L’ultima partecipazione dei Los Angeles Lakers ai play-off risale alla primavera del 2013. Giusto per riaprire il cassetto dei ricordi, in quell’anno la Chiesa Cattolica ebbe due papi e vedeva la luce il Governo Letta dopo delle elezioni politiche che avevano presentato l’immagine di un paese diviso in maniera pressochè uguale in tre schieramenti (fun fact: la Lega Nord era al 4,1%). Tornando in ambito cestistico, dopo 59 partite la franchigia gialloviola aveva lo stesso record attuale (29 vittorie e 30 sconfitte) e Kobe Bryant, allora 34enne, riuscì a portare la squadra ai play-off pur non potendovi partecipare per la rottura del tendine di Achille pochi giorni prima l’inizio della post-season. Lo sweep rimediato dai futuri campioni dei San Antonio Spurs al primo turno è l’ennesima dimostrazione di quanto il roster assemblato quell’anno fosse sulla carta imbattibile ma sul campo estremamente fragile e disfunzionale. Sei anni senza competere per il titolo sono tanti per qualunque franchigia, figurarsi per una delle più famose al mondo che occupa il secondo posto per titoli vinti nella storia – 16, dietro i Boston Celtics (17).
Al contrario, per trovare una stagione di Lebron James senza play-off bisogna invece risalire al 2005; passato a Cleveland direttamente dalla High School, il Prescelto allora ventenne non aveva certo a disposizione un cast di supporto di primo livello – che è poi il motivo che lo spinse a lasciare l’Ohio nel 2010. Oggi il numero 23 ha 34 anni, ha vinto tre titoli ed è reduce da otto partecipazioni consecutive alle NBA Finals, tutte arrivate partecipando alla Eastern Conference. Incrociando la storia dei Lakers con quella di Lebron, è evidente come, a fronte delle aspettative createsi dopo il suo arrivo a Los Angeles, non partecipare ai play off potrebbe essere una vera tragedia.
L’arrivo del re
L’approdo di Lebron James a Los Angeles è stato da tutti visto come un nuovo inizio per la franchigia gialloviola, reduce da anni bui passati sul fondo della Western Conference nella speranza di trovare tramite Draft la risposta ai propri problemi. Questo forzato periodo di tanking ha portato con sé un core di giovani giocatori potenzialmente molto interessanti come Brandon Ingram, Lonzo Ball e Kyle Kuzma (pescato con la 27esima chiamata nel draft del 2017). L’arrivo del Prescelto ha però leggermente (per usare un eufemismo) cambiato i piani che prevedevano una lenta crescita intorno a questi giocatori. Di colpo le aspettative sono mutate senza che con esse venisse adeguato il roster a disposizione di coach Walton, e soprattutto senza attendere la definitiva maturazione di Ingram, Ball e Kuzma, chiamati sin da subito al salto di qualità. Per allestire una squadra competitiva Magic Johnson ha infatti cercato di creare la giusta alchimia tra veterani e giovani promesse, aggiungendo giocatori del calibro di Rondo, McGee, Beasley (finito in Cina in questi giorni), Chandler e Lance Stephenson.
Giocatore di culto perfetto per la città di Los Angeles.
Il risultato di questo esperimento è apparso sin da subito difficilmente conciliabile con le caratteristiche di Lebron. Il numero 23 è un accentratore di gioco, potendo sostanzialmente ricoprire ognuno dei cinque ruoli possibili, ma dividere il campo con lui non risulta impresa facile per tutti. Il meglio lo ottiene con giocatori in grado di aprire il campo per le sue penetrazioni: tiratori affidabili dalla lunga distanza, abituati a produrre punti pur senza avere la palla in mano. Applicando questo ragionamento ai compagni a disposizione, soltanto Kuzma e Caldwell-Pope sembravano adatti a giocare con il Re, mentre maggiori difficoltà avrebbero incontrato sia Ball sia Ingram. A ciò va poi aggiunta la tendenza di Lebron ad assolvere tutti i compiti possibili non solo sul parquet ma anche fuori, dall’allenatore al General Manager. Inoltre i veterani scelti apparivano sin da subito come delle scommesse più che delle certezze, soprattutto per motivi caratteriali. Tutti motivi che hanno contribuito ad alimentare i dubbi su un possibile piazzamento play-off dei Lakers sin da inizio stagione, soprattutto considerando la competitività della Western Conference.
La quiete prima della tempesta
In ogni caso, dopo le tre sconfitte iniziali, i Lakers si trovavano stabilmente in zona play off con un record di 19-14 prima del match natalizio contro i Golden State Warriors, pur dimostrando sempre un andamento ondivago ed una tenuta psicologica precaria. In generale il game plan di coach Walton prevede un attacco su ritmi alti sfruttando molto la transizione offensiva: i Lakers sono infatti quarti nella Lega per Pace (numero di possessi per 48 minuti, 103,93). È evidente che Lebron e compagni si trovino meglio ad attaccare rapidamente nei primi secondi dell’azione piuttosto che provare a segnare a difesa schierata, considerando che le spaziature non sempre sono ideali e difficilmente permettono di creare un tiro ad alta percentuale di realizzazione in queste situazioni. La presenza nel roster di Lebron James e Lonzo Ball prevedeva infatti come prima opzione il correre in transizione, chiudendo con una penetrazione dello stesso portatore di palla ovvero uno scarico sui tiratori. A conferma di questa tendenza, i Lakers sono secondi per percentuale di punti segnati in contropiede (16,8% sul totale di punti realizzati).
In una squadra che aspira a giocare sui principi del Pace&Space la presenza di tiratori perimetrali affidabili è fondamentale. In questa stagione i Lakers tirano poco (30,4 tentativi, 20° nella Lega) e male (33,8%, 28°) da tre punti: soltanto il 27% dei punti realizzati viene da un canestro da tre punti. A destare maggiori preoccupazioni è però la difesa: il defensive rating è di 108,4 punti concessi per 100 possessi (12°). Il giocatore con maggiore impatto da questo punto di vista è Lonzo Ball. Fino al suo infortunio, avvenuto il 19 gennaio, i Lakers erano infatti settimi per defensive rating (106,3) mentre senza di lui si piazzano al ventisettesimo posto (116,6). Se nella metà campo offensiva Lonzo paga la sua meccanica di tiro inusuale, nella metà campo difensiva è in grado di marcare efficacemente i migliori playmaker della NBA.
Un giorno triste così felice
La vittoria contro Golden State nel match natalizio poteva essere la svolta della stagione. In un certo senso lo è stata, ma in negativo. Soprattutto a causa dell’infortunio del numero 23 che lo ha tenuto fuori per diciotto partite. Durante la sua assenza – a cui si è poi aggiunto l’infortunio del sopracitato Lonzo Ball – i Lakers hanno raccolto sette vittorie ed 11 sconfitte. In una squadra Lebron-centrica i giovani presenti nel roster si sono ritrovati ad un tratto senza l’apporto del Re, palesando i propri limiti sia in termini di gioco sia in termini di leadership. Quando sembravano pronti a dimostrare il proprio valore Ingram e compagni hanno invece inserito la retromarcia, facendo forse venire più di qualche dubbio sulla futuribilità del roster a disposizione di coach Walton.
Winter is coming
L’inverno vissuto dalla franchigia losangelina è stato finora da incubo. I Lakers sono infatti lentamente scivolati fuori dalla zona play-off e si ritrovano a dover rincorrere i cugini dei Clippers e la sorpresa Sacramento Kings. Due squadre meno esperte ma che hanno dimostrato idee chiare durante tutta la stagione. A differenza del team gialloviola, che resta schiacciato dalle aspettative e incapace sia di offrire un instant team in grado di vincere sia di creare l’ambiente ideale per la crescita dei giovani giocatori del roster, quasi oppressi dalla presenza del Re. L’unico a giovare dell’arrivo del numero 23 è stato Kyle Kuzma, principalmente per via delle sue doti offensive – non pervenuto, invece, nella metà campo difensiva.
Nonostante il ritorno in campo di James, il 5 febbraio è arrivata in casa dei Pacers una delle peggiori sconfitte della storia della franchigia: i 42 punti di distacco rappresentano il divario più ampio mai raggiunto in una partita con Lebron James in campo – ironicamente proprio mentre superava quota 32000 punti in carriera. Dopo la famosa partita di Natale, il Net Rating della squadra (cioè la differenza tra Defensive Rating e Offensive Rating) è crollato a -5,5 punti a fronte del +2,3 autunnale: un’ulteriore conferma di quanto i Lakers attacchino male e difendano, se possibile, ancora peggio. Proprio la sconfitta simbolica contro i Pacers ha messo in luce la poca coesione della squadra, con Walton subito messo in discussione benchè Lebron in pubblico rassicuri sulla sua permanenza sulla panchina gialloviola.
Trade Alert
Oltre alle sconfitte sul campo, l’inverno dei Lakers è stato caratterizzato da continue voci di trade che hanno riguardato più o meno tutti i componenti del roster ad eccezione di Lebron James. La notizia che ha scatenato gli insider NBA è stato ovviamente la volontà di Anthony Davis di lasciare i New Orleans Pelicans. In molti hanno visto dietro queste dichiarazioni la longa manus di Lebron James visto che l’agente della stella dei Pelicans è lo stesso del 23 dei losangelini, Rich Paul. Al punto da far pensare ad ipotesi di tampering per via di alcuni comportamenti tenuti da Lebron nei confronti dell’amico. La traduzione in fatti della tendenza totalizzante di James di cui si parlava in precedenza. Il tutto condito da alcune esternazioni dello stesso Davis che avrebbe indicato come destinazione preferita proprio i Los Angeles Lakers.
Questo terremoto ha coinvolto tutte le squadre NBA, ma proprio i Lakers hanno messo sul piatto tutto ciò che avevano a disposizione pur di arrivare ad un accordo. Adrian Wojnarowski ha riportato offerte che comprendevano Kuzma, Ball, Ingram e due scelte future al Draft, prontamente rispedite al mittente dai Pelicans. Anche se le trattative non sono andate a buon fine, questo ha certamente minato la fiducia che i giocatori riponevano nello staff dirigenziale, dimostrato dal linguaggio del corpo dei giocatori stessi durante le partite di gennaio e febbraio. Soltanto Kuzma si è esposto pubblicamente in senso contrario dichiarando come preferisca essere criticato giocando a Los Angeles che ignorato in altre franchigie NBA. Di certo l’affaire Davis non ha contribuito ad aumentare l’alchimia e l’armonia all’interno dello spogliatoio. Magic e Pelinka hanno rapidamente dovuto cambiare obiettivi: passare dall’all-in per AD all’acquisizione di Mike Muscala e Reggie Bullock non è certamente la prospettiva ideale per i tifosi Lakers.

Cosa attende i Lakers
Non è facile pronunciarsi sul futuro dei Lakers. Negli Usa, l’opinione pubblica e il parere della stampa oscillano tra osservazioni che vedono i losangelini fuori dalla zona play-off e altre che li vedono come la più grande minaccia possibile per i Golden State Warriors sulla strada verso le NBA Finals. Giusto per sottolineare una volta di più l’indecifrabilità di questa squadra.
La condicio sine qua non per cui i Lakers potrebbero arrivare alla post season è ovviamente la presenza di Lebron. Un Lebron al 100% della forma fisica e pronto mentalmente a dare tutto nelle ultime 22 partite della stagione.
My level of intensity has to be [high], unfortunately for me because I don’t like to do it at such an early time,” James said. “I’m a little bit different. But it’s been activated. So look forward to see what we can do.
Queste le dichiarazioni del Re rilasciate al Los Angeles Times. È evidente, però, che i problemi dei Lakers non siano soltanto di mentalità bensì tecnici, con un’intesa mai realmente trovata sul campo tra i giocatori. Nel frattempo è arrivata un’altra sconfitta nella notte contro i modesti Memphis Grizzlies.
Analizzando il calendario, il sito Tankathon.com ha valutato il percorso dei Lakers come il decimo più complicato dell’intera Lega alla luce delle partite che attendono i gialloviola, molte delle quali in trasferta. Confrontandolo con quello delle dirette concorrenti all’ultimo posto disponibile, Clippers e Kings, scopriamo come i primi siano al 23° posto di questo ranking, mentre i secondi al 26°. Secondo FiveThirtyEight.com le statistiche dicono che i gialloviola hanno il 17% di possibilità di raggiungere i play-off.
Chi se la sente di scommettere i Lakers? Anzi, chi se la sente di scommettere contro il Re?