Cádiz.
O Gadir per i fenici, Gadea per i greci. Il nome cambiava, e lei ci è sempre stata. La città più antica d’Occidente. Una delle più a Sud d’Europa, il Marocco a 12 km, ma ancor più vicino di quel che sembri. La città di Suso, uno dei talenti iberici che il nostro calcio ha adottato. Ma non è lui il personaggio più celebre del capoluogo andaluso, e nemmeno il calciatore più forte che si sia visto da quelle parti.
Animo gitano, animo gaditano
Cádiz è la patria del flamenco, quel lamento nomade che scandisce la vita dei suoi abitanti e la riempie di leggende metropolitane. Storie, esagerazioni, il passato reale che si confonde ai racconti dei suoi abitanti spesso gonfiati di epica e caricature. I gaditani, così si fanno chiamare, nome che deriva dai fenici. Tremila anni fa si insediarono su tre isolotti che il tempo e le maree hanno unito. Qui tutto è distintivo e riconoscibile per la cultura iberica. Come un luogo non banale, identificativo, esuberante, per il carattere di chi la vive e per l’atmosfera che si respira. Una città callejera, che vive la strada e vive per essa. Una città gitana.

Dicevamo del flamenco, gli andalusi sono persone che amano i ritmi blandi, un po’ quello che accade in Sud Italia. Con annesse dicerie su luoghi comuni della sua popolazione. Blando l’andamento della vita, ma costantemente di buon umore, cadenzato dai palmi delle mani che battono, che emettono un inconfondibile suono. Piacevole, ridondante, seducentemente armonico tra i vicoluzzi del centro storico. Se ti capita di fermarti per qualche giorno, è un’assonanza che ti entra in testa, che percepisci anche se in quel momento non la stai realmente ascoltando. Quel contrasto sonoro che si crea con il lamento gitano dalle sfumature arabe, che da voce agli accordi di chitarra grattati e agli arpeggi armonici.
El Camaron de la Isla
É facile in una città del genere creare una narrazione perpetua, che si instaura e si radica nel tempo. Quello che più mi ha affascinato nei miei due soggiorni a Cádiz è l’affezione per chi ha lasciato qualcosa lì, qualcosa che ha acceso la passione della gente, che ha trasmesso e allo stesso tempo vissuto con loro quelle emozioni ormai divenute indelebili. Chi è nato a cavallo tra gli anni ’50 e ’70 a Cádiz ti dirà, portandolo come un sussulto d’orgoglio, che nella propria camera conserva tre foto.
Quella della sua famiglia, del Camarón, e quella del Mágico Gonzalez.

El Camarón è il nome d’arte di José Monge Cruz, nato a la Isla: la Isla de San Fernando, un lembo di terra nella bahia di Cádiz. Fino al 1992 ci ha vissuto, anno della sua morte, confondendosi tra gli abitanti nelle notti gaditane. Entusiasmando un’intera città e costruendo attorno a sè una figura leggendaria, per colui che è definito come il cantante di flamenco migliore di sempre. Le sue grida, i suoi lamenti, il suo timbro vocale, è conosciuto in tutta la Spagna e continua a riecheggiare tra le nuove generazioni. Le quali hanno avuto il piacere di ascoltare storie di un personaggio border line, e per questo amato da un popolo esuberante e orgoglioso di avere tra i suoi conterranei un artista che ha fatto la storia della musica dell’intero paese.
Morto per un cancro ai polmoni, aveva sempre la sigaretta in bocca. Si narra che per cantare flamenco, il tabagismo sia una sorta di rituale per rendere la voce più prestante, graffiante, a differenza dello stile canoro tradizionale dove invece il vizio delle sigarette porta presto alla perdita delle abilità. Era dipendente da eroina, per non farsi mancare nessun vizio. Eppure, l’eroina non lo ha sconfitto, la notte di Cádiz era tutto ciò di cui sembrava avesse bisogno. E chi lo ha visto aggirarsi tra atmosfere notturne e locali caldamente sconsigliati, può affermare di averlo visto felice soltanto tra la sua gente. A la Peña, come dicono da quelle parti, un luogo di ritrovo dove è consuetudine suonare flamenco senza programmare troppo – para disfrutar la vida – ti diranno.
La scoperta di Luis Aragonés
Non so se vi ricordate di Luis Aragonés, quella specie di santone sull’ottantina, che diede il via al ciclo vincente della Nazionale spagnola, vincendo l’europeo del 2008. Era il ct di quella selezione, ed amava ascoltare flamenco. Il primo filo conduttore che lega il Camaron con il calcio è alquanto bizzarro e insospettabile. C’è perfino un luogo esatto: La Venta de Vargas, un ristorante de la Isla di San Fernando. Aragonés si trovava a Cádiz perchè il suo Atletico Madid giocava in trasferta.
Era il 1968 e il Camaron era soltanto un pischa della isola, un ragazzo che cantava divinamente ma non era molto conosciuto. Luis notò il suo incredibile talento e si decise a chiamare un suo grande amico, Manolo Caracol, il quale possedeva un locale a Madrid molto conosciuto per la musica flamenca. Di fatto, Luis Aragonés fu colui che scopri El Camaron de la Isla, che lo ha reso famoso a livello nazionale, che portò nella capitale quella voce diventata poi iconica, insostituibile in tutta la Spagna.
Y el Mágico Gonzalez
Veniamo al vero fil rouge calcistico del Camaron, interamente locale, quasi mitologico, puramente gaditano. Negli anni ’80 sbarca a Cádiz, compiendo il percorso inverso dei suoi conquistatori secoli prima, un trequartista snello dal volto interamente indios, tra la curiosità generale dei tifosi del Cádiz che seguono appassionatamente la propria squadra. Si chiama Jorge Alberto González Barillas, ci metterà ben poco a diventare per tutti El Mágico.
Per sette stagioni, fino al 1991 contribuirà, dentro e fuori dal campo, a costruire attorno a se stesso una leggenda che solo i gaditani possono venerare in modo sincero, in una miscela di fanatismo e ironia che rende questo personaggio qualcosa di poco tangibile, attorniato da un’aurea quasi mistica.
Tecnicamente, è il calciatore più forte che abbia mai visto.

Così, per sette stagioni, per le strade di Cádiz, hanno convissuto assieme El Camaron y El Mágico, condividendo la stima della stessa gente, e probabilmente, non da escludere, anche qualche serata sopra le righe. I gaditani ricordano ciò con una vena nostalgica che mi ha colpito perchè non ha risvolti negativi sul presente. Il loro ricordo segue vivo, nella mente, nei loro indumenti, nelle proprie case. Basta pronunciare uno di questi due nomi, che si verrà traghettati verso un viaggio paradossale di eccessi e memorie di sette stagioni irripetibili.
Irripetibile, come lo era El Mágico secondo i suoi tifosi. Uno che fece un ritiro con il Barcelona, ma scappò per tornare nella sua Cádiz, perchè a detta sua quelli la facevano troppo sul serio. Si era accontentato di ciò che aveva trovato, e gli bastava. Perchè Cádiz lo ha accolto come idolo assoluto, ma lo ha anche accompagnato in notti brave che ne hanno limitato una carriera dal roseo divenire.

Leggende locali
Gallego cabron, lo del magico es arte y lo tuyo es el cazon.
Un coro dei tifosi del Cádiz, che spesso usavano beccare l’allenatore David Vidal, galiziano e nato a La Coruna, quando non schierava el Mágico. El cazon è un pesce tipico della Galizia. Un coro simpatico e amabile verso chi osava punire il nativo di El Salvador perchè non costante negli allenamenti. Effettivamente El Mágico ha creato non pochi problemi al suo allenatore, innescando situazioni paradossali che il tecnico gallego ricorda con piacere, perchè calcisticamente Gonzalez era un lusso per quel Cádiz. La fortuna dei giallo-blu è che lui aveva deciso di restarci, fregandosene della cosiddetta carriera.
Questo per i gaditani ha fatto sì che lo elevasse ad uno status inequiparabile per qualsiasi altro calciatore, una figura super partes che si distacca dal campo e sfiora il divino. Parlare a Cádiz del Mágico Gonzalez è davvero impressionante. Probabilmente soltanto a Napoli con Maradona si può accendere la passione di un cittadino alla sola pronuncia di un nome, in questo caso, un soprannome. Devoto e a che fare con qualcosa di spirituale, per quello che faceva con i piedi su un campo, e ciò che rappresentava, per il suo stile di vita bucolico.
Venne assunto un maggiordomo per tenerlo sotto controllo, spesso lo andava a svegliare per gli allenamenti, molto spesso è capitato che non riuscisse a rintracciarlo, salvo poi presentarsi quattro o cinque giorni dopo, lamentandosi del perchè non fosse stato convocato. Una volta Vidal raccontò che si mise a palleggiare un pacchetto di Winston Blu dicendo: <<guarda cosa so fare, guarda, che significa che domenica non gioco??>>.
El Mágico, così come El Camaron, di poche parole, donnaioli, non esteticamente affascinanti. Nel caso del salvadoregno, a detta di molti un feo, oggettivamente brutto. Entrambi con un fisico inchiodato, con approcci sgraziati e dai riccioli scombinati. Due semi rachitici con una grande e unica passione: fare della propria straordinaria arte qualcosa di irriproducibile.
A Cádiz, per la gente di Cádiz.