A meno di una settimana dall’addio di Francesco Totti, la Roma ha ufficializzato il prolungamento di contratto a Daniele De Rossi fino al 2019.
Il calcio cambia continuamente, le bandiere invecchiano e un talento appena maggiorenne può rifiutare un ingaggio di 5 milioni annui. La Roma giallorossa, però, alla minaccia dell’inevitabile dinamicità dei tempi ha risposto con l’ingenuità fanciullesca di chi si attacca agli ultimi affetti familiari rimasti, in simbiosi con quel numero 10 che ne declinava l’essenza.
Così quel che ritroviamo adesso sono le lacrime di 70.000 tifosi versate per una bandiera. È la Roma Capoccia di Venditti che, bastarda, ti scioglie il cuore. Sono i ricordi vissuti in questi anni: chi per venticinque, chi per solo cinque. Sono i fischi all’allenatore che ha permesso che la tua squadra raggiungesse il record di punti conquistati in Serie A, l’ultimo che ti ha regalato un trofeo.
Che la tifoseria giallorossa fosse una piazza estremamente ardua da sostenere è ormai agli occhi di tutti evidente. Il rapporto con Spalletti ha dimostrato quella sorta di unicum della tifoseria romanista rispetto alle altre fedi: la capacità di non voler accettare che il tempo scorre, e anche incessantemente.
Si è discusso spesso sul ruolo di Daniele De Rossi nel contesto Roma, sui suoi stati d’animo, sulla sua presunta voglia di rivalsa nei confronti di chi è stato princeps assoluto per generazioni senza voler mai abdicare, dunque su quelle avances di mercato cui il numero 16 ha talvolta meditato con attenzione. Quel che invece si può intravedere nell’ormai decennale confronto fra due bandiere apparentemente così diverse non sussiste nella gerarchizzazione del numero 10 sul centrocampista di Ostia, ma il sostanziale binomio di due personalità diverse sia negli atti, sia nell’immaginario collettivo (o mediatico).
Verso un calcio ragionato
Rispetto alla figura a tratti fanciullesca di Francesco Totti, Daniele De Rossi è sempre apparso meno allegorizzato e più materiale, maggiormente vicino alla realtà delle cose. Del biondo ragazzino presto detto Capitan Futuro è emersa una personalità probabilmente anche più complessa di quel che ci si aspettava; Daniele ha fatto sì che, dietro a un legame così forte con Roma, potesse prevalere soprattutto l’aspetto umano, forse meno idillico, ma più funzionale. Dal punto di vista della comunicazione, De Rossi probabilmente avrà più di una porta aperta non appena avrà appeso le scarpe al chiodo. Lo dimostrano le sue interviste mai banali intrise di spontenea sincerità. Fra le più recenti è esemplare la discussione avvenuta con Lele Adani per Sky Sport: una monografia più che un documentario biografico in cui il centrocampista giallorosso consacra le sue affinità dialettiche, alimentando anche certe nostalgie nei confronti dell’idea-Roma delle generazione passate e della sua concezione di regista attraverso un’analisi tecnico-tattica.
Due giovinezze
Che Daniele abbia vissuto due fasi distinte dal punto di vista del gioco è un caso appurato. Ma è proprio nella seconda fase della carriera che De Rossi mette in pratica la sua idea di calcio. Non a caso ringrazia Luis Enrique per aver reso possibile che la sua poliedricità prendesse atto sul campo, elogia quindi Guardiola, quasi come Lucrezio con Epicuro, raccontando di come l’allenatore catalano abbia dovuto soccombere al calcio italiano di allora (vestì la maglia della Roma nella stagione 2002-03) basato soprattutto sulla fisicità e sulla rigorosità della fase difensiva, importando soltanto in seguito con il Barcellona quell’ideale di calcio ragionato, così definito dallo stesso romano e verso il quale conferma la propria congenialità.
Dal centrocampista d’interdizione, utile anche come mezzala interna, conscio del tempo che avanza, Daniele De Rossi incomincia ad appropriarsi della mediana di centrocampo con una duplice funzionalità: d’intervento per la fase difensiva e d’impostazione per la manovra d’attacco. Allena e matura le proprie capacità tecniche – lui stesso sostiene di possedere, rispetto ai primi anni, maggiore qualità – appropriandosi di un fondamentale senso della posizione per il ruolo che ricopre. D’altra parte cala inesorabilmente il ritmo, la dinamicità e l’esuberanza, ma emerge il prototipo del centrocampista moderno. E anche stavolta non è un caso che la sua consacrazione tattica avvenga con la maglia della Nazionale durante Euro 2012, anno in cui alla guida della Roma vi fu il già citato Luis Enrique. Daniele comprende, proprio con l’aiuto dello spagnolo, che per garantire longevità alla sua carriera ha bisogno di guardare verso la propria metà campo, pur dovendo rinunciare a esultare sotto la Curva Sud con più frequenza.
Il numero 16 non solo si avvicina alla linea di difesa, fino a svolgere il ruolo di centrale, ma assume anche il compito di regista basso. L’idea, specialmente nell’Italia dell’Europeo disputato in Polonia e Ucraina, è vincente: De Rossi è un’efficace cerniera fra centrocampo e difesa, garantendo così maggiore libertà di movimento a Pirlo e un sostanziale supporto in entrambe le fasi. Daniele De Rossi migliora, dunque, in qualità e in sostanza rientrando senza alcun dubbio nella categoria dei migliori centrocampisti d’Europa di quegli anni. Superate le tante difficoltà riscontrate con Zeman, la Roma di Garcia non avrà più bisogno di attaccarsi a registi puri (dopo il Pizarro del 2010 saranno vani i successivi acquisti) ma concederà le redini del centrocampo proprio all’ostiense, sostenuto comunque da ottimi gregari quali Strootman e Pjanic.
Si dimostra ancor più maestoso ad Euro 2016: regista, difensore aggiunto, mediano di interdizione, incontrista e leader carismatico, di chi può vantarsi di aver vinto una Coppa del Mondo. Adesso, l’ultima meta con la maglia azzurra sarà probabilmente la Russia nel 2018 e Ventura non sembra volerne fare a meno.
Amore laico
Daniele ha deciso di dedicare tutta la sua carriera a una sola maglia, eppure anche stavolta c’è chi nel tempo ha espresso inutili remore. Inutili perché non basta certamente considerare un aumento dello stipendio la risoluzione di un legame quasi ventennale. Sappiamo, inoltre, che per un anno fu fortemente tentato dalle richieste del Manchester City che probabilmente gli avrebbe anche permesso maggiori soddisfazioni in campo internazionale, oltre a un ingaggio ugualmente esoso. Ma Daniele ha comunque detto di no, seppur con il maturato disincanto di fronte alla realtà delle cose: il sistema calcio cambia ripetutamente, i milioni versati aumentano sempre più, gli agenti controllano il mercato e non basterà più solo una passione totalizzante a cambiarne i connotati o a lasciarli intatti.
Con cinismo e naturale sincerità, Daniele De Rossi ha preteso le proprie condizioni a una società che, in termini di palmares, non poteva garantire gli stessi traguardi dei club europei che avrebbero voluto il centrocampista giallorosso ben volentieri. Ciò non toglie nulla alla passione che il 16 prova nei confronti del club e della propria città, sebbene anche stavolta si tratti di un amore ragionato, scevro dall’inconscio ardore del Pupone, ma adattato e reso possibile dalla comprensione di chi non ne può realmente fare a meno. Daniele sa che solo a Roma può sussistere un tale amore e senza drammatici isterismi sa bene quando arriverà il momento smettere: quando non giocherò più bene.
Figlio, tifoso e adesso unico capitano di una città che non vorrebbe mai porre la parola fine e che gli riconosce che spesso gli siano tremate le gambe e saltati i nervi per la sua Roma. Sarà forse meno sacrale, meno d’impatto, ma anche la storia del numero 16 con la maglia giallorossa resterà eternamente scritta sulle pagine più pregiate della storia del club giallorosso. E di fronte alla doverosa divinizzazione dell’augustus Francescus al momento dell’addio, Daniele risponde con parole di sincera commozione e sconforto nei confronti di un amico che non potrò più vedere nella quotidianità.
Gli amanti della letteratura e i più fantasiosi, figurando un poema epico-storico con protagonisti questi due personaggi, riconoscerebbero bene chi dei due porta il peso di un amore ragionato, costruito con matura comprensione e chi invece esprime l’essenza assolutamente pura e ideale di un legame così simbiotico.
La Roma è giunta adesso a un punto cruciale: raggiungere l’agognato esame di maturità e superare il romanticismo per approdare verso una nuova era dettata dal razionalismo di Daniele De Rossi.