Ne era passato di tempo da quando re Ifito, dopo aver sconfitto i Piasti, si impadronì dell’Elide e, per festeggiare, indusse la prima Olimpiade, formata da una corsa: unica, come la Nazione che boicottò qualche millennio più tardi l’evento che portò Los Angeles, nel 1984, ad essere il centro del mondo.
Avanti e dopo Cristo, a spasso nel tempo per motivi politici: se quattro anni prima gli Stati Uniti non si erano presentati in Russia, adesso i sovietici rispondevano con la stessa moneta. Un’assenza rumorosa, che inasprì ancora di più i rapporti tra i due colossi in uno dei momenti più tesi e delicati della Guerra Fredda: il blocco URSS subì l’influenza del paese comandante e solo la Romania di Ceaușescu e la Jugoslavia di Tito si emanciparono volando oltreoceano. Probabilmente, la vera storia di questa Olimpiade parte proprio da questo mancato rifiuto romeno: tante le favole marchiate a stelle e strisce.
Los Angeles fu una rotonda a più uscite: se a destra entravano i cinesi e gli sponsor, a sinistra uscivano la URSS e Cuba. E le direzioni non sono un caso. Così, mentre la Cina si riavvicinava definitivamente all’ambiente statunitense, il mondo si spaccava ancor più a metà: da quale parte pendeva la bilancia? Sicuramente da quella del successo.
Il 1984 rappresentò un crocevia per quanto riguarda il mondo dell’economia e quello dello sport che, per una delle prime volte, si unirono insieme traendo benefici che sarebbero cresciuti a dismisura nel tempo. Il mondo stava avanzando molto velocemente e i soli fondi privati utilizzati furono una nuova linfa per i finanziamenti. La minimizzazione dei costi fu il vero e proprio asso nella manica degli organizzatori: dopo la pioggia di critiche, il riutilizzo delle strutture già esistenti e la riqualificazione di quelle utilizzate già nel ’32 furono le basi per il successo del progetto di Peter Ueberroth, capo del comitato che ha dato il via alla manifestazione e nato, curiosamente, il giorno della morte di De Coubertin, capace di fruttare svariati milioni di guadagno e di riunire il più alto numero di paesi partecipanti fino ad allora.
Figli del vento e profeti della solitudine, alzatevi: non è un rito tribale, bensì l’invito che sto porgendo ai campioni di quell’Olimpiade. A Los Angeles, infatti, la fecero da padroni Carl Lewis ed Edwin Moses: ma se il secondo era già un mito, il primo scrisse la storia di quei Giochi, affiancando la sua immagine accanto al ricordo del 1984.
“Sweet home Alabama, where the skies are so blue“: cantavano così i Lynyrd Skynyrd, veniva da lì Lewis, sulle orme di Jesse Owens che, a Berlino ’36, spazzò via una parte dei pregiudizi che il mondo continua tutt’oggi a tener vivi. Furono quattro medaglie d’oro poliedriche, dai 100 metri al salto in lungo, dai 200 corsi in 19.80 alla staffetta con primato mondiale: sempre in scioltezza, mai in discussione, le sue sembrarono più dovute che sudate. Finirà la sua carriera a trentacinque anni vincendo, con un record di longevità, il suo nono oro.
Accanto a lui, l’impresa della Romania e la semplicità di Moses: arrivati senza essere attesi, non rendendo conto delle loro azioni all’URSS, i romeni entrarono subito nelle simpatie degli americani andando oltre le loro intenzioni. Con grande epicità, il medagliere li vide classificarsi secondi con cinquantatré medaglie totali e, dopo essersi fatta valere nell’atletica e nella ginnastica, la nazione di Ceaușescu eccelse soprattutto in acqua, dalla canoa al canottaggio.
Per Moses, invece, fu un gioco da ragazzi: dopo aver infilato una serie di centoventidue gare senza sconfitta, serie inserita nella storia dal 1977 al 1987, dovette subire solamente alcune insidie che, con il corso del tempo, si tramutarono dapprima in avversarie e solo successivamente in insuccessi. Inoltre, sono da ricordare anche la sfortuna della Decker, che nei 3.000 metri urta la rivale cadendo e lasciando la vittoria all’outsider romena Puică; ma anche la stoica Andersen, maratoneta svizzera che raggiunse il traguardo barcollando in preda a una crisi di disidratazione. Non solo, la marocchina Nawal El Moutawakel fu la prima donna proveniente da un paese islamico a vincere un oro olimpico, con Valerie Brisco-Hooks che realizzò la doppietta 200-400 per la prima volta nella storia.
L’Italia, dal canto suo, totalizzò quattordici medaglie d’oro, sei d’argento e dodici di bronzo, con l’Olimpiade che venne vinta però dai padroni di casa, forti di aver cambiato per sempre il modo di fare e organizzare lo sport.
Correva l’anno 1984, dove non si bruciavano libri, non si viveva in un mondo dispotico, bensì in un globo in piena evoluzione alle porte della globalizzazione. Non ditelo a Orwell, però.