Un calcio ai pregiudizi

Se vi state chiedendo quale considerazione ci sia in Italia verso il mondo del calcio femminile, provate a pensare alle dichiarazioni rilasciate da un paio di esponenti della FIGC in questi ultimi anni.  Era il 2015 quando Felice Belloli, l’allora presidente della Lega Nazionale Dilettanti, rispose con queste testuali parole alla proposta di aumentare i finanziamenti rivolti a questa categoria:

“Basta, non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche

Felice Belloli

Messo di fronte alle sue responsabilità, Belloli non pensò minimamente all’idea di rassegnare le dimissioni.  Dovette intervenire il Consiglio della Lega per allontanarlo, seguendo la “linea dura” decisa da Carlo Tavecchio.  E anche il Presidente della FIGC, pochi mesi prima della sua elezione, aveva rilasciato alcune affermazioni non proprio ineccepibili:

Finora si riteneva che la donna fosse un soggetto handicappato rispetto al maschio sulla resistenza, sul tempo, sull’espressione anche atletica e invece abbiamo riscontrato che sono molto simili.

Carlo Tavecchio

In Italia sono ancora in tanti a credere che il calcio “non è uno sport per signorine“, per cui le donne che vogliono praticare questo sport sono ancora costrette a combattere vecchi pregiudizi e tabù.  Negli ultimi mesi, però, qualcosa ha cominciato a muoversi.

Calcio femminile in Europa

L’arretratezza dell’Italia si palesa soprattutto nel confronto con gli altri Paesi europei.  Nel nostro continente è la Germania ad avere la federazione meglio strutturata: la Nazionale teutonica è stata vincitrice di due Mondiali nel corso degli anni 2000 e ha portato a casa 6 Europei consecutivi tra il 1995 e il 2013.  Come potete immaginare, il confronto tra il nostro movimento e quello tedesco presenta delle differenze abissali, tanto da ritenersi che in Italia il calcio femminile sia indietro di almeno 20 anni.  Il paragone è fortemente negativo non solo verso la Germania, che gode di una delle migliori Nazionali al mondo, ma anche nel confronto con altri paesi europei: rispetto alla Francia si stimano circa 15 anni di ritardo, verso l’Inghilterra “soltanto” 12 anni.

Altri dati mostrano come le differenze siano enormi.  Consideriamo ad esempio il numero delle giocatrici tesserate: l’Italia ne conta circa 23.200, l’Inghilterra 90.000, la Francia 170.000 e la Germania 250.000.  Consideriamo poi i finanziamenti che arrivano dalle rispettive federazioni: mentre la FIGC distribuisce circa 3 milioni di euro l’anno, la FFF ne stanzia 10 e la Football Association è salita fino a 20.  Ad essere diversa è anche la diffusione mediatica: mentre da noi è estremamente raro vedere una partita di calcio femminile in televisione, altri Paesi dedicano intere trasmissioni di approfondimento.

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Al termine dello storico “Match Of The Day”, la BBC trasmette il nuovo “The Women’s Football Show”

Persino i Paesi scandinavi mostrano di essere molti passi in avanti rispetto all’Italia.  Tra questi va segnalata l’iniziativa della Norvegia, che è diventato il primo Paese ad approvare una legge che parifica gli stipendi delle atlete donne a quelli dei loro colleghi maschi.  I calciatori uomini hanno infatti accettato un taglio del loro stipendio, che nel 2018 scenderà dagli attuali 697.000 euro a 639.000 euro, devolvendo quindi un contributo di circa 60 mila euro al movimento femminile che va ad aggiungersi ai proventi delle sponsorizzazioni commerciali, ai quali rinunceranno.  Così facendo, la federazione norvegese potrà quasi raddoppiare lo stipendio complessivo destinato alle donne, che passerà dagli attuali 330.000 euro a circa 640.000 euro.

La decisione della Norvegia è da ammirare sotto ogni punto di vista, ma nella maggior parte dei Paesi è impossibile replicare questo modello: il movimento di denaro che interessa il calcio maschile, in Italia come nelle altre grandi federazioni, non potrà mai essere raggiunto da quello altri sport.  Certo, va anche considerato che in altri Paesi la donna ha una diversa considerazione della donna a livello sociale ed è considerata in tutto pari agli uomini.

E se guardiamo alla nostra società, non possiamo affermare che le cose procedano nello stesso modo.

 

In Italia

Nel nostro Paese sono 4 gli sport ad essere riconosciuti come “professionistici”.  Nessuno di questi è femminile.  Nemmeno nella pallavolo o il tennis, dove la rappresentanza femminile è di ottimo livello, le atlete sono professioniste.

Di conseguenza, nel calcio tutte le giocatrici sono dilettanti: questo significa che i contratti non prevedono uno stipendio ma soltanto un rimborso spese che non può essere superiore ai 28.000 euro l’anno, per via di una legge che risale al lontano 1981.  Essere dilettanti significa anche non ricevere contributi pensionistici, non avere un’assicurazione sanitaria, non avere tutele in caso di maternità.  Come in altri lavori, rimanere incinte può costare il posto di lavoro.

A partire da quest’anno, però, qualcosa sembra finalmente muoversi.  La FIGC ha infatti permesso alle società maschili di entrare nel movimento rilevando il titolo sportivo di squadre femminili già esistenti, occupandosi così della loro gestione.  Grazie a questa possibilità alcune società, tra cui la Juventus, hanno finalmente fatto il loro ingresso nel calcio femminile.  Questa decisione ha poi apportato notevoli miglioramenti alle condizioni giocatrici, che ora possono usufruire di strutture e staff tecnico messi a disposizione dai club professionistici.

Sempre da questa stagione, la FIGC ha fondato i primi movimenti giovanili della Nazionale Azzurra: sono infatti nate le Nazionali under 12, under 16 e under 23, e le società professionistiche hanno ora l’obbligo di tesserare 20 bambine Under 12.  Nei prossimi anni, questo obbligo verrà gradualmente esteso a tutti i club maschili.

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La formazione della Juventus Women

A piccoli passi

Negli anni ’90 la nostra Nazionale aveva raggiunto per ben due volte la finale dell’Europeo di categoria (nel 1993 e nel 1997), pur uscendone entrambe le volte sconfitta.  Da allora, però, altri Paesi hanno fatto importanti passi in avanti, mentre il nostro movimento non ha ricevuto il sostegno necessario per potersi evolvere, al punto che con alcune Nazionali il divario sembra diventato ormai incolmabile.

Di questo è stato prova anche Euro 2017.  La Nazionale di Antonio Cabrini non ha sfigurato e ha chiuso la spedizione con una vittoria prestigiosa contro la più quotata Svezia, ma ha comunque mostrato quei limiti che oggi, inevitabilmente, deve portarsi dietro.  Nonostante il mancato accesso ai quarti, obiettivo mai fallito prima di quest’anno, il risultato è stato però accolto con positività, considerato che il livello generale di questa disciplina è molto più elevato rispetto al passato.

La piccola rivoluzione iniziata dalla FIGC va accolta con positività, a patto che venga seguita in tempi recenti da altre operazioni concrete.  Ad ogni modo, per vedere i primi effetti è verosimile che bisognerà attendere un decennio.  Nel frattempo le Azzurre, con la vittoria per 3-0 ottenuta ieri contro la Romania, proseguono il loro cammino al comando del loro girone di qualificazione a punteggio pieno.  In attesa che qualcuno di ricordi di supportarle.

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