Essere Mondiale: Guerrero

In Sudamerica, quando un hombre del pueblo è hombre del pueblo, lo è per sempre. Paolo Guerrero, carismatico numero 9 del Perù, ha raggiunto la propria beatificazione ancor prima di accedere alla manifestazione concreta del miracolo. El Barbaro, così viene chiamato affettuosamente, davanti a un tribunale che pretende un colpevole, morale e legale, viene accusato di aver assunto stupefacenti dopanti – cocaina per la precisione- proponendo così la condanna di un anno di squalifica dai campi di gioco: periodo, dunque, che avrebbe compreso anche il Mondiale di Russia, raggiunto dopo 36 anni di assenza dalla sua nazionale. Quel che il mondo del calcio non aveva previsto era la reazione perpetrata aspramente per mesi da parte di tutta la collettività peruviana, fino ad assurugere, come spesso accade – o come può venire interpretata- , a lucha de clases: quella di un popolo, spesso bistrattato o poco considerato, calcisticamente “proletario”, contro i vertici “borghesi” e istituzionali della FIFA.

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Cattività teutonica

Torniamo però alle origini del mito di Guerrero e chiediamoci perché un’intera nazione abbia mostrato una simile veemenza in questa storia con un finale che sfocia in un finale dalla libera interpretazione. E lì troviamo l’attaccante peruviano che approda in Germania al Bayern Monaco, come in un sogno ad occhi aperti. E segna, per giunta, mentre il Perù, accanto al nome del compagno di squadra Claudio Pizarro, comincia a conoscere anche quello del giovane Paolo. A Monaco non gioca spesso, ma riesce immediatamente a farsi notare, sia per una media gol interessante, sia per la sua bizzarra capigliatura. Il ragazzo è un concentrato di selvaggia ambizione e pura adrenalina, i suoi gol esprimono la rabbia di un giovane attaccante conscio di dover abbattere cento muri, tra cui quelli dell’indifferenza contestuale e del linguaggio, per poter raggiungere la propria affermazione. Monaco è il periodo formativo di Paolo Guerrero, che già conosce le prime sofferenze fisiche causa infortuni, elemento costante della carriera del nativo di Lima. Tralasciando una mirata digressione biografica della carriera di Guerrero ad Amburgo, ci limiteremo a constatare che, nei momenti in cui l’attaccante ha visto il campo da gioco piuttosto che l’infermiera, ha continuato a segnare.

Così in Germania come in nazionale, con la quale nasce un legame profondo e tipicamente sudamericano, uno di quelli in grado da causare una sorta di diffrazione fra la scostante realtà vissuta con la squadra di club e fla gloria e il coinvolgimento emotivo accresciuto passo dopo passo, gol dopo gol, con la maglia della selezione peruviana. Intanto, nelle stagioni che vanno dal 2010 al 2012, Paolo Guerrero prova per la prima volta la frustrazione di non potere più manifestare la propria rabbia sul campo, di fronte a una rete. Sembra essersi inceppato qualcosa: forse al livello fisico, o forse dal punto di vista mentale, come quando nel 2010 colpì con una bottiglietta d’acqua il volto di un tifoso anseatico che gli urlò di ritornare in Perù. Guerrero la visse soltanto come una cattiveria alla quale rispose “alla sudamericana”. In realtà, però, quell’invito tanto violento s’insinuò nella coscienza del nove di Lima, specie dopo l’estate del 2011, quando trascinò la propria nazionale fino al terzo posto con 5 gol che gli valsero il premio di capocannoniere della Copa America. Miglior marcatore in una competizione che vantava alcuni dei migliori attaccanti al mondo: così, Paolo Guerrero conquistò il Perù, che gli conferì la carica di hombre del pueblo.

Guerrero con il Perù nella Copa America 2011 | numerosette.eu

Consacrazione

Quando approda al Cortinhians è un dolce ritorno. Ecco, finalmente, il ritorno alla vita, il frastuono degi stadi, l’attaccamento alla maglia, il desiderio di soddisfare un’intera tifoseria pronta a invocare il nome dell’ormai celebre finalizzatore peruviano. Non sono pochi i giocatori sudamericani che al di là dell’Atlantico non riescono a esprimere lo stesso frenetico potenziale con cui avevano illuminato i campi di gioco del proprio continente: Guerrero, probabilmente, è sempre stato uno di questi. La Germania è stata una tappa importante, certo, ma non potrai mai sentirti come nel vasto Sud America, che resta pur sempre la tua casa. L’avventura brasiliana di Guerrero, adesso al Flamengo, dunque, non è da interpretare nel segno di una regressione, o peggio, di rinuncia ai grandi palcoscenici, quanto in quello di un’effettiva consacrazione.Paolo Guerrero in rete col Flamengo | numerosette.eu

Tornando all’origine del nostro discorso, Guerrero adesso ha 34 anni e sa che con ogni probabilità la Russia è l’ultimo maestoso palcoscenico che il fato potrà riservargli. Arrivare così, per i peruviani, dopo 36 anni è segno di predestinazione astrale. La coppia Farfan-Guerrero non può essere scissa, come scelta ab origine per questo preciso momento: ogni giudizio relativo alla condotta di uno o più individui, perciò, resta argomento debole di fronte alla volontà del caso. Nessuno, ammoniscono dal Perù, si permetta di rovinare questo momento. Giungono segnali minatori alle normative FIFA, rea di aver già danneggiato, in quel 1994, i sogni di tutti gli argentini incollati di fronte ai televisori con addosso una maglia col diez e con su scritto “Maradona”. In Sudamerica se sei hombre del pueblo, lo resti. I colpevoli sono solitamente i grandi con la cravatta dal soldo facile. E chiaramente gli yankees. Sono gli stessi che assistono e prendono parte alle discussioni sulla sorte di un uomo che può aver sbagliato, ma che non può rinunciare così al proprio momento. Si tratta di un’appello verso una maggiore umanizzazione dei giudizi e delle conseguenti condanne, che vanno oltre la semplice personalizzazione individuale per approcciare a una dimensione collettiva, che in quanto realtà sociale può decretare o meno l’assoluzione del caso.

Guerrero sarà

Ogni peruviano ha legato, anche solo per un momento, il proprio destino a quello di Paolo Guerrero. È una lotta d’affetti, d’emozioni e d’intese:  un professore che compone il poema Contigo Capitán, decantato nel cortile del Colegio San Pedro di Chiclayo davanti a bambini e docenti, i cani poliziotto con addosso la maglia della nazionale con il nome del puntero, gli appelli da parte di colleghi di ogni nazionalità, quali fra tanti Luis Suarez, Lloris, Kjaer. Così, a pochi giorni dall’inizio del Mondiale russo, il 31 maggio viene emanato che la squalifica di Paolo Guerrero è stata temporaneamente sospesa, per poi riprendere con ogni probabilità nei mesi successivi a luglio. El Depredador, un altro soprannome affibbiatogli, potrà disputare la Coppa del Mondo, così come il destino sembrava predire da tempo, mentre il Perù vive il tripudio di aver vinto un’immensa battaglia corale.

Guerrero, capitano del Perù | numerosette.eu

Sarà il capitano del Perù, la pedina fondamentale per il 4-2-3-1 di Gareca, il numero nove delle grandi occasioni: l’obiettivo sarà il secondo posto in un girone composto da Francia, Australia e Danimarca. La nazionale peruviana durante le Qualificazioni ha dimostrato di essere una squadra estremamente consolidata nell’idea di gioco importata dal ct Ricardo Gareca, duttile e attenta in fase di contenimento, abile e dinamica nei suoi fraseggi nella manovra d’attacco. Guerrero, come già detto, sarà necessario per la massiccia dose d’esperienza che può conferire, assieme a Farfan, all’attacco, oltre che chiaramente per le sue ormai note capacità balistiche. Ormai trentaquattrenne, il numero nove è stato in grado di conservare la propria rapidità in area di rigore e allo stesso tempo di maturare una più ampia capacità di lettura e di impostazione del gioco partendo già dalla trequarti. Un puntero, certo, ma in grado di posizionarsi anche spalle alla porta, visto oltretutto il contingente tecnico e atletico della nazionale blanquirroja.

Guerrero sarà l’uomo-simbolo di un Perù che ha già dimostrato di saper lottare, come il proprio nueve in area di rigore, contro il mondo intero. La vida es una tómbola, canta Manu Chao.

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