Džeko il Gigante

Roma, 30 agosto 2015. Sulle scottanti panchine dell’Olimpico, rispettivamente lato Roma e lato Juventus, siedono Rudi Garcia e Massimiliano Allegri. Va in scena la seconda giornata di campionato, e l’atmosfera è di quelle delle grandi occasioni: i padroni di casa sono reduci dal pareggio di Verona con l’Hellas, mentre i bianconeri hanno appena perso all’esordio contro l’Udinese allo Stadium, in una gara totalmente dominata dall’inizio alla fine. Una doppia delusione che, alla luce delle attese, inaspettata è dire poco.

Inutile dunque sottolineare l’importanza di un Roma-Juventus che non solo rappresenta lo scontro tra le due maggiori potenze della Serie A (nonché favorite alla vittoria finale), ma anche una ghiottissima chance per invertire la rotta con un colpo da novanta nel verso senso della parola.

Troppi i milioni di euro investiti da entrambe le parti per giustificare un secondo smacco a così pochi giorni dall’inizio della stagione, troppe, per permettersi di fare spallucce, le aspettative nei confronti di giocatori voluti, strappati e pagati a peso d’oro. Dybala, Mandzukic, Alex Sandro, Zaza, Pereyra ed Hernanes da una parte, Salah, Iago Falque, Rudiger e Digne dall’altra. Più Edin Džeko, letteralmente sbolognato alla Roma da un Manchester City che annovera nella propria rosa attaccanti del calibro di Agüero e Sterling e una caterva di trequartisti/mezzepunte alle loro spalle.

L’IMPATTO

La parabola del bosniaco con la maglia dei Citizens aveva subito un netto crollo proprio nel corso della stagione appena conclusa, durante la quale non era riuscito ad andare oltre 6 misere reti in 32 partite. Per fare un paragone: l’anno precedente (il 2013/14, quando il City trionfò in Premier) era stato il migliore in assoluto dal punto vista della prolificità, e la media reti mantenuta lungo l’intero corso della stagione (0,54 reti/gara) derivava per gran parte dalla fiducia che Pellegrini aveva riposto nel suo numero 10. Anche nei due anni precedenti con la maglia degli SkyBlues aveva raggiunto risultati più che discreti, e fu probabilmente per questo motivo che il tecnico uruguaiano optò (almeno inizialmente), per una sua conferma a priori al centro dell’attacco. Metterlo in discussione avrebbe ragionevolmente scatenato polemiche infinite e, ultimo arrivato all’Etihad, Pellegrini non poteva permetterselo.

Torniamo al punto di partenza. Agosto 2015: la Roma versa i quattro milioni pattuiti con il City per dare in mano a Garcia (ma soltanto in prestito) il tanto agognato centravanti, riservandosi il diritto di acquistarlo a titolo definitivo un anno dopo aggiungendone altri undici. Džeko ha 29 anni, e la trattativa viene unanimemente riconosciuta come uno dei più astuti colpacci estivi.

Invece, alla prima di campionato – con grande sorpresa di tutti – si guadagna la palma di peggiore in campo ed è additato come principale responsabile del pareggio contro l’Hellas. Mai come in questo caso dal Paradiso all’Inferno, dunque, per un giocatore che nel precampionato aveva acceso sogni di gloria eterna nei cuori dei tifosi giallorossi segnando reti su reti. Quello che potete leggere qua sotto non è altro che uno dei tanti commenti ingenerosi (ma non troppo) alla prestazione dello spaesato Edin.

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Dopodiché, nonostante le condizioni impresentabili, Garcia decide di schierarlo ancora una volta dal primo minuto otto giorni più tardi. Roma, 30 agosto 2015. Sulle scottanti panchine dell’Olimpico, rispettivamente lato Roma e lato Juventus, siedono Rudi Garcia e Massimiliano Allegri. Va in scena la seconda giornata di campionato, e l’atmosfera è di quelle delle grandi occasioni: Džeko ne percepisce l’aria, e al 79′ raddoppia sia il punteggio, sia il voto in pagella della prima giornata.

Impossibile non ricordarlo così.

ADATTAMENTO IN CORSO

Da quel pomeriggio in avanti accadono molte cose. Džeko il Gigante non riesce a trovare continuità, e, oltre a segnare la miseria di quattro reti tra quel 30 agosto e le prime settimane di febbraio, si guadagna la nomea di oggetto misterioso e attira su di sé una quantità incalcolabile di opinioni, la maggior parte delle quali muta di giorno in giorno senza un apparente filo logico. Insomma, il bosniaco non riesce né a comprendere ciò che gli ruota intorno né tantomeno a farsi capire.

Nel frattempo, a metà gennaio, Garcia saluta la panchina della Roma per far spazio ad uno dei cavalli di ritorno più azzeccati dell’ultimo decennio, che di nome fa Luciano e di cognome Spalletti. La squadra inizia ad ingranare, e dal 30 gennaio in avanti (Roma 3-1 Frosinone) inanella una serie di diciassette gare consecutive senza perdere neanche una partita. In questo periodo di forma generale ritrovata, tuttavia, Džeko si accomoda spesso e volentieri tra le riserve, complici gli arrivi in pompa magna di Perotti ed El Sharaawy (due degli artefici della rinascita giallorossa) durante la sessione invernale del mercato.

Vive in realtà anche un periodo molto positivo, durato all’incirca un mese e mezzo – tra la metà di febbraio e l’inizio di aprile – durante il quale segna 5 reti e mette a segno 3 assist (per un totale di 6 punti netti portati in dotazione alla squadra), dimostrando definitivamente di risultare più incisivo dal primo minuto piuttosto che a gara in corso.

Il giudizio nei suoi confronti da parte di Spalletti è sin dall’inizio molto ambiguo, a tratti contraddittorio, e non si capisce bene che idea abbia realmente del suo centravanti. La sensazione, nel sentirlo parlare, è che Džeko sia per lui tutto fuorché quel genere di attaccante da schierare a prescindere dall’inizio, bensì un’arma (come lo sono tante altre) da utilizzare in base all’occasione. Qui sotto, in una delle tante conferenze stampa “del dubbio” tenute dal tecnico toscano, possiamo percepire quanto il ruolo del suo numero 9 sia generalmente marginale.

Ad Higuain nel Napoli, Kalinic nella Fiorentina, Icardi nell’Inter, Dybala nella Juventus e Bacca nel Milan spetta per principio il posto al centro dell’attacco dal momento in cui sono fisicamente arruolabili, mentre Džeko scopre soltanto in settimana quanto (e se) la sua gara durerà nel weekend. Ciò, come vedremo più avanti, costituisce un fattore determinante.

A maggio il bilancio personale non è gravemente insufficiente (se non altro per i passi in avanti mossi nella seconda parte di stagione), ma allo stesso tempo non soddisfa nessuno: le 10 reti in 39 presenze con cui il bosniaco si presenta al giro di boa, ovvero la peggior media reti/gara dagli anni di Wolfsburg, sono soltanto un traguardo da non ripetere.

LA CRESCITA

Ed effettivamente, stando ai numeri, uno Džeko sempre meno spaesato sembra aver imparato la lezione. Nelle prime sette giornate della Serie A versione 16/17 ha messo a segno la metà delle reti segnate nell’intera scorsa stagione (5, per una media di 0,7 reti/gara), e servito ben 3 assist ai compagni, ma sono soprattutto i dati relativi ai minuti giocati a fare la differenza.

Quando Spalletti non lo ha schierato tra gli undici titolari (in due occasioni, Cagliari-Roma e Roma-Sampdoria) è sempre tornato sui suoi passi gettandolo nella mischia al 45′, al pari di quanto accaduto in Europa League nella gara d’esordio contro il Viktoria Plzen. Nelle restanti sei gare – quelle in cui è partito dal primo minuto – non è mai stato sostituito, segno di un feeling con l’allenatore che è per forza di cose maturato (quasi) definitivamente.

Džeko si è preso le proprie responsabilità, e ha tratto per primo i frutti del lavoro per i compagni. Nella partita contro l’Inter dell’ultimo turno, ad esempio, ha investito la maggior parte delle proprie energie per far salire la squadra: lo dimostrano i 13 rinvii indirizzati verso i suoi 192 cm da Szczesny, che costituiscono il maggior numero di combinazioni tra giocatori della Roma dell’intero match. Inoltre, il gol segnato è derivato da uno dei quattro tiri (su cinque totali) verso lo specchio della porta, statistica che denota un netto miglioramento non solo se comparata con le rispettive (spesso e volentieri vittime di satira) della scorsa stagione, ma anche con quelle di Fiorentina 1-0 Roma, in cui soltanto uno dei cinque tiri totali aveva impegnato Tătărușanu.

Oltre ad essere più preciso, Džeko è anche più coraggioso. Lo dimostra il dato riportato qua sopra: se da una parte è vero che deriva anche dal supporto della squadra, dall’altra è altrettanto vero che il rapporto del bosniaco con il pallone è cambiato da così a così nell’arco di pochi mesi.

“Questo l’avrei fatto anche io”, starete pensando. Ed in effetti il coefficiente di difficoltà non è dei più alti, ma date un’occhiata qua sotto.

Già, proprio così. Per Youtube il povero Edin è ancora quello che, digitando “Džeko gol“, salta fuori in maniera del tutto automatica uno “sbagliato” a dir poco canzonatorio. È cresciuto, e lo ha fatto anche sotto questo punto di vista.

Altro aspetto fondamentale è quello del duello aereo, fondamentale in cui, pur essendovi predisposto fisicamente, il bosniaco ha sempre stentato nei momenti di sfiducia. La percentuale di vittoria della stagione in corso (considerando la sola Serie A) equivale ad un più che discreto 77%, per di più nettamente penalizzato dalla partita contro la Fiorentina (in cui Gonzalo Rodriguez e Astori lo hanno surclassato per gran parte dei 90′). Tolta la gara del Franchi, infatti, la percentuale aumenterebbe vertiginosamente fino a raggiungere un eccellente 89%.

L’osservazione è logica: un centravanti in forma, che ha ritrovato sia il feeling con la porta che con l’allenatore (situazioni che sono una la conseguenza dell’altra), tende per natura a ricercare il il contatto, sfidando in un vero e proprio duello i propri marcatori. Lo fa per foga e per voglia di rivalsa, per dimostrare che un anno di rodaggio deve pur essere servito a qualcosa, lo fa perché sa di valere e allo stesso tempo si rende conto che stanno iniziando a capirlo anche gli altri.

Džeko il Gigante c’è, e ha ingranato.

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