La vita di tutti i giorni è continuamente costellata da binomi inscindibili. Alcuni figurati, altri con tratti nettamente più concreti. Si sedimentano nell’immaginario collettivo e, senza neanche rendersene conto, diventano parte integrante del vocabolario quotidiano. Prendete il calcio per esempio. Se io vi dicessi Cristiano Lucarelli, verrebbe automatico rispondere Livorno la frazione di secondo seguente. Il lider maximo è tornato nella sua città, spinto dall’amore per la maglia amaranto e dal legame viscerale che lo lega ai tifosi. Questa volta però non vestirà più i panni del giocatore. Non correrà più sotto la Curva Nord del Picchi esultando tra la sua gente. Il suo posto sarà in panchina, al timone della squadra labronica, con il sogno di vincere insieme, ancora una volta.

Uno sguardo al campionato
Fischi. Solo questo si sente al Picchi al termine di Livorno-Spezia conclusasi con il risultato di 3-1 per i liguri. Finale reso ancora più amaro, dopo lo sfogo di Lucarelli in conferenza stampa, dall’espulsione rimediata dal tecnico ancora nel primo tempo.
La classifica piange. Solamente due i punti conquistati a fronte delle 6 partite disputate dal Livorno e ultimo posto solitario in classifica. Nessuno si aspettava una partenza così negativa. Eppure i giocatori di livello, per la categoria, ci sono eccome. I veterani Diamanti, Luci (capitano) e Dainelli sono affiancati da giocatori interessanti come Giannetti, Maicon e Albertazzi. Il vulcanico presidente è ancora l’iconico Spinelli, con il suo immancabile impermeabile giallo e, tra i ranghi della società, è rientrato un altro giocatore che ha fatto la storia del Livorno: Igor Protti.
Se aggiungiamo il fatto che l’allenatore è Cristiano Lucarelli di dubbi, i tifosi, dovrebbero averne pochi. Nonostante tutto però, il sonoro dello stadio al termine della partita è stato impietoso, senza possibilità di fraintendimento. Fino a 3 mesi fa però, il clima attorno agli amaranto, era di tutt’altro tenore.
Una città ai piedi del suo idolo
L’entusiasmo al suo annuncio è stato dirompente. Livorno in festa; sventolio di bandiere e accoglienza degna dei più grandi condottieri del passato hanno ricordato, se mai ce ne fosse stato bisogno, cosa sia questa città per Lucarelli e viceversa.
Poco importa se il Ds del degli amaranto, Mauro Facci, avesse consigliato al Presidente di consegnare la panchina al meno “conosciuto” ma più esperto Breda. Al Livorno comanda Spinelli e l’ultima parola spetta sempre a lui. Senza contare che la guida tecnica sarebbe stata affidata a qualcuno che, da quelle parti, gode di un credito che definire tale parrebbe quasi irrisorio. Quindi cosa potrebbe mai andare storto? E ancora poco importa quindi il curriculum di Lucarelli che, da quando ha iniziato ad allenare, non ha quasi mai concluso un campionato alla guida della stessa squadra.
Lui è il re di Livorno e i tifosi i suoi discepoli. Con Cristiano alla testa del nostro esercito le legioni amaranto non potranno che sconfiggere chiunque le si pari davanti. Deve essere più o meno questo il pensiero collettivo che ha accompagnato i sogni estivi di tifosi e dirigenti amaranto.
Fino all’inizio del campionato.
Un entusiasmo ingannevole
Se l’entusiasmo fosse la condizione necessaria e sufficiente per avere successo nel calcio, i palmarès delle squadre andrebbero ridiscussi. Lungi da me dal dire che l’entusiasmo nel mondo della palla rotonda non conti. Mi preme però sottolineare l’ambiguità di un sentimento come l’euforia. Sicuramente connotato da un’accezione positiva, non sempre si riesce ad incanalarla verso la direzione sperata. È proprio questo suo essere volubile che la rende, a tutti gli effetti, un’arma a doppio taglio. Il Livorno e Cristiano Lucarelli sono l’esempio tangibile di quanto affermato in precedenza.

Viene affidata la panchina di una squadra neopromossa ad un allenatore che, in Serie B, campionato in cui conoscere la categoria è fondamentale, non ha mai allenato. Probabilmente se fosse stato qualsiasi altro allenatore, una piazza esigente come quella di Livorno, non avrebbe tardato a manifestare la sua contrarietà. In questo preciso istante entra però in gioco il fattore euforia. Sia i tifosi che i dirigenti (tranne il ds Facci) sono stati letteralmente inebriati dall’importanza del nome. Un nome che, per altro, deve il suo splendore a qualsiasi cosa concerna Lucarelli, ma non nell’aspetto più importante: le abilità manageriali.
L’euforia dilagante per il ritorno di Lucarelli ha fatto sì che tutti i risvolti critici da sviscerare per preparare degnamente un campionato difficile come la Serie B venissero messi in secondo piano. Cosa importa, tanto abbiamo Lucarelli.
La figura abbagliante dell’ex-bomber non ha fatto altro che rendere ciechi tifosi e dirigenti sulle sue (ancora) acerbe qualità da tecnico.
La pressione della piazza
Il giubilo amaranto si è quindi dovuto scontrare con il giudice più implacabile: il campo da gioco. Due punti in sei partite; squadra sterile davanti con un gioco lento e prevedibile stanno velocemente sgretolando l’apparente consenso illimitato di cui godeva Lucarelli. I fischi dei suoi tifosi, al termine della partita con lo Spezia, sono il brusco risveglio da una realtà che altro non era se non un sogno ad occhi aperti.

Anche il Dio granata si è dimostrato mortale.
Forse l’errore di Lucarelli non è stato quello di mettersi in gioco accettando di guidare una squadra fuori dalla sua (attuale) portata gestionale. L’errore che si può imputare al tecnico è quello di aver scelto proprio Livorno per dare corpo alla sua (fino ad ora) deludente carriera da allenatore. Se da un lato vieni visto come il salvatore della patria, dall’altro le aspettative nei tuoi confronti aumentano in maniera quantomeno esponenziale. Se sei Lucarelli e diventi l’allenatore del Livorno, allora direi che il rischio di non saper gestire la pressione possa essere abbastanza concreto.
L’espulsione, ancora nel primo tempo, durante l’ultima sconfitta casalinga può essere interpretato come un chiaro segnale di smarrimento e confusione. Il suo essere tifoso, unito al fatto di essere anche un idolo, può aver creato in Lucarelli quel sentimento di inadeguatezza che, se prima era mascherato dai motivi sopracitati, adesso esplode con tutto il suo vigore. Senza contare che gli stessi tifosi che lo hanno sempre sostenuto da giocatore, cominciano a mormorare che forse un suo esonero non sarebbe una soluzione così inaccettabile. Esaurita velocemente la spinta euforica e diradata la luce negli occhi, rimane la cruda realtà dei fatti.
Comunque vada
Ciononostante non credo sia in discussione l’affetto che Lucarelli prova per Livorno e viceversa. Anche tra cent’anni a partire da oggi, comunque vada a finire l’esperienza sulla panchina del Livorno, Lucarelli rimarrà sempre colui che è riuscito a far sognare un’intera città grazie alla vita dedicata alla causa amaranto. Poco importa se verrà esonerato lasciando la squadra all’ultimo posto in classifica. Lui si è preso la responsabilità di allenare il Livorno, ha avuto il coraggio di mettersi in gioco in prima persona ragionando col cuore quando, forse, il cervello suggeriva altro. Il richiamo della terra amata ha prevalso su tutto. La razionalità è stata sconfitta dalla passione per un periodo di tempo breve ma intenso.
Il tempo lo ergerà a mito, il mito si trasformerà in leggenda ma, la gente di Livorno, in un caldo pomeriggio di luglio, potrà gonfiare il petto e con gli occhi umidi di commozione potrà affermare di aver avuto l’onore di vedere entrare, per l’ultima volta all’Armando Picchi, un simbolo che risponde al nome di Cristiano Lucarelli.