Provo a immaginare la fortuna che può avere un ragazzo di vent’anni, alle prime esperienze in prima squadra nel calcio professionistico. Nel trovare un maestro di campo, che non ha bisogno di usare la retorica del buon insegnante. Provo a farlo, e nella mia mente c’è un nome che spicca su tutti. Con quel capello brizzolato, la voce consumata e gracile di chi ha gridato tanto, spesso ottenendo meno. Nello sguardo si intravede un barlume di amarezza, di chi ha perso occasioni, consapevole di non esserne realmente il primo responsabile. Un nome, Gianpiero Gasperini.
Essere Gasperini non è da tutti, non è per tutti. Non è un personaggio che a primo impatto lo si può definire simpatico, né tantomeno solare. Ne he fatto una virtù in un mondo difficile, spietato per certi versi. Non c’è bisogno di piacere, c’è bisogno di guadagnarsi rispetto ed autorevolezza; in questo Gasp, non divide. Per i giovani è un Caronte in tuta durante la settimana, e in giacca e cravatta alla domenica.
Ma a lui non piacerebbe essere definito tale, a chi piacerebbe essere etichettato come un mezzo per un fine? Ha ragione, chiedere a Pegli, o a Zingonia. Due luoghi, in cui Gasperini è stato compreso, aspettato, perfino diventato simpatico.
Innocenza
A livello personale e didattico è stata una palestra incredibile. Mi ricordo il primissimo allenamento che ho fatto con i bambini in campo. Mi ero portato una cartellina che avevo appoggiato in panchina, ogni tanto mi avvicinavo e sbirciavo. Avevo paura di non fare le cose così come le avevo preparate. Pensavo: ma sto facendo bene? I ragazzi mi hanno dato una cosa che spero di non perdere mai: l’entusiasmo. Ai ragazzini gli dai un pallone e giocano, ogni tanto gli metti qualche regola, ma loro si divertono comunque. Giocano per giocare. Giocano per il calcio.
Ciò che rende Gasperini davvero speciale nel suo modo di allenare e di insegnare, è che riesce, con i suoi giocatori, a non far svanire l’incantesimo. Di fare della professione più fortunata al mondo una passione innocente, e di trasmetterlo ai ragazzi diventati ormai adulti. Attraverso il sacrificio che impone con i suoi allenamenti e i suoi singolari schemi, ripaga i calciatori di sensazioni primordiali legate a questo sport. Soltanto per l’importanza di stare in un gruppo e condividere una maglia, lasciando da parte, nei momenti di puro calcio, i benefici di cui possono godere ragazzi appena maggiorenni in questo mondo.
Gasperini ha iniziato con i giovani, nelle giovanili della Juventus, e non li ha più lasciati. Non ha bisogno di andarci d’accordo, è il campo il punto di coesione.

Gasperson
Dicevamo di Pegli, dove Gasperini allenatore ha posto le basi per qualcosa di differente nel nostro calcio. A Genova ha vissuto momenti intensi, nonostante un rapporto complicato con la tifoseria nella sua seconda parentesi. Anche stavolta, senza esserne responsabile. Quello che ha dimostrato negli anni, è che può esistere una metolodogia diversa nell’allenare. Ha sfruttato un vuoto lasciato dall’eredità sacchiana, e lo ha applicato secondo la sua idea di calcio. Innovazione, unicità, credo offensivo, il tutto con ferrea disciplina tattica. La difesa a zona delle squadre del Gasp, con i terzini utilizzati come centrali nella difesa a 3, oppure utilizzati come laterali di centrocampo, senza rinunciare alla trazione anteriore. Una squadra camaleontica, non per questo caotica. È stato un’esperimento che ha reso il suo Genoa una squadra peculiare, soprattutto nella sua prima esperienza.
E poi c’è Marassi.
Sembra tutto disegnato per far rendere le sue idee. Il Ferraris è uno stadio che puoi incontrare nella Championship inglese, la seconda divisione. Per importanza e storia sembra riduttivo paragonarlo a uno stadio di Serie B, ma il livello dei nostri vecchi impianti non mi lascia che essere oggettivo. Il concetto è che la singolarità del suo manto erboso, con le sue dimensioni atipiche e la vicinanza degli spalti, sono state un habitat naturale per gli schemi di Gasperini. Nessuno come lui ha saputo sfruttare le sue caratteristiche attraverso i suoi schemi, nessun altro allenatore avrebbe potuto sposare alla perfezione il suo credo, ed adattarlo alle porzioni di campo di Marassi per disporre al meglio i suoi giocatori.
Dalla tv si ha una percezione strana delle partite del Genoa e della Samp, la telecamera sembra posizionata in modo tale da alterare la visuale e da enfatizzare le proporzioni irregolari. In alcune azioni, la copertura visiva non consente di vedere il fondo. Gasperini con i suoi concetti ci ha messo del suo, ed ogni calciatore conosce benissimo i difetti di quel campo, trasformandoli in una condizione favorevole per le trame di gioco applicate. La prima mezz’ora del suo Genoa era asfissiante. Il pressing alto e senza sosta, il 3-4-3 ben disposto a sfruttare l’ampiezza, laddove ampiezza non sembra esserci.
Per gli avversari quel Marassi diventava claustrofobico: gli spazi stretti, pressochè inesistenti, lasciavano un senso di perdizione e disorientamento. Rimasi affascinato, davanti alla tv, dalle sue geometrie assimetriche, un senso aritmico, ma piacevole. Da come il Gasp creava calcio fantasioso e innovativo, unendo irrazionalità e meccanismi oleati. Da quella situazione di gioco, da quella frazione di partita, uscire indenni dai primi trenta minuti da Marassi era compito arduo per tutte le squadre. E Gasperini, intanto, veniva ribattezzato Gasperson, il più onoreficiente dei soprannomi, scomodando un’icona come Sir Alex.
Passaggio a vuoto
Il momento più brutto della mia carriera. Ma ormai a quel punto era già tutto deciso. C’era attorno a noi un clima assurdo. Nei giocatori era subentrata la rassegnazione. Sbagliammo tutto.
Cinque partite e una carriera probabilmente compromessa ad alto livello. Gasperson cessa di esserlo, di essere, per un paio di anni. Si tratta soltanto di aver incontrato le persone sbagliate, per il suo modo di fare e produrre calcio, nel momento, il momento della sua carriera. Moratti, e Zamparini poi, non lo hanno capito. Ma soprattutto non lo hanno aspettato. In quel periodo all’Inter fu davvero tutto sbagliato. I nerazzurri necessitavano di una restaurazione post-triplete e fu scelto per questo. C’è tanta amarezza nel ricordo di quei due mesi: il terrore della dirigenza al pensiero della difesa a tre, le divergenze con il club sulle scelte di mercato, come l’acquito di Zarate invece che puntare su Coutinho, del quale Gasp aveva intravisto le potenzialità che ha poi dimostrato. Forlan arrivò in procinto di sostituire Milito, nonostante la stessa età.

Quello che ha sempre fatto notare è che credeva in quella squadra, credeva di poter far assimilare i suoi concetti, senza bisogno di stravolgere tutto. La confusione regnava sovrana. E la confusione, per Gasperini, è un concetto avulso, che spreca il lavoro, arresta i progressi. In quei due anni, confuso, lo è stato davvero. Tra Milano e Palermo, quel senso di smarrimento che fa cominciare a dubitare su quello che sei stato e quello che ora dovrai essere, per imposizione sociale. La stampa, i tifosi, chiedevano a gran voga uno step alla sua carriera. In questa situazione di pressione tangibile, Gasperini ha scelto di tornare sui suoi passi, di tornare a casa. A Pegli, che non avrà i riflettori di San Siro, non ha quel fascino solenne, ma quanto si schiera bene la difesa a 3 alta, al Ferraris.
Mai decisione fu cosi provvidenziale.
La Dea
Le cose lente sono le più belle. Nella metodologia di lavoro del Gasp è richiesta una certa lentezza. Nel senso di quiete, che non è stasi, ma pazienza. La pazienza di chi sa aspettare, in piena fiducia con le scelte fatte . Lo sa bene Percassi, quando l’Atalanta ha deciso di confermare Gasperini dopo tre punti in cinque partite e il penultimo posto in classifica.
L’Atalanta di Gasperini è un’evoluzione del suo Genoa. Stessi concetti, stessa verticalità, stesso senso pratico. Una squadra positivista, dinamica, che magari non è passionale, ma al tempo stesso appassionante. La cultura del lavoro, l’attesa dei progressi, il settore giovanile: terreno fertile per lui. Gasp da tempo prende come esempio il modello dell’Athletic Bilbao, ponendo l’accento sul concetto di identità e condivisione. Non è campanilismo, non è nemmeno retorica sugli stranieri nel campionato. La versione 1.0 della sua Dea aveva 7 giocatori bergamaschi, cresciuti assieme nel vivaio. È assieme che ci si sente più forti, più uniti alla causa. Per sposare la sua causa, devi condividere. Il sacrificio, il posto da titolare.

La rosa dello scorso anno, la sua versione 2.0 che ha ben figurato in Europa, era costituta da una ventina di elementi perfettamente interscambiabili. Non c’era una squadra A e una squadra B, ma giocatori quasi completamente equivalenti e polivalenti. L’intelligenza con il quale è stata costruita quella squadra per potersi ripetere e disputare una buona Europa League, è frutto di una sintonia perfetta tra allenatore e dirigenza. Che in campo, diventa armonia. Quando questo avviene, il Gasp fa divertire, ed è un’armonia semplice, poco articolata. La strada più facile per fare calcio, la più difficile da raggiungere se non si è in grado di aspettare.
Gasperini non sarà
Gasperini non sarà un allenatore da top club, dubito che possa trovare un altro treno simile.
Per fortuna.
La sua personalità verrebbe meno, il suo modo di fare burbero quando serve e disteso quando vuole, non sarebbe lo stesso. Quasi che non possa divertirsi in un certo ambiente blasonato, che non riesca a godere dei frutti del suo lavoro. Il suo è un calcio operaio, difficilmente riproponibile in grandi realtà. Una settimana di lavoro, meccanico, ma al tempo stesso pensato, ragionato. Per un weekend di appagamento, soddisfatti e liberi di divertirsi. In questo caso su un campo rettangolare, ad ammirare la sua Dea. Attesa, giovane, bella.