pioggia lava via la ferita sul polpaccio. I giocatori dell’Atletico lo hanno visto in difficoltà e non lo vogliono più torturare. Ma Simeone insiste, urla dagli spalti come un imperatore che non ha visto abbastanza sangue nell’arena, chiede ai suoi di abbatterlo di nuovo. Sente che gli dei del calcio non gli perdoneranno il rientro in campo di Payet.
All’improvviso, un guizzo. Ocampos recupera palla e punta la difesa dell’Atletico. Salta Godin, arranca, arriva a dieci metri dall’area di rigore. La vista annebbiata dagli sforzi. Appena sente il braccio di Savic sulla spalla, crolla a terra stremato. Fischio dell’arbitro. Dimitri Payet strappa la medicazione, abbassa il calzettone. Vuole che tutti vedano. Quella punizione la batterà lui. L’Atletico mette sei stangoni a far da barriera.
La pioggia è forte. Payet guarda Oblak, poi cerca qualcuno in mezzo alle tribune. Simeone, inzuppato nel suo classico completo nero, passeggia nervosamente sugli spalti. Torres, che dopo tante finali giocate certe cose le sente a pelle, è rientrato negli spogliatoi.
La palla si insacca in fondo alla rete.
Eterno ritorno
a cura di Corrado Tesauro
Tutto deve cambiare, perché tutto resti come prima
Non guardo una partita di calcio da anni, credo da almeno una dozzina. Ero arrivato a un tale livello di disaffezione da non poter più sopportare il caos mediatico che c’era attorno. Ormai neanche mi divertivo guardando le partite. Stasera purtroppo non c’è scampo: se si decide di passare una serata a casa di amici e il proprietario di casa è un pallonaro. Mi dicono ci sia la finale di Europa League – quella che prima si chiamava Coppa Uefa – tra Marsiglia e Atletico Madrid.
Sono annoiato. Il match inizia e chiaramente non conosco nessuno dei 22 giocatori in campo, né tanto meno mi interessa conoscerli. I più chiamati in causa dai commenti – spesso molto coloriti – degli altri ragazzi sono due francesi: uno è una punta con la faccia pulita da bravo ragazzo, mi pare si chiami Griezmann o qualcosa del genere; l’altro mi sembra esattamente l’opposto, Dimitri Payet. Riconosco l’allenatore dell’Atletico, Simeone, anche se è in tribuna squalificato. L’avevo lasciato che con l’Atletico giocava e lo ritrovo ad allenarlo, ma effettivamente non sembra essere cambiato di una virgola. Mi piaceva molto quando era alla Lazio e lo sguardo, l’espressione, la grinta, sono rimasti gli stessi, pure se compressi in un abito scuro e non più liberi in un completino celeste largo.
Dopo un po’ – lo ammetto – mi faccio prendere dalla partita. Le due squadre sono molto bloccate. Sì, il Marsiglia gioca di più, ma sotto la pioggia incessante di Lione fa più fumo che altro. L’Atletico non ne risente. Ero partito dal più totale disinteresse e ora non riesco a staccare gli occhi dallo schermo. Divoro seduto sul divano la pizza che avevamo ordinato e riprendo a guardare l’incontro. Il livello di fisicità della partita mi rapisce, a ogni scontro vedo giocatori andare giù e penso che non ce la faranno a rialzarsi. E invece no, tutto come prima. Rispetto a quindici anni fa direi che ne sono cambiate di cose.
Al 73′ succede, però, qualcosa che rischia di cambiare l’incontro. L’intervento di Gustavo è più duro del dovuto; lui si becca un giallo, ma Griezmann non ce la fa a continuare e lascia il campo. Si capisce che il momento è decisivo, le telecamere si soffermano sul suo volto sconsolato mentre viene portato via in barella. Fanno vedere solo per un attimo chi entrerà al suo posto.
Me lo ricordo! – inizio a gridare – Me lo ricordo! – faccio alzandomi dal divano. È Fernando Torres – il nome, quello no, non lo ricordavo – e gli altri mi dicono che ha annunciato che a fine stagione lascerà l’Atletico. Lui sì, è cambiato: i capelli ora li ha rasati solo ai lati, non sono biondi come prima; la faccia ora è quella di un uomo, non di un ragazzino così forte da dover stare coi grandi. Però è sempre lì, a casa sua. E su quel pallone all’87’ fa quello che ha sempre fatto lì, a casa sua. Incrocia di testa, il Marsiglia è battuto.
Esulto, non so perché. Forse per empatia, forse perché ogni tanto è bello sapere che certe cose non cambiano, anche se un Niño è diventato uomo.