Alleen Gezamenlijk Oefenen Voert Verder, abbreviato in AGOVV, è un club olandese fondato nel 1913 da un gruppo di teetotallers, una delle tante comunità puritane locali. Vicino al fallimento qualche tempo fa, i suoi tifosi hanno deciso di onorare l’unico motivo d’orgoglio della storia del club: Klaas-Jan Huntelaar. Gli hanno così dedicato un settore dello Sportpark Berg, lo stadio di casa, con la Klaas-Jan Huntelaar Stand.
“Il cacciatore”
È ad Apeldoom, dopo 26 gol in 35 partite, che nasce la leggenda del cacciatore, ruolo controversamente interpretato da Huntelaar, al contempo predatore e preda sempre calato, anche negativamente, nella realtà in cui si trova. Probabilmente Huntelaar è il meno olandese degli Olandesi, lontano dallo schematico razionalismo nord-europeo è invece influenzato dalle circostanze, affamato di forti emozioni e tendente spesso all’egocentrismo, alla voglia di attenzioni senza le quali è un uomo perso, prima che una meteora. Mantiene la sua centralità dopo il passaggio all’Heerenveen, sempre sordo ai paragoni con Van Nisterlooy che supera in media gol stabilendo il record in Eredivisie, tuttora imbattuto, di 0.77 reti a partita nelle quattro stagioni all’Ajax.
Amsterdam è il suo habitat naturale, la silenziosa trasgressione della capitale, anticonvenzionale nella legalità, è il posto dove Huntelaar raccoglie pesanti eredità senza sentirne la pressione, nella quiete non monotona della quale è sempre stato alla ricerca. Sui canali della città scorrono come riflessi i colpi di testa di Klaas, rapace finalizzatore che si è posto al pallone come nella vita, con le spalle inesorabilmente alla porta. La sua è la storia di un calciatore che ha preferito avere con la rete sorretta dai tre legni un legame intensissimo ma istantaneo, pochi istanti da sfruttare per gonfiarla senza curarsi eccessivamente del modus operandi. Nella storia del football di bomber di razza ce ne sono stati, ma pochi hanno saputo abbinare alla prolificità la vena creativa come Huntelaar, artista del gol unico nel proprio stile semplice, eccezione alla regola della punta statica il cui repertorio è spettacolare nelle numerosi varianti.

Mai così vicino a Van Gogh
Forse Huntelaar è stato penalizzato dalla precocità con la quale è stato proiettato nell’Olimpo del calcio Nazionale. Gli viene affidata la fascia di capitano dei Lancieri in un momento spartiacque per la società, fra il ritiro di Jaap Stam e i continui infortuni di Davids, a soli 24 anni si è ritrovato a guidare la compagine più titolata del Paese, lui, che è nato a Voor-Drempt, un villaggio che al giorno d’oggi nemmeno esiste più. L’investitura incrementa l’hype già elevato, soprattutto in occasione del trasferimento al Real Madrid. L’arsenale offensivo di cui dispongono i Blancos nella stagione 2008-09 è composto da Robinho, Raùl, Higuaìn, Saviola e proprio Ruud Van Nisterlooy ed in Spagna Huntelaar palesa già il suo difetto principale: la debolezza psicologica. Il rendimento non è niente male, non fa mancare il proprio supporto in soli 6 mesi di permanenza alla corte di Juande Ramos, ma la concorrenza lì davanti è davvero spietata, l’inesperienza e le aspettative della piazza sono troppo per lui, personaggio persino “hippie” nella sua mitezza che ama lavorare in armonia. Così come Van Gogh nei momenti di solitudine ha il fratello Theo che riempie i suoi vuoti esistenziali, Huntelaar ha Maddy Schoolderman, al suo fianco dal 2000, che rappresenta l’alternativa all’individualismo predominante nel pensiero di Huntelaar. È un giocatore isolazionista che si è però riuscito ad adattare alla convivenza in campo con compagni d’alta caratura, dapprima con Luis Suàrez, creando un duetto complementare di tecnica ed efficacia, poi, durante le esperienze con gli oranje, con Van Persie e Van Nistelrooij.

L’Asse Milano-Gelsenkirchen
Leonardo al Milan prova proprio a fare questo, farlo uscire dal suo individualismo per costruire il 4-3-1-2 rossonero con lui e Pato davanti e Ronaldinho da trequartista. Ma nel rombo Huntelaar non riesce a imporsi come minaccia aerea, Zambrotta e Oddo non hanno il passo di Germania 2006 e non possono proporsi perpetuamente in entrambe le fasi costringendo la squadra a optare per una tattica palla a terra in cui Huntelaar è un pesce fuor d’acqua, per la troppa necessità di movimento negli spazi che apre opportunità maggiori a Borriello e Inzaghi. Acerrimo nemico di Huntelaar è il tempo, inesorabile, che lo spaventa e questa paura è evidente nella prodezza dalla distanza contro il Cagliari, frutto dell’ansia per quel posto da conquistare al Mondiale di Sudafrica 2010 – che sarà un’esultanza strozzata in gola per l’Olanda – che vacilla.
Il cacciatore deve molto a Huub Stevens, l’allenatore suo connazionale che l’ha voluto allo Schalke l’anno successivo. Lo studiò da avversario quando allenava il PSV e lo comprese perfettamente sul piano umano e in Germania plasma l’attitudine di Klaas al gioco riaccendendo la luce su di lui. Gli affianca di nuovo Raùl Gonzalez Blanco soprattutto per garantire la giusta crescita al promettente Julian Draxler, inizialmente esterno di sinistra, e decide di schierare un 4-4-2 dove la velocità di calciatori come Jefferson Farfàn possa aumentare la quantità di traversoni destinati al numero 9. Nel 2012 sono 29 i gol in 32 partite, è il momento in cui il sismografo della carriera di Huntelaar tocca il suo picco più alto e stabile di sempre, riesuma l’inguaribile goleador che sconfigge l’egemonia di Mario Gomez in qualità di Tor Kannonen. La frequenza con la quale butta la palla in rete presagisce un nuovo corso per lui, ma la parabola si riabbassa nel dualismo con Van Persie in Nazionale, sebbene il 5-3-2 di Van Gaal al mondiale brasiliano avrebbe potuto garantirgli la titolarità accanto a Robben. Il celebre calcio alla bandierina dopo il rigore trasformato trasuda di desiderio di riscatto. Riscatto, appunto, che proverà ad emergere l’anno successivo, quando incrocia il Real Madrid, ma lascerà l’amaro sulle labbra. È un flashback spiacevole con un netto 6-1 per gli uomini di Ancelotti, ma la strabiliante volée con la quale sigla il gol della bandiera dimostra il carattere determinato di Huntelaar, pronto a sfilare magie dal cilindro pur di avere vendetta.
Il ritorno del figliol prodigo
Nonostante conquisti la fascia di capitano, a Gelsenkirchen comincia a perdere di smalto fino a toccare le 13 partite senza segnare, sufficienti per capire che la propria positiva esperienza nella Ruhr è giunta al capolinea, gli infortuni si aggravano è l’onore di essere stato l’unico capocannoniere nederlandese della Bundesliga può addolcire l’addio tanto sofferto. Huntelaar vive sempre una simbiosi totale con la città che lo ospita, e se riesce a farla sua il risultato è inequivocabile: il gol. Contrariamente il disagio lo relega alla condizione di comparsa incapace di ribellarsi. Non ha mai rischiato più di tanto, per questo desidera solo tornare a casa e vestire la maglia rosso bandita che l’ha reso grande. Torna all’Ajax. E se a 35 anni conclude in doppia cifra togliendo il posto a una promessa come Dolberg, significa che davvero nessun posto è bello come casa.
Huntelaar sarà
Klaas-Jan Huntelaar è un’ancora alla quale la nave alla deriva del calcio olandese può aggrapparsi per ritrovare l’identità perduta negli ultimi anni
La crisi del voetball in corso nei Paesi Bassi non pare aver trovato soluzioni, manca un esempio al quale rifarsi per ispirare l’acerba nuova generazione. Huntelaar è quel tramite fra l’epoca d’oro e la contemporaneità in grado di capire le necessità dei giovani calciatori, come un politico calcistico intriso nel tessuto urbano e sociale dello Stato. Bandiera poco loquace ma saggia, ha nette somiglianze con l’icona pop di Johan Cruijff, rivoluzionario romantico e schivo col quale condivide l’emotività virale con cui si afferma come idolo d’intere tifoserie, dall’entroterra alla metropoli. Klaas-Jan Huntelaar è stato fra gli unici a far ritorno all’Ajax. Emblema del calcio nostalgico, fermo in quei 16 metri che sintetizzano tutta la sua esistenza, Il Cacciatore siederà eternamente sul trono dei Re di Amsterdam.