Sogno di una trattativa di mezza estate
Non so voi, ma io ricordo le estati per tormentoni. Ricordo l’estate 2003 con Papi Chulo, quella del 2006 con Hips don’t lie, quella del 2011 con Danza Kuduro; nel 2015 – di cui il ricordo è più fresco e la ferita più aperta – toccò a Maria Salvador, Baby-K e Giusy Ferreri, e all’immancabile Enrique Iglesias con El Perdón; nel 2016, invece, è stato il turno di Vorrei ma non posto, di Alvaro Soler e Sofia, e dell’immancabile Enrique Iglesias con Duele el corazon (qualcuno lo fermi). Ma oltre a quelli da veder ballare e canticchiare in spiaggia, ricordo le estati anche per i tormentoni sportivi, e quindi quelli del calciomercato. Uno di quelli più in voga dell’ultima estate, quello di cui leggevi sulla Gazzetta sperando di affievolire Enrique Iglesias che ti cantava in un orecchio e Giusy Ferrero nell’altro, è stata la diatriba tra Diawara, il Bologna, e almeno mezza Europa che cercava di prenderlo.
Al tempo il guineano, dopo un anno solidissimo al Dall’Ara, arrivato dalle nebbie sammarinesi, aveva deciso di provare il salto di qualità e inserirsi in una squadra di livello; aveva 19 anni, e in quel momento stava dimostrando due cose a chi aveva occhi per vedere: la prima è che porta con sé una determinazione così straripante da condurlo a gesti poco corretti nei confronti della propria società e dei tifosi; la seconda che il suo sangue freddo lo esula totalmente dal provare paura nella sfida che rappresenta giocare coi “grandi”.
Diawara, dopo esser dato per certo un giocatore del Bayern Monaco, un giocatore del Chelsea, un giocatore della Juventus, uno del Milan, uno della Roma, e uno del Napoli, alla fine è diventato effettivamente un giocatore del Napoli. Tutto per la contentezza di Sarri, che ne era così entusiasta da lasciarlo in panchina fino al 19 ottobre, quando l’evidente momento nero di Jorginho lo ha convinto – obbligato – a dare una chance a quel giovanotto pagato 14 mln. Diawara ha giocato 20′ di quella partita, entrando nel caos plutonico di un Napoli che subisce, in casa, in eurovisione, una supremazia inesistente da parte del Beşiktaş; e, come gli esseri viventi eterotermi, come un rettile africano esotico, Diawara ha regolato la sua temperatura con quella dell’ambiente circostante trovandosi a meraviglia nella bolgia, ripristinando ordine come un ventenne, di regola, non sarebbe in grado di fare. Soddisfatto della sua prima prova Sarri gli ha dato fiducia, praticamente promuovendolo titolare. Dal Beşiktaş in poi Diawara ha così collezionato 288 minuti contro Crotone, Juventus e Lazio (titolare) ed Empoli da subentrato, più altri 11’ in Champions, sostituto ancora di Jorginho e ancora contro i turchi.
Ecco il biglietto da visita per i napoletani
Convincere Sarri, convincere tutti
Non dev’essere stato facile per Diawara mettere scompiglio nelle idee marmoree di Sarri, e anzi un po’ aleggia l’impressione che se Jorginho non si fosse sporcato di certi errori, Diawara chissà quando l’avremmo visto in campo. In fondo parliamo di un allenatore il cui credo calcistico impone una comprensione totale da parte dei giocatori di schemi e movimenti, che spesso sfocia in una sfiducia dei nuovi arrivati, e lo si vede dai minutaggi concessi ai doni dell’ultimo mercato rispetto agli undici titolari (Tonelli chi?). Nel Napoli non basta correre, bisogna correre nella direzione giusta e al momento giusto, più che da ogni altra parte, perché la squadra è corta e ha bisogno di ritmi altissimi sia in possesso del pallone che nel caso in cui si debba riconquistare. In tutto ciò il regista risulta fondamentale più di qualsiasi altro ruolo, perché come un castello di vetro bellissimo da vedere, basta una piccola crepa per far crollare tutto, e Jorginho può confermarlo.
Il regista perfetto
Ciò che salta subito all’occhio nella differenza tra Jorginho e Diawara non è tanto l’apporto costruttivo quanto quello in fase d’interdizione. La loro struttura fisica è diversa, Jorginho pesa 65 kg mentre Diawara ne pesa 77 e ha gambe lunghe e straordinariamente forti; ciò, fuso con l’ottimo istinto difensivo, si traduce in un successo nella fase di recupero del pallone. Mentre Jorginho in Serie A vince 1.8 contrasti sui 3.4 tentati, e si fa superare in dribbling 1.6 volte a partita, Diawara vince 2.8 tackles su 3 tentati e si fa superare appena 0.3 volte; in più vince 1.3 duelli aerei a partita, contro gli appena 0.6 di Jorginho.
Ma ciò che rende ancor più prezioso Diawara è la sua indole a difendere alto. Al Bologna ha dimostrato spesso di saper leggere le linee di passaggio e recuperare palloni preziosi, e al Napoli col tempo questa sua caratteristica potrebbe risultare fondamentale nell’evitare molti sovraccarichi per i difensori (troppe volte imputiamo a Koulibaly errori di disattenzione scordandoci dello straordinario lavoro che fa nel corso dei 90′ per coprire le lacune di Ghoulam e compagni). Col pallone tra i piedi Diawara non differisce molto da Jorginho: il primo ha una percentuale di realizzazione del 91,8 %, mentre il secondo del 89,8%; il primo passa la palla un po’ meno volte del secondo (64 passaggi a partita contro 75), ma sembra essere più portato sul gioco lungo e risulta avvantaggiato dell’essere ambidestro; inoltre, grazie alla forza nelle gambe e alla rapidità si sente piuttosto a suo agio nel portare avanti il pallone, e questo si potrebbe rivelare particolarmente utile al Napoli nel caso in cui, come sempre più spesso succede al tridente leggero Insigne-Mertens-Callejón, non si trovino sbocchi per la manovra.
Diawara, in sostanza, sembra la perfetta evoluzione di un giocatore come Jorginho, ovvero non solo regista dall’elevata precisione e fantasia, in grado di comandare i ritmi della squadra, ma anche distruttore, un elemento prezioso in fase difensiva, sopratutto in una squadra come il Napoli.
Un mammifero col sangue da rettile
Certo, ha ancora molto da imparare e dimostrare a Sarri e ai napoletani, ma questi primi sprazzi di titolarità sembrano presagire una vera e propria bagarre (amichevole, fino ad ora) con Jorginho, nell’attesa che l’italiano superi il momento di forma terribile che sembra attraversare. Sta di fatto che fino ad ora, in una squadra sempre più vacillante e nervosa, Diawara sta facendo la figura del veterano di lungo corso, un giocatore immune all’ambiente e alle pressioni, che nelle interviste recita malissimo le frasi di rito e in campo scende con la stessa pacatezza di chi va a prendere un caffè giù al bar da Pino, col pigiama sotto i vestiti ché fuori fa freddo.
Ecco, freddo è esattamente l’aggettivo che mi sentirei di usare parlando di Diawara. Un predestinato alla freddezza, sì, un prescelto a scalare i palchi europei, dal San Marino a chissà quale top team: già me le immagino le frasi future su di lui: “Diawara è il giocatore che tutti gli allenatori vorrebbero”.
Perché un mammifero col sangue da rettile fa sempre comodo.