Re Davide

“Tanti re hanno avuto il tuo nome”

Così, l’8 marzo, Milan Badelj omaggia il suo capitano Astori davanti a una Firenze accorsa in massa a porgergli un ultimo saluto. Il Croato, nel suo toccante discorso, dà anche il significato di quel nome: vuol dire amato, diletto. Ha ragione. Infatti il nome italiano deriva dall’ebraico Dawid, che a sua volta deriverebbe dal termine dwd che vuol dire esattamente quello. Centrato in pieno. Davide e Firenze. Amato, diletto.

La Basilica di Santa Croce non è una chiesa normale. Artisticamente s’inserisce, come in un legame continuo, tra la Basilica di San Francesco ad Assisi e il duomo di Orvieto e, con la sua facciata a tre cuspidi ricoperta di marmo, spicca tra i non molti – e non sempre molto riusciti – esperimenti di gotico e neogotico in Italia.

Ha, però, un’altra particolarità. Già nel ‘400 iniziò ad ospitare al suo interno le tombe di personaggi illustri. E così, passeggiando come i molti turisti tra le sue alte navate, se per un attimo stacchiamo gli occhi dal soffitto ci possiamo imbattere nella tomba di Galileo Galilei con le statue che rappresentano l’Astronomia e la Geometria, o in quella di Niccolò Machiavelli.

Foscolo, che pure è sepolto qui, scrive nel suo carme Dei Sepolcri “Ma più beata ché in un tempio accolte / Serbi l’itale glorie” parlando di Firenze. Una città intera, uno sport intero: tutti qui per salutare Davide Astori, nel Tempio delle itale glorie.

Vittorio Alfieri

Non abbiamo bisogno di spostarci, restiamo nella chiesa fiorentina. Lungo la navata di destra, dopo il terzo altare, c’è un altro monumento funebre di un personaggio che in qualche modo c’entra con la nostra storia. È Vittorio Alfieri, drammaturgo, poeta e letterato piemontese trapiantato a Firenze. Appartiene a lui la massima di determinazione “Volli, sempre volli, fortissimamente volli” applicabile a molte delle storie di sport che raccontiamo di solito. Ma non è questo il caso.

In ogni manuale di letteratura italiana le opere di Alfieri sono descritte come tragedie del titanismo, in cui un personaggio, generalmente molto controverso, si ritrova da solo contro il resto della società e i suoi giudizi. Sarà proprio nel tentativo di andare oltre i limiti della società, di ergersi, che si consumerà il dramma. Ma perché lo citiamo qui? Astori non era nulla di tutto questo, non ha mai provato a valicare i confini della ragionevolezza. Assolutamente no, ma c’arriveremo per tempo.

Saul

Una tragedia di Alfieri in particolare è per noi più interessante delle altre per parlare della storia di Davide Astori. Pesca a piene mani dal materiale biblico, ma lo riutilizza senza alcun sentimento religioso, ma inserendosi nelle crepe di quel titanismo del quale abbiamo parlato prima: è il Saul. Egli è il primo re del regno di Israele, ma su di lui, per la sua disobbedienza, grava la condanna di Dio. Sa di non poter essere più lui il re unto da Samuele, il sacerdote biblico, e la cosa lo tormenta anche in sogno. Teme che possa prendere il suo posto un giovane guerriero, nobile e amato dal suo popolo e da sua figlia: David.

Da qui inizierà una guerra insensata, durante la quale Saul non fa altro che porre le basi della sua disfatta. È tormentato dalla volontà di rimanere lui sul trono, di dimostrare di essere ancora il primo guerriero, e la segreta ammirazione che prova anch’egli per David, riconoscendone l’incredibile valore e le virtù morali. Alla fine è lo stesso Saul ad uccidersi, resosi conto di essere rimasto solo e del comportamento irragionevole che aveva tenuto nell’opporsi al giovane David.

Dawid

Siamo ormai a distanza di un mese da quella morte così insensata per quanto dolorosa; trenta giorni durante i quali, dopo esserci fermati tutti, abbiamo cercato di far finta che si potesse riprendere normalmente, ma non era così. Per capire però cos’ha rappresentato Davide Astori, dobbiamo tornare alla Basilica di Santa Croce nel momento più doloroso in assoluto: quello dell’arrivo del feretro. Non ci si può concentrare sul dolore delle persone vicine al capitano viola, troppo personale e necessariamente da rispettare. Lo sguardo lo rivolgiamo alla piazza, quella dove stanno le persone comuni, quelle che normalmente chiamiamo popolo. Lì non c’è un colore solo a spiccare. Sì, alla fine sono i tifosi viola a cantare e sventolare le sciarpe, ed è logico sia così, ma è appunto in un secondo momento. La folla, durante e prima della funzione, rimane multicolore, come se non volesse dare una connotazione precisa a quella vicinanza, a quel dolore. Lo stesso vale per quella massa, ancor più numerosa, di persone non fisicamente presenti alla celebrazione, ma che in qualche modo avevano comunque partecipato a quel dolore.

Questo ci porta al David, quello di Alfieri, e ce lo fa somigliare così tanto al nostro di Davide. Il re d’Israele è in un certo senso amato anche da colui che gli muove guerra contro, perché non può non riconoscerne la statura morale. Così, alla stessa maniera, come David riusciva a farsi riconoscere come re sia dai Filistei guidati da lui che dall’esercito del rivale, allo stesso modo Astori è riuscito in qualcosa che solo se sei quel tipo di persona può essere possibile. Unire, in quelle sciarpe di tutte le squadre legate ai cancelli del Franchi, tutto il calcio italiano, riavvicinatosi nella sua interezza – per una volta in maniera non ipocrita – e trasportato metaforicamente in quella piazza dalla quale ora abbiamo assistito alla scena. Lo ha fatto esattamente alla stessa maniera del suo “alter ego” letterario, senza cercare un protagonismo assoluto – con quel titanismo del quale abbiamo parlato – ma lavorando sempre duramente e con correttezza.

Non so se Badelj abbia pensato proprio al personaggio di Alfieri per il suo discorso, ma non importa assolutamente. Proprio lì troviamo una frase che crea un sussulto.

“Ma il sol già celasi; tace ogni zeffiro; e in sonno placido sopito è il re”.

È solo sopito nel sonno, ma è ancora lì. Davide Astori re di Firenze. Amato, diletto. Dawid.

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