Quando nel giugno del 2011 Giampiero Ventura prese le redini di quello che nel corso degli anni è poi diventato il Suo Torino la situazione non era certo delle migliori, ma neanche così drastica. La promozione in Serie A (avvenuta concretamente al termine della sua prima stagione sulla panchina granata) era nell’aria, sia sportivamente che statisticamente parlando: mai, infatti, al Torino è capitato di sostare per più di tre anni in cadetteria.
L’anno successivo (per cui la promozione valse inoltre un introito plurimilionario tra diritti tv, posizionamenti in classifica, trofei nazionali e bacino d’utenza) fu quello della stabilizzazione tra le grandi del panorama nazionale: il sedicesimo posto, nonché il penultimo disponibile per evitare la retrocessione, derivò dai 39 punti conquistati sul campo con il contributo di calciatori del calibro di Ogbonna, Glik, Gillet, Darmian e D’Ambrosio.
Poi il salto, avvenuto tra lo stupore collettivo nella stagione 2013/14: Cerci e Immobile – attesa conferma (poi oggetto di disillusione) il primo, astro nascente il secondo – rappresentarono l’estro e la spensieratezza di un organico in grado di sgomitare con le storiche grandi del campionato. La settima piazza conquistata, di fatto il miglior risultato raggiunto dal Toro dall’edizione 1991/92 della Serie A, costituisce allo stesso tempo il nostalgico culmine dell’era Ventura. Nei due anni successivi, infatti, il risultato finale è stato inversamente proporzionale alla crescita delle ambizioni della piazza, e tra il 2014 e il 2016 Cairo non ha potuto far altro che vedere la propria creatura ridimensionare i propri obiettivi gara dopo gara. Prima il nono posto di due anni fa (nonostante la quota raggiunta, pari a 54 punti, fosse inferiore di sole tre unità rispetto ai 57 del campionato precedente), arricchito dal prestigioso traguardo europeo (l’ottavo di finale conquistato in Europa League dopo l’epica impresa del San Mamés di Bilbao), poi il dodicesimo di una manciata di mesi fa.
Al termine dei quali, inevitabilmente svuotato dagli stimoli che lo avevano portato a sedere per cinque anni sulla stessa panchina, Giampiero Ventura ha detto basta. La chiamata della FIGC ha fatto il resto, e il sessantottenne genovese è stato prontamente sostituito da un allenatore, Sinisa Mihajlovic, con cui ha ben poco in comune. Se da una parte è infatti innegabile come nazionalità ed età siano dati oggettivi che lasciano il tempo che trovano, dall’altra è altrettanto vero che principi tattici, rapporto con i propri giocatori e indole sono fattori tutt’altro che trascurabili. Insomma, Cairo e Petrachi hanno optato per voltare pagina, per farlo concretamente e senza mezzi termini.
CIAK, SI CAMBIA!
L’undici schierato da Ventura nell’ultima grande vittoria del suo Torino durante lo scorso campionato (il 2-1 di San Siro contro l’Inter del 3 aprile), era il seguente: Padelli; Bovo, Jansson, Moretti; Bruno Peres, Benassi, Vives, Obi, Molinaro; Belotti, Maxi Lopez. Il modulo? Niente di più banale: il più classico dei 3-5-2, con i due esterni leggermente più schiacciati sulla linea dei difensori piuttosto che su quella dei centrocampisti. Tra i più presenti di quel Torino figuravano anche Zappacosta, Glik e Baselli, out tuttavia nell’occasione.
Praticamente sei mesi più tardi, in data 2 ottobre, il Toro di Mihajlovic – reduce dall’esaltante vittoria contro la Roma – ha ospitato la Fiorentina al Grande Torino per la settima giornata di campionato. L’undici iniziale schierato dal tecnico serbo prevedeva un 4-3-3 abbastanza lineare, i cui interpreti erano i seguenti: Hart; Zappacosta, Rossettini, Castan, Barreca; Benassi, Valdifiori, Acquah; Falque, Belotti, Boyé. Che tradotto significa sette volti nuovi e la conferma di quattro uomini cardine, rigorosamente italiani, del ciclo precedente. Che, tradotto ancor più semplicemente, è sia la dimostrazione di un mercato estivo oculato sia quella di un progetto saldamente incentrato su un nucleo preesistente di calciatori giovani, ambiziosi e con ampi margini di miglioramento.
Ad un portiere valido ma poco affidabile nel medio-lungo termine come Padelli è stato anteposto, nelle gerarchie, uno dei migliori estremi difensori in circolazione, nonché dei più simpatici. Il nostro Lorenzo Semino ne ha approfondito i dettagli in questo pezzo. La sicurezza dell’ex Man City, figlia di un ambientamento più rapido del previsto cui i suoi recenti predecessori britannici (vedi Micah Richards, Ashley Cole e Ravel Morrison) non ci avevano abituato, si sta rivelando a dir poco determinante per questo inizio di stagione del Toro.
Il suo arrivo ha più o meno coinciso con la ripresa dei granata: dopo un trittico di gare iniziale che aveva portato solo tre punti nel cassetto del Sergente Sinisa, infatti, il Torino non ha mai perso, pareggiando sul campo del Pescara subito dopo lo 0-0 interno contro l’Empoli e facendo bottino pieno al Grande Torino nei due match successivi contro Roma e Fiorentina. Gli 11 punti raccolti in totale fino ad ora sono sì due in meno dei 13 di un anno fa, ma costituiscono una saldissima base su cui appoggiare il percorso di crescita che, secondo il piano di Mihajlovic, dovrà accompagnare il suo Torino per tutta la durata del campionato. La squadra di Ventura aveva invece già raggiunto il proprio picco più alto e, nonostante le buone premesse date dal mercato, sembrava difficilmente migliorabile. Per questo motivo la già insignificante differenza di punti in questione ha ancora meno peso.
Concentriamoci sul campo.
Se il prosieguo del campionato dovesse confermare con continuità quanto di buono dimostrato nelle ultime uscite dalla linea difensiva costruita dal tecnico serbo, esso concretizzerebbe definitivamente i meriti di una delle sue numerose intuizioni.
FEELING
Inaspettato, ma c’è. Tra Rossettini e Castan al centro della difesa, sì, ma anche tra ciascun centrale ed il rispettivo compagno di corsia, Zappacosta a destra e Barreca a sinistra. Il primo, alla seconda stagione in maglia granata, è in ballottaggio con De Silvestri sin dalla prima di campionato, con Mihajlovic che gli ha sempre preferito l’ex doriano. Fino a quando, durante Torino-Roma, lo stesso De Silvestri è stato costretto a dare forfait causa infortunio, ed al suo posto è entrato proprio Zappacosta. Difficile stabilire quali potrebbero essere le gerarchie al ritorno dall’infortunio di De Silvestri, ma quel che è certo è che il compagno non lo farà rimpiangere. O almeno non per quanto dimostrato fino ad ora.
Sul versante opposto la prima scelta Molinaro è stata messa da parte (sempre a causa di un infortunio) in favore dell’ex Cagliari Antonio Barreca. Classe ’95, sinistro puro, il piemontese ha soddisfatto in termini di rendimento il proprio tecnico, tanto da ottenere la riconferma per le tre gare consecutive a quella dell’esordio vero e proprio in maglia granata (Torino 0-0 Empoli), in cui era subentrato alla mezz’ora della prima frazione.
Qua sotto ci rendiamo conto, attraverso la HeatMap di Barreca gentilmente concessaci da WyScout, quanto il suo essere terzino non si discosti poi più di tanto dall’essere esterno di un Molinaro, di un Avelar o di un Gaston Silva, ovvero da un interpretazione totale del ruolo.
Zappacosta e Barreca, che abbiamo osservato con particolare attenzione nell’ultima gara di Serie A (quella contro la Fiorentina), garantiscono a Mihajlovic la giusta dose di spinta e allo stesso tempo riescono ad abbassarsi sulla linea dei centrali in tempi brevissimi. Lo spunto è perfetto per proporre un parallelo con il Toro di Ventura, che, per permettersi due esterni come Bruno Peres e Molinaro, necessitava la copertura di tre difensori centrali.
Il lavoro di Castan e Rossettini è in parte facilitato da quello di Valdifiori, che svolge più o meno le stesse mansioni di cui si occupava Vives fino alla scorsa primavera e nelle prime gare di questa stagione: fa da schermo alla difesa e contemporaneamente funge da calamita per i compagni. Colpiscono i dati: se l’ex Napoli gioca con una precisione media nei passaggi del 76% e con una percentuale di riuscita dei tackles pari al 69%, Vives lo supera di gran lunga sia nella prima (81.4%) che nella seconda (83%). A favore di Valdifiori ci sono d’altra parte i Km percorsi, aspetto fondamentale nell’economia del centrocampo di Mihajlovic proprio in virtù di una linea difensiva composta da quattro elementi, e non dai cinque cui Ventura aveva abituato i suoi mediani.
Pesa inoltre, sul curriculum stagionale di Vives, l’espulsione rimediata a Pescara durante la quinta giornata, che resta, ad ora, l’unica gara in cui Mihajlovic ha optato per la sperimentazione accantonando le certezze sin lì accumulate. Non è un caso, infatti, se da quando è arrivato a Torino Valdifiori ha sempre trovato spazio nell’undici iniziale tranne che in quella occasione.
FOREVER YOUNG
Oddio, proprio forever no, ma nel frattempo Cairo si coccola a più non posso i propri ragazzi. Benassi, Baselli, Acquah, Obi, Boyé, Belotti, Martinez, e chi più ne ha più ne metta. Dal centrocampo in su, il Torino evergreen fa ben sperare anche (e soprattutto) in ottica futura.
Le quattro mezze ali che Mihajlovic ha alternato in questo inizio di campionato hanno caratteristiche molto simili, ma di diversificano tra loro per alcuni particolari che demarcano un modo o un altro di interpretare il ruolo. Baselli e Benassi hanno una marcia in più tecnicamente parlando e sono più propositivi in fase di possesso, ma (nonostante l’atletismo, soprattutto nel caso del secondo, rappresenti comunque una qualità) sono inferiori dal punto di vista dell’interdizione, ed è proprio da questa considerazione che ha origine uno dei dubbi più interessanti del Torino del Sergente Sinisa.
Qua sotto Baselli ci dà la dimostrazione di quanto l’estro nei singoli di questo Toro possa fare la differenza. La stessa partita in questione (Milan-Torino, terminata sul risultato di 3-2 in favore dei padroni di casa) costituisce un esempio lampante delle potenzialità – ancora non del tutto espresse – della squadra di Mihajlovic.
Che, nelle prime quattro giornate, li ha schierati a coppie alternandoli: all’esordio a San Siro hanno giocato dal primo minuto Acquah e Obi, poi è stata la volta di Baselli e Benassi contro il Bologna, dopodiché ancora i due italiani contro l’Atalanta. Alla quarta giornata, in scena al Grande Torino contro l’Empoli, ha nuovamente trovato spazio il duo africano. Dalla quinta in poi, invece, Mihajlovic ha iniziato a stabilire gerarchie più definite, sostituendo un centrocampista d’inserimento ad uno di sostanza in maniera sistematica: la conseguenza è stata il raggiungimento di un maggior equilibrio a metà campo (contro la Fiorentina Acquah ha recuperato 6 palloni, annullando di fatto il gioco di Borja Valero), che ha iniziato a portare risultati concreti. A mettere in discussione la nostra tesi è il percorso di evoluzione del ghanese, che sta lentamente ridimensionando l’intensità del suo apporto alla fase offensiva.
QUATTRO-TRE-FANTASIA?
Il reparto dove la mano di Mihajlovic è più evidente, ma al contempo quello in cui il tecnico serbo ha dovuto prendere meno responsabilità in quanto a scelte, è quello offensivo. Se fino alla linea dei centrocampisti il 4-3-3 del Toro è infatti elementare, i tre interpreti avanzati hanno licenza di distaccarsi dal conformismo del proprio ruolo: Boyé si muove su tutto il fronte offensivo (in attesa di Ljajic), Belotti funge da punto di riferimento ma, di fatto, non sta fermo un attimo, mentre Iago Falque predilige più scolasticamente la corsia destra per dare sfogo al suo mancino.
Nella GIF sottostante Belotti si abbassa fino ad arrivare dietro la linea della metà campo: nonostante il movimento sia poco logico (se non fosse riuscito a recuperare il pallone il Bologna avrebbe teoricamente schiacciato i granata praticamente nella loro area), l’intuizione si rivela corretta e Acquah ha davanti a sé la porta spianata per segnare, salvo poi farsi ipnotizzare da Mirante. In dieci secondi sono riassunte tre delle caratteristiche più importanti del Toro di Mihajlovic: atletismo, leggera spregiudicatezza e spirito di sacrificio.
Dei 13 gol arrivati fino ad ora, che fanno del Torino il quarto miglior attacco della Serie A (a pari merito con la Lazio), 10 sono arrivati dagli attaccanti (5 da Belotti, 4 da Falque e uno da Martinez) e 3 dai centrocampisti (2 da Baselli e uno da Benassi), segno di una fase offensiva che funziona e che vede nei soliti noti i punti di riferimento su cui appoggiarsi per andare in porta.
A proposito di Iago Falque, date un’occhiata qua sotto e rifatevi gli occhi. Tecnica allo stato puro.
Mihajlovic sta costruendo partita dopo partita uno scheletro di sicura affidabilità, riponendo nelle mani (o meglio, nei piedi) dei suoi uomini chiave i progressi del suo Torino. Che, a meno di intoppi in corso d’opera, sgomiterà di diritto con le candidate ad un posto in Europa.