9 marzo 2015, ore 22.20 circa, Stadio Olimpico di Roma. La Lazio sta schiacciando la Fiorentina per 3-0, inanellando la 4 vittoria consecutiva. È sicuramente la miglior Lazio dell’ultimo decennio; i tifosi se ne sono accorti e spingono finalmente la squadra (Lotito permettendo) come non accadeva da anni. C’è però un ragazzo che è più felice di tutti gli altri; è il più smilzo in campo, il più giovane, si muove nella zona centrale.
Ha appena coronato il suo sogno, indossare la fascia da capitano indossando la maglia per cui fa il tifo sin da bambino, quella con l’aquila blu sul petto. Il suo nome? Eccolo:
Flash forward. Siamo a maggio 2016, e la situazione è più o meno questa:
Queste frasi sono prese da un forum di tifosi, e sebbene vadano proprio per questo motivo prese con le pinze, sono di sicuro indicative. Come si fa a passare in poco più di un anno da “Danilo vanto nostro” a “lista gratuita e s’abbracciamo”?
Questa è la storia di Danilo Cataldi: in bilico tra promessa e fallimento, tra personalità e timidezza, tra il voler diventar grande e la paura di non riuscirci.
Danilo nasce il 6 agosto 1994 a Ottavia, quartiere romano a cavallo del Grande Raccordo Anulare, tra Trionfale e Tomba di Nerone. Cresce calcisticamente proprio nell’Ottavia fino all’età di 12 anni, quando viene prelevato dalla Lazio. Da lì si fa tutta la trafila in biancoceleste; il culmine di quest’esperienza è senza dubbio la vittoria del campionato primavera nel 2013. 3-0 sull’Atalanta in finale: prima e seconda marcatura di Cataldi.
Già allora Danilo presentava un bagaglio tecnico-tattico estremamente completo per un diciottenne: visione, piede (come testimonia il primo gol), corsa, inserimento (il secondo gol è infatti un tap-in semplice dopo un gran movimento senza palla).
Ma prima ancora che un giovane più che promettente, Cataldi rappresenta qualcosa che ai tifosi manca da dieci interminabili anni: romano e laziale, il giovane centrocampista sembra l’ideale successore di quel posto lasciato vacante da Alessandro Nesta nell’ormai lontano 2002. Gli ultimi periodi sono stati molto difficili per l’ambiente biancoceleste, disamorato e disunito dalle follie dell’imperatore Claudio Lotito; per di più, dall’altra parte del Tevere continuano a sfornare una serie di calciatori-tifosi, con conseguenti dinastie di capitani (presente-futuro-futuro anteriore ecc).
E allora ecco che Danilo Cataldi diventa “vanto nostro”, e in un battibaleno è già un predestinato; colui che inaugurerà la riscossa, che darà nuova linfa alla lazialità. D’altronde si sa, i supporter laziali tendono a lasciarsi trasportare piuttosto facilmente, sia nel male che nel bene. È vero però che risulta estremamente facile immedesimarsi in Danilo. Un ragazzo normalissimo, semplice, attaccato alla famiglia. Con i primi guadagni regala una Clio al padre (che, per la cronaca, per lavoro tuttora trasporta bibite ai bar di Roma), con i secondi si regala una 500.
L’anno successivo, Cataldi va a farsi le ossa in serie B, nel Crotone. Insieme a Federico Bernardeschi è uno dei migliori della squadra, che chiude l’ottima stagione con un inaspettato sesto posto. Raccoglie qui le sue prime 36 presenze da professionista, condite da 4 gol e una manciata di assist (giocando tra l’altro in una posizione per lui nuova, quella di regista basso; tra le sue caratteristiche che non abbiamo ancora citato, di sicuro c’è la versatilità).
Torna alla Lazio nell’estate 2014, con l’intenzione di spaccare il mondo, ma un infortunio lo ferma fino a metà stagione. Da gennaio in poi, però, si prende tutta l’attenzione che merita. Complice un lungo stop di Lulic, Cataldi esordisce con la maglia biancoceleste contro il Torino in Coppa Italia, fornendo, oltre a una grande prestazione, un assist a Klose. Nel giro di un paio di settimane diventa titolare inamovibile, come interno sinistro di centrocampo.
Avevano ragione, i tifosi, a dargli del predestinato? Forse. Certo è che, se un centrocampista alla prima da titolare in Serie A, contro il Milan, gioca così, non si può far altro che crederci.
Ad ingigantire poi l’hype verso Cataldi, ci si mettono alcune sue dichiarazioni, ed infine l’evento della fascia, che l’ha reso il capitano più giovane della storia della Lazio. (Aneddoto: Cataldi in un’intervista ha detto: “Se non avessi accettato quella fascia, Radu mi avrebbe menato.” Noi non fatichiamo a credergli. Fine aneddoto.)
La squadra esprime un calcio fantastico, che a conti fatti non raccoglie quanto avrebbe meritato. Prima il derby che strappa alla Lazio la possibilità di entrare per direttissima in Champions, poi la finale di Coppa Italia persa contro la Juve. Questa partita in particolare sintetizza molto bene i pregi e i difetti di Cataldi: l’assist da piazzato proprio a Radu in apertura, poi quell’occasione sparacchiata in bocca a Storari, che avrebbe riportato la Lazio in vantaggio. Ebbene, proprio quell’errore è come un antipasto di quello che succederà l’anno successivo.
Perché, senza giri di parole, il 2015-2016 per Danilo Cataldi è disastroso. Partiamo da due considerazioni. Uno: dopo l’exploit dell’anno precedente, l’ambiente in blocco non riesce a ripetersi. Tutti i giocatori (o quasi) sono irriconoscibili; i tifosi sono in piena protesta anche per vicende esterne (barriera all’interno delle curve dell’Olimpico per ordine del prefetto Gabrielli), lo stadio si svuota in breve tempo. Il clima che si respira in casa Lazio non aiuta.
La seconda considerazione, invece, è di natura tattica, e riguarda la confusione di mister Pioli. Nella prima uscita stagionale (Supercoppa contro la Juve, che vince, tanto per cambiare), Cataldi ricopre la posizione di trequartista centrale nel 4231. In campionato, quando gioca, viene inserito come mediano al posto di Biglia; giocatore difficile da sostituire. Lo stesso Cataldi, però, continua ad affermare di essere una mezzala: la sua versatilità sta diventando un ostacolo. In questi casi serve che l’allenatore prenda una decisione netta e definitiva, per concedere quantomeno un po’ di continuità al giovane. Purtroppo per il nostro protagonista, però, questo non accade; anzi, all’arrivo di Simone Inzaghi, Cataldi è diventato l’ultima scelta a centrocampo, dietro persino ad Onazi. Non è più lo stesso: in campo sembra avere paura. Paura di farsi vedere libero e ricevere il pallone, paura di lanciare il compagno, paura di affondare il tackle.
La stagione tuttavia si è conclusa con una gioia insperata: il nostro protagonista è stato chiamato da Conte per il ritiro pre-europeo, e così Danilo ha potuto respirare per la prima volta l’aria della Nazionale maggiore. D’altronde il c.t. stravede per lui già da tempo:
“Un giocatore come Cataldi fa pensare che il futuro non sia così nero”
Antonio Conte, 2015
E noi di Conte ci fidiamo di brutto. Ma allora cos’è successo a Danilo? Probabilmente nessuno sa dare una risposta, nemmeno lui stesso. Sappiamo una cosa, però: spesso, è proprio quando bisogna fare quell’ultimo passettino verso la nostra meta, che ci iniziano a tremare le gambe. Guardiamo indietro, alla strada fatta per arrivare fin quassù, poi guardiamo giù, e ci prendono le vertigini. Cosa succederà? Anche qui, nessuno sa darci una risposta.
Anzi, forse sì. Bisognerebbe provare a chiedere a due signori: campo e tempo. Nient’altro. Anche perché, lo ricordiamo, Danilo Cataldi compirà 22 anni tra poco più di due settimane; se il tempo è senza dubbio dalla sua, il campo lo dovrà riconquistare, insieme alla fiducia dei tifosi. Per diventare ciò che è predestinato ad essere: il capitano della sua Lazio. Forse.