Se c’è un argomento che è riuscito a mettere d’accordo tutto il popolo italiano, da sempre diviso in qualsiasi ambito, è che gli ultimi 12 mesi hanno rappresentato uno dei punti più bassi del movimento calcistico nostrano.
Oggettivamente sono veramente poche le cose da salvare da questo periodo: le big faticano a competere con continuità ad alti livelli in Europa, il nostro campionato perde sempre più appeal nei confronti dei top player e la disfatta “mondiale” della nostra nazionale è stata “la ciliegina sulla torta“.
O il coltello nella piaga.
A livello di club oltretutto, se escludiamo la Juventus, il quadro assume forme ancora più desolanti.
E’ abbastanza chiaro come per ripartire serva una rinascita, un progetto a lungo termine che permetta al calcio italiano di risalire dal baratro, tornando finalmente e stabilmente a livelli che più gli competono.
Un ribaltamento simile non può però partire dal nulla, servono sì grandi idee e grandi menti in grado di metterle in pratica, ma è necessaria anche una fiammata di speranza, un fulmine a ciel sereno in grado di innescare questo processo.
E magari potrebbe sembrare troppo presto per dirlo, ma a noi è parso di vederlo nella Milano rossonera. Se non altro perché la dirompenza di Patrick Cutrone è, sul campo da calcio, la cosa più vicina al fulmine che ci possa essere.
Il nuovo “9” del Milan rappresenta una meravigliosa notizia non solo per il Diavolo, ma per tutto il calcio italiano.
E’ la prova che anche nei nostri vivai ci sono giovani talentuosi, che possono tranquillamente competere con i “grandi” per un posto fisso in squadra, senza dover passare da anni e anni di prestiti in realtà e serie inferiori.
L’exploit suo, unito a quello dei vari Barella, Donnarumma e Chiesa, rappresentano un’ottima base su cui ripartire e ricostruire un movimento valido e degno di competere ad alti livelli.
L’effetto Cutrone è però un qualcosa da vedere da due punti di vista: da una parte è appunto una lieta novella per il nostro calcio,una fonte di linfa vitale in grado di rivitalizzare questo movimento, ma dall’altra è anche lo specchio di esso e mette alla luce tanti dei problemi che stanno affliggendo questo ambiente.
Lo specchio del nostro calcio
Non fraintendeteci, non vogliamo essere i guastafeste di turno che cercano a tutti i costi il pelo nell’uovo, ma è oggettivo come, in un calcio sano e all’avanguardia, un ventenne protagonista in questo modo in una big deve essere visto più come una bella abitudine e non come un miracolo sportivo, cosa che invece sta succedendo nel nostro campionato.
Altri campionati come quello spagnolo, tedesco o francese sono da prendere d’esempio in questo ambito, ed il successo delle loro nazionali è semplicemente una logica conseguenza di questa situazione.
Quello del calcio italiano è un mondo che vive costantemente in ritardo rispetto ad altri campionati, come se faticassimo ad accorgerci dei difetti e dei problemi ai quali dobbiamo porre rimedio. In Italia domina la legge del “tutto e subito”, manca totalmente la pazienza per iniziare un progetto anche solo di 2-3 anni in grado di rendere una squadra competitiva a lungo termine: si tende ad evitare “scommesse” per puntare su giocatori più esperti, ma che possono garantire al massimo ancora poche stagioni a buon livello.
Il CIES Football Observatory ha pubblicato,a novembre 2017, un studio decisamente emblematico riguardo all’utilizzo dei giovani in Serie A con gli altri 4 maggiori campionati europei.
In questo approfondimento vengono messi a confronto il minutaggio di giocatori under 21 e le loro presenze da titolare: senza alcuna sorpresa, il nostro campionato si colloca nel mezzo decisamente distante da Bundesliga e Ligue 1, autentiche fabbriche di giovani talenti.
Questo posizionamento è preoccupante sia per la distanza dai primi posti – in pochissimi giovani han superato il 50% dei minuti giocati – ma anche perché Liga e Premier, le leghe dietro alla nostra in questi termini, possono tranquillamente permettersi dati simili, viste le loro condizioni tecniche ed economiche.
Basandoci su questi numeri possiamo capire come il cambiamento in Italia stia avvenendo ma ad una velocità troppo lenta, come se non volessimo accettare in alcun modo i nostri limiti.
La mancanza di una base economica di alto livello ed un tasso tecnico veramente al ribasso indicano che un maggiore utilizzo dei giovani è l’unica via, ma a quanto paresi stenta parecchio a “rischiare” in questo senso.
Potremmo dimostrare questa tesi anche senza l’apporto di statistiche: basta pensare al curriculum medio di giovani di campionati esteri paragonati ai nostri, un confronto che non regge. Da loro a 23-24 anni hanno già giocato minuti importanti, in tanti casi vinto ed hanno un’esperienza veramente invidiabile, mentre da noi sono ancora visti come incerti o inaffidabili per un posto da titolare.
La straordinaria ascesa di Cutrone mette quindi paradossalmente alla luci i problemi del nostro calcio, ma può sicuramente dare anche l’esempio: le squadre italiane possono finalmente rendersi conto di avere un notevole capitale calcistico sul quale investire in casa propria, senza dover cercare nomi o operazioni di mercato improbabili a tutti i costi.
Perché proprio lui?
La situazione che si è creata attorno a Cutrone è figlia di più fattori.
La sua determinazione e la sua importanza, non solo in fase realizzativa, gli han saputo garantire un posto fisso in prima squadra, ma è indubbio come abbiano influito in maniera più che decisiva anche fortuna e il caso.
E’ veramente difficile pensare che se André Silva e Kalinic avessero disputato una stagione all’altezza delle aspettative, Cutrone sarebbe stato ugualmente titolare o avrebbe comunque avuto questo minutaggio.
Questo caso racchiude la difficoltà per i giovani nell’imporsi ed avere un ruolo importante nelle loro squadre, al di là delle ambizioni, costretti in tanti casi a stradordinari calcistici per poter essere notati, Patrick per esempio ha dovuto giocare spesso – soprattutto nelle prime partite con Gattuso – fuori ruolo, limitando e non poco le sue doti.
Il numero 63 ha indicato però anche una via perfetta per i suoi coetanei: essere essenziali, puntare dritti all’obiettivo senza perdersi in niente di futile o che non sia funzionale alla causa.
Prendete ad esempio le due reti segnate alla Spal: brutte, ma tremendamente efficaci.
Come già detto in precedenza non vogliamo proprio essere i guastefeste di turno, quindi è giusto concludere questa disamina con una nota positiva.
Patrick Cutrone, nonostante tutto, rappresenta quanto di più bello nel calcio, pure in quello italiano tanto a pezzi e malato. Quelle sue corse infinite a pressare gli avversari, quella sua rabbia nello scagliare il pallone in fondo alla rete e la sua spensieratezza sul campo da gioco non possono che far bene al Milan e a tutto il nostro movimento calcistico.
La crescita di Cutrone è lo specchio del nostro calcio, un qualcosa che deve aiutarci a capire gli errori fatti e rimediare ad essi, ma è soprattutto una notizia bellissima, una nuova speranza alla quale affidarsi.