“Il problema della Scozia è che ci sono troppi scozzesi”
Edoardo I nel film “Braveheart – Cuore Impavido“
Questa frase l’ho sempre avuta in testa.
Sarà che in Scozia ci sono stato e che ho potuto vivere in prima persona la moltitudine di dialetti stretti, slang e parole strozzate che ti fanno per un attimo pensare di non essere più nel Regno Unito: del resto se gli scozzesi sono chiamati i baresi della Gran Bretagna, beh ci sarà pure un motivo.
Ogni volta che entro nella terra di Sir.William Wallace, però, mi viene in mente una persona che è riuscita a farsi largo in una nazione tanto aperta quanto chiusa, tanto meravigliosamente mozzafiato quanto selvaggia: Manuel Pascali, storica colonna del Kilmarnock, un uomo che con la sua normalità ha fatto innamorare i tifosi più stravaganti del mondo.
Manuel, fresco di promozione in Serie B con l’ormai suo Cittadella, ci ha raccontato la sua unica, magica ed infinitamente suggestiva esperienza in Scottish Premier League.
– Come ci si sentiva da italiano in un paese così patriottico? Non so se ho reso l’idea, ma quanto è stato facile o difficile diventare un’icona dei tifosi del Kilmarnock da giocatore straniero appena arrivato dal Foligno? Da solo poi, hai costruito davvero un enorme castello.
“È stata un’ottima esperienza, fantastica. Appena arrivi in un paese nordico ti aspetti gente fredda e chiusa, ma non è stato così. L’Italia affascina e attira curiosità, l’italiano purtroppo un po’ meno.”
“Per vincere lo scetticismo che può esserci prima di conoscere una persona basta sapersi porre, perché non appena capiscono che sei una persona posata e con la testa sul collo iniziano ad accettarti ed apprezzarti per quello che sei”
“La cosa più difficile è stato senza dubbio conoscere la lingua, davvero complicato, ma alla fine dovevo farlo e ne è valsa la pena. In questo processo di ambientamento sono stato aiutato molto tanto dai miei compagni, a partire dalle settimane in cui arrivai per una settimana di prova, quanto da me stesso.”
“Essere l’unico italiano è stato sicuramente un vantaggio, meglio che se fossi arrivato con altri connazionali; spesso mi è capitato di vedere persone dello stesso paese fare gruppo fra di loro senza riuscire ad ambientarsi completamente con il resto della squadra, io invece ero obbligato a farlo quasi per un istinto di sopravvivenza, in fondo chiedevo soltanto di giocare.”
– Potresti raccontarci come è nato questo rapporto così magico e qual è il ricordo più nitido ed emozionante della tua esperienza in Scottish Premier League? Forse il gol contro i Rangers o quella coppa alzata da capitano nonostante fossi infortunato?
“Nel 2011 quella rete è stata sicuramente il ricordo personale più bello, anche perché la partita era in diretta persino su Sky Sport; i Rangers con una vittoria avrebbero sancito anche il record europeo di vittorie esterne, ma la mia rete all’89esimo è stata indimenticabile.”
(Il Kilmarnock non vinceva contro i Rangers dal 1978, ndr.)

“La finale di coppa contro il Celtic? Ero infortunato per una frattura del perone, ma quel giorno ho imparato che si può essere decisivi anche non giocando.”
“Io, quando la gente me lo chiede, dico che la partita l’ho giocata; nonostante avessi le stampelle ero andato ogni giorno al campo d’allenamento, avevo seguito la squadra ed ero stato con loro, quindi quella vittoria era davvero di tutti. Alzare la coppa da capitano è stata un’emozione ovviamente unica.”

– Il tifo e il calcio d’oltremanica sono da sempre un miraggio per noi europei: ho potuto notare la diversità di approccio e di fedeltà verso la squadra nella mia esperienza inglese, tu quali differenze hai notato fra il tifo italiano e questo genere di supporters tutto pub and pints?
“I tifosi scozzesi, ma in generale tutti quelli d’oltremanica, hanno un modo diverso di approcciare al mondo del calcio; si accetta la sconfitta, il massimo che puoi subire è uscire tra i fischi per una brutta prestazione ma sanno che nel calcio come in ogni sport si può perdere.”
“Porto il mio esempio, iniziammo benissimo ma verso dicembre arrivo la classica flessione di una squadra non costruita per vincere, loro però davano colpa soltanto alla sfortuna o magari all’arbitro, i giocatori non erano mai contestati. Noi ci stavamo mettendo l’anima e loro lo sapevano, al massimo ci siamo presi qualche “Buuu” ma se vedono che dai tutto per loro sei già perdonato di tutto. Solo così, solo finendo ogni partita con la maglia sudata potrai diventare il loro numero uno.”
“Perché a loro fondamentalmente basta quello, basta vedere che dai l’anima per la loro squadra.”

– Dulcis in fundo: visto che hai fatto il Fantacalcio con Verratti e Criscito puoi dirci se hai vinto o uno di loro ti ha portato via la vittoria finale?
“Ovviamente l’ho vinto io, la parola chiave è stato il commitment, l’impegno che ci ho messo sin dalla prima domenica; Verratti ha avuto un c*** allucinante, non metteva mai la formazione ma vinceva sempre, alla fine però ha vinto la dedizione e la continuità. C’erano anche Donati, Fausto Rossi e Immobile oltre a Mimmo Criscito.”
“Non abbiamo messo in palio soldi ma sto ancora aspettando la coppa che mi dovrebbe portare Verratti. Fondamentalmente, scherzi a parte, abbiamo giocato per la gloria.”

Poco importa per la coppa del Fantacalcio, tanto la vera e più grande vittoria il nostro protagonista l’ha già raggiunta: riuscire a farsi amare e diventare un idolo in un paese duro come la Scozia, terra di scozzesi e di cuori impavidi.
Un po’ come quel Willlam Wallace interpretato da Mel Gibson, un po’ come quel Manuel Pascali capitano del Kilmarnock.
Storie di calcio, ma cosa dico, storie di vita.
Grazie a Manuel Pascali
Intervista a cura di Lorenzo Semino