In due giorni di Champions League, il calcio italiano si è ritrovato, quasi per caso, competitivo ai massimi livelli.
L’impresa della Roma contro il Barcellona e la controversa, ma comunque incredibile, gara della Juventus al Bernabeu ci hanno fatto scoprire delle vette che difficilmente qualcuno di noi si sarebbe aspettato fino ad un paio di giorni fa.
Alla luce di quanto successo, sarebbe normale credere che sia arrivato il tanto agognato momento di rinascita del nostro movimento. Anche perché, vedere le prime due classificate della scorsa Serie A combattere ad armi pari, e addirittura surclassare, le omologhe spagnole, ha fatto rizzare le orecchie a tutti.
Eppure, più di qualcosa ci fa pensare che la nuova età dell’oro del calcio italiano sia ancora lontana.
Calma
Non è questo il momento di fare dei voli pindarici.
Non possiamo dimenticare in due giorni 11 anni in cui non siamo mai riusciti a portare due squadre ai quarti di finale della massima competizione europea, sarebbe un gravissimo errore. Un po’ come quello che facemmo, dopo il Mondiale del 2006 e la Champions del Milan del 2007, nel pensare che il nostro sistema calcio fosse irraggiungibile e solo da imitare. E se anche una sola persona pensasse che stiamo esagerando, vorremo ricordarle che l’ultima volta con 2 italiane ai quarti non si poteva nemmeno aprire questo articolo da Facebook, dato che in italiano ancora non esisteva.
2 – L’Italia porta due squadre ai quarti di finale di Champions League per la prima volta dal 2006/07: in quell’occasione Roma e Milan, con i rossoneri poi campioni d’Europa. Orgoglio. #RomaShakhtar
— OptaPaolo (@OptaPaolo) March 13, 2018
Dobbiamo essere orgogliosi, ma anche consapevoli.
La calma è d’obbligo, tutti noi abbiamo gioito nel vedere la Roma eliminare il Barça di Messi e Suárez, ma dopo questi anni dovremmo essere in grado di poterlo riconoscere come un episodio isolato, un momento irripetibile.
Dobbiamo essere consapevoli che il percorso di rinascita del calcio italiano è ancora nella sua fase embrionale, e ci vorranno tempo e scelte oculate per stabilizzarci su questi livelli.
La stessa Juventus, che ha anticipato tutto e tutti in Italia, ha avuto bisogno di diversi anni per potersi permettere di giocarsela alla pari con le migliori formazioni continentali.
Ben vengano risultati come quelli di questa stagione, ma non devono essere presi come pretesto per ritardare i provvedimenti che vanno presi, per sanare il nostro calcio.
Va detto chiaramente: noi non siamo l’élite del calcio europeo. Non più almeno.
Per Inghilterra, Germania e Spagna è normale avere più di una formazione a lottare ai massimi livelli e, anzi, negli ultimi 10 anni hanno tutte avuto un derby in finale di Champions League.
La distanza resta sempre tanta, e sarebbe opportuno ricordare che il famigerato quarto posto in Champions League lo abbiamo recuperato per le riforme alle competizioni UEFA, non per reali meriti delle nostre squadre.
Italiani, fino a che punto?
A quanto appena detto va aggiunta una questione piuttosto importante.
Considerando i titolari nelle formazioni di Roma e Juventus contro le due spagnole infatti, notiamo come, complessivamente, gli italiani schierati erano appena 5. Di questi, solo 2 – Florenzi e De Sciglio – avevano meno di 33 anni. Per dire, il solo Real Madrid, con i 14 giocatori impiegati ieri sera al Bernabeu, raggiungeva lo stesso numero con gli spagnoli.
Il dato, sebbene segua un generale trend del calcio moderno, dovrebbe far riflettere su quanto possa essere deleterio sfruttare questi estemporanei risultati per fornire l’immagine di un movimento in salute.
Di fatto, il calcio italiano non riesce più a produrre giocatori pronti per gare ad altissimi livelli, e gli unici a poter competere sono ancora alcuni di quelli di 5-10 anni fa. Come capitato in questi giorni a Buffon, Chiellini e De Rossi, la cui età media è quasi 36 anni.
Gli stessi Florenzi e De Sciglio, con 27 e 25 anni, non sono più di primissimo pelo, anche se qualcuno li ritiene sempre delle giovani promesse.
Quello che Roma e Juve ci hanno detto è che per arrivare fino in fondo, in questo momento, è meglio non affidarsi ai giocatori italiani, almeno, non a troppi.
Se pensate che non sia così, vi sfidiamo a trovare un attaccante italiano che possa fare anche solo la metà del lavoro svolto da Džeko l’altra sera. O anche uno che abbia la personalità dimostrata da Mandžukić, o i numeri di Douglas Costa.
Per essere chiari, parliamo di questo lavoro qui.
Se volessimo, potremmo anche farvi notare che l’ultima italiana che ha vinto la Champions League schierava regolarmente come titolari 11 stranieri, ma qui si rischierebbe di divagare.
Comunque sia, è chiaro che la produzione di giocatori italiani di altissimo livello si è arrestata, e dovrebbe essere sufficiente a non glorificare troppo i buoni risultati di questa annata. Anche perché poi il rischio è quello di considerare il calcio italiano più in crescita di quanto realmente sia, e abbiamo già imparato sulla nostra pelle quanto questo possa essere negativo.
Vediamo di non commettere lo stesso errore per due volte.
Punto di partenza per il calcio italiano
Come dovremmo considerare allora le prestazioni di Roma e Juve in questa stagione? Come un punto di partenza, per dirla in modo molto semplice.
Queste gare – e la semifinale che arriverà per la Roma – servono per dire a tutti, e soprattutto a noi stessi, che ci siamo, che il calcio italiano ha voglia di rinascere da quelle ceneri scaturite da uno strano processo di autocombustione.
Se da un lato infatti è profondamente sbagliato adagiarsi su vittorie singole, dall’altro è anche necessario uscire da quella spirale di negatività in cui è caduto il movimento negli ultimi tempi, specialmente da quel maledetto 13 novembre 2017.
Per farlo, notti come quella dell’Olimpico sono fondamentali e necessarie, anche solo per poter regalarci la consapevolezza di poter competere, anche contro una squadra che ha nelle sue fila il miglior giocatore del mondo.
Dovrebbero esserci molte più notti così.
Roma e Juventus hanno dettate le linee di quello che deve essere lo spirito per provare a raggiungere le vette. Osare, provare a sopperire alle differenze tecniche con idee propositive, tentare un calcio nuovo, più moderno, con qualche pressione in meno.
Tornare a divertire ed emozionare, prima ancora che a vincere, dovrebbe essere un obiettivo fondamentale per i prossimi tempi.
I fatti di questi giorni dovranno asfaltare la strada per le future campagne europee delle squadre italiane, dovranno essere d’ispirazione a squadre come Napoli, Milan e Inter, senza per questo essere un continuo metro di paragone. Fatto che, tra l’altro, sarebbe piuttosto normale e ingiusto.
Dobbiamo essere consapevoli di aver di fronte a noi un bivio: da un lato una via semplice, fatta di risultati occasionali e magari qualche sporadica vittoria, dall’altro una via più difficile, che costerà tempo, denaro e fatica, ma potrebbe riportarci ai vertici.
Bisognerà comprendere fin da subito che, finché non saremo in grado di competere economicamente con le big, difficilmente potranno arrivare tante vittorie e che dovremo abituarci solo a degli exploit saltuari.
Un po’ come quelli della Juve, che prima o poi troverà l’anno in cui gli gira tutto bene.
E un po’ come quello della Roma, sperando che la favola non sia ancora finita.