La forza degli episodi
Russia 2018 è stata una competizione strana. E’ successo tutto ed il contrario di tutto, i pronostici han retto decisamente poco e gli episodi sono stati, come non mai, decisivi dalla prima partita alla finale.
Una competizione del genere non poteva che avere un epilogo come Francia-Croazia, lo scontro tra due filosofie calcistiche e progetti tecnici agli antipodi. Da una parte i Bleus, giovanissimi e pronti a consacrare la crescita vertiginosa degli ultimi 4 anni, e dall’altra la banda di Dalić, arrivata alla fine di un ciclo e con l’obbiettivo di regalare almeno questa gioia ad una delle generazioni più talentuose della propria storia – se non la più talentuosa in assoluto.
Il pomeriggio domenicale di Mosca consegna alla storia il secondo titolo mondiale dei transalpini, ma soprattutto ci ha regalato 90 minuti che riassumono alla perfezione in cosa consista la finale di una coppa del mondo: non basta essere forti e talentuosi, bisogna dimostrare di essere grandi sfruttando gli episodi e dominando i vari momenti della partita.
La Francia non è stata bella ma ha saputo sempre come far male e soprattutto quando farlo, dote che solo una squadra campione del mondo sa mettere in pratica.
Diventare grandi
Parlando di questa Francia si è detto veramente di tutto: non giocano bene, hanno sempre affrontato avversari rimaneggiati o comunque disattenti nei momenti chiave e che sono stati fortunati. La verità è che non esiste squadra vincente totalmente vergine da questo punto di vista, chi vince avrà sempre dalla sua parte almeno un minimo di fortuna perché con il solo talento non si vince.
Questa partita è stata sì condizionata da episodi che hanno decisamente virato verso i Francesi, ma è anche stata la vittoria delle idee di Deschamps e, più in generale, di un progetto tecnico giovane, talentuoso e destinato a proseguire per tanti anni, sia per l’età media dei vari interpreti che per la coesione che questo gruppo ha saputo mostrare nei momenti chiave.
L’ex allenatore di Juve e Marsiglia ha preparato la partita con le stesse identiche modalità di quelle precedenti: tutti pronti al sacrificio difensivo ed estremamente attenti al gioco senza palla, ma anche reattivi al massimo una volta recuperato il pallone per permettere allo straripante atletismo di Mbappé e compagnia di far danni in campo aperto.
I Francesi hanno sofferto la Croazia soprattutto nel primo tempo, ma hanno comunque saputo gestire momenti chiave come il pareggio di Perisic, l’assedio di inizio partita e la clamorosa papera di Lloris – cosplay perfetto di Karius, forse meglio dell’originale.
L’atletismo e la freschezza degli uomini in blu ha fatto la differenza contro una squadra oggettivamente più stanca ma comunque combattiva, il vero merito dei vincitori è quello di aver aspettato la partita invece che aggredire immediatamente i Croati – soluzione che poteva sembrare più ovvia e forse più facile, ma che avrebbe anche scoperto la difesa a ripartenze facili per scattisti puri come Perisić e Rebić.
Il goal di Mbappè – protagonista di questo mondiale – riassume alla perfezione questo piano partita: uno strappo improvviso di Hernandez per spaccare in due il centrocampo che porta al modo più veloce e sicuro di segnare, dare la palla al numero 10.
Andando però oltre qualsiasi tipo di discorso tecnico e tattico, per quanto possa risultare antipatica la Francia – ma neanche troppo – vedere un progetto basato così tanto sulla programmazione e l’utilizzo delle nuove leve è qualcosa che non può che far bene al calcio moderno e mandare un chiaro segnale a tante altre nazionali indietro anni luce da questo punto di vista, noi in primis, ovviamente. Con i giovani si può andare lontano, basta avere coraggio ed essere disposti a rischiare, anche al costo di sacrificare qualche senatore.
A testa alta
Vincere è decisamente importante e la storia tende a dare maggiore risalto a chi riesce ad alzare un trofeo, ma si ha come l’impressione che questa Croazia sia riuscita a lasciare un segno indelebile nella storia di questa competizione e del calcio in generale.
Una generazione fortissima fermata solo da una squadra più fresca e pronta nel momento decisivo, ma che comunque per la prima volta in assoluto ha saputo competere con i più grandi ed al massimo delle proprie possibilità.
In passato si era sempre sottolineato come questa fosse una nazionale forte, ma incompiuta o comunque non in grado di gestire la pressione. Questi mondiali e questa finale hanno invece testimoniato come questo gruppo sia cresciuto nel tempo ed abbia saputo imparare dagli errori compiuti.
Dalić è riuscito a mettere comunque in campo i suoi nel miglior modo possibile, dando seri problemi alla Francia ed arrendendosi solamente ad un inevitabile calo fisico che comunque non ha impedito a Modrić e compagnia di lottare fino all’ultimo secondo, anche quando tutto pareva perso ed, effettivamente, lo era.
Anche nella sconfitta, il sistema di Dalić ha funzionato al meglio, permettendo ai suoi di giocare un primo tempo di pregevolissima fattura e mettendo in mostra una tenacia e una cattiveria agonistica che avrebbero meritato miglior sorte, esattamente come la meraviglia sfoggiata da Perisić: un perfetto incrocio tra tecnica e potenza, il miglior modo per lasciare il segno in una finale.
Non c’è momento migliore della cena per rigustare una prelibatezza simile.
Ivan #Perisic ?https://t.co/mlsO2piIG8
— Antonio Carboni (@antocarboni91) July 15, 2018
Il vero e proprio dramma della sconfitta croata è il mancato trionfo di Luka Modrić: è un crimine il fatto che un genio di questo calibro e così tanto regale in questo mondiale, non riesca proprio nell’ultimo step di un viaggio davvero magnifico. La sua affermazione è un qualcosa che va ben al di là dei titoli individuali: si concretizza in campo esclusivamente tramite la propria eleganza. È un’imposizione estetica, visiva ma allo stesso tempo funzionale. Per quanto possa essere incredibilmente diverso come giocatore rispetto a Griezmann, possiamo vedere nei due lo stesso approccio al calcio. Il modo di stare in campo è poco appariscente, silenzioso, ma è assolutamente ragionato, un passo avanti rispetto a compagni ed avversari per comprensione del gioco, con questa chiaroveggenza calcistica messa al servizio di una tecnica sublime.
Le 7 partite giocate da Luka corrispondono a 7 sinfonie bellissime, degne di uno straordinario compositore, che distolgono nettamente l’attenzione dal risultato finale che, in questo caso, assume decisamente un’importanza minore.
Un nuovo inizio
La partita di ieri è stata la perfetta conclusione di una delle competizioni in assoluto più impronosticabili del nuovo millennio, ma ha anche rappresentato un nuovo inizio per tutto il calcio mondiale.
La Francia rappresenta alla perfezione il calcio moderno: una squadra giovane, in grado di cambiare mutare in funzione dell’avversario e di coniugare alla perfezione atletismo e tecnica. Insomma, il modello francese potrebbe rivelarsi ciò che era stato il calcio spagnolo dal 2008 al 2012, un esempio da seguire per provare a vincere ad ogni livello.
Al contrario degli Spagnoli, i Francesi non mettono in mostra uno stile di gioco preciso ma piuttosto una modalità ben precisa su come costruire un gruppo negli anni, mettendo in preventivo qualche esperimento fallito ma anche la possibilità di trovarsi a vette difficilmente raggiungibili, esattamente come la squadra di Deschamps.
Un numero 7, che sa fare benissimo il 9, è fenomenale da "falso 9", ma ha la qualità di un 10.
Sottovalutato per anni, sono felice che abbia toccato il tetto del Mondo questo pomeriggio.
So benissimo che difficilmente vincerà il Pallone d'Oro, ma sarebbe bello! #griezmann pic.twitter.com/vYARPszfV3— Ben. (@grecben) July 15, 2018
Solo il tempo saprà dirci se questo mondiale e questa finale avranno influenza sul resto del mondo calcistico, nel frattempo non resta che goderci una nuova generazione di fenomeni: giovanissimi, fortissimo e appena all’inizio di un’ascesa che pare inarrestabile.