Bob Bradley, il football diventa soccer

Il muro del pregiudizio è caduto.
No, tranquilli, non mi riferisco a uno spinoso tema d’attualità di cui, vi dico la verità, sarebbe abbastanza noioso parlarvi.
Sto parlando di una svolta che potremmo benissimo definire epocale. Dopo oltre 100 anni di storia della massima divisione calcistica inglese, per la prima volta questo weekend un allenatore statunitense guiderà dalla panchina una squadra di Premier League.

Ora, che l’Inghilterra calcistica avesse digerito il Boston tea party era evidente da diverso tempo, basti pensare ai diversi giocatori a stelle e strisce che hanno militato o militano nei campionati inglesi, da Howard e Dempsey negli anni scorsi fino agli attuali Yedlin e Guzan, per citarne alcuni.
Oltretutto, le due squadre storicamente più importanti, Manchester United e Liverpool, sono entrambe di proprietà made in U.S.A, dei famigerati Glazer i primi, di un consorzio di più azionisti(tra cui LeBron James) i secondi.
Mai però nessun club aveva scelto un americano per la panchina, sia per evidenti limiti di conoscenze sia per quella credenza di superiorità dei tecnici inglesi, o comunque europei, rispetto a quelli Yankee.

Colui che è riuscito ad abbattere questa barriera è tale Bob Bradley, 58enne di Montclair, New Jersey.
Il cognome probabilmente vi ricorderà qualcosa, il figlio Michael ha infatti calcato i campi della nostra serie A per 3 anni, giocando con Chievo e Roma.
Adesso però la grande occasione è capitata a papà, ingaggiato dallo Swansea per sostituire Francesco Guidolin.

 E’ arrivato direttamente a nuoto?

La scelta lascia quantomeno perplessi: va bene, Guidolin non portava a casa il risultato, ma il suo Swansea giocava bene e in maniera fluida. Il compito di Bradley non è mica come quelli delle vacanze a scuola, servirà esperienza e carisma per non far crollare i cigni.

Il neo allenatore dei gallesi viene infatti da esperienze positive ma sicuramente non di primo piano e il calcio europeo lo ha conosciuto appena due stagioni fa.
Nella prima ha condotto i norvegesi dello Stabæk al terzo posto in campionato e nella seconda, subentrato in corsa al Le Havre nella serie B francese, ha portato la squadra ad un passo dalla Ligue 1.
Precedentemente aveva anche guidato, con risultati alterni, la nazionale statunitense e quella egiziana.

Quali siano le ragioni che abbiano spinto la dirigenza a prendere Bradley non si capiscono: può aver influito il fatto che i proprietari del club, Jason Levien e Steve Kaplan, siano loro stessi americani, perchè altre ragioni sembrano reggere poco.

Anche la gestione del trasferimento è stata abbastanza comica, il direttore sportivo del Le Havre in un’intervista del 1 ottobre aveva dichiarato che Bradley sarebbe rimasto e che quelle dello Swansea erano solo speculazioni, infatti due giorni dopo il tecnico era in Galles a firmare il nuovo contratto.

 “Goodbye Le Havre”

Tornando a questioni di campo, Bradley dovrebbe iniziare la sua nuova avventura utilizzando un modulo adoperato anche dal suo predecessore, il 4-2-3-1.
Nei suoi pochi anni europei ha alternato questo modulo al 4-3-3, riscontrando spesso un buon rendimento, anche se con gli Swans dovrebbe partire con il primo.
Sicuramente potrà giovarne Fernando Llorente che mal si è adattato al gioco di Guidolin e al suo sistema di gioco e, guarda a caso, l’unico gol segnato da “El Rey leon” in questa stagione è arrivato quando il modulo utilizzato dai suoi era proprio il 4-2-3-1. Potrà davvero tornare a ruggire

Inoltre, dato interessante, in tutte le squadre guidate da Bradley gli attaccanti hanno sempre trovato la via del gol con facilità, sia allo Stabæk dove Adama Diomande fece 17 gol in appena 21 partite, sia al Le Havre dove dei 14 gol segnati da Lys Mousset 13 sono arrivati dall’arrivo di Bradley, dopo la 14ª giornata.

 Lys Mousset, talento classe ’96 svezzato da Bradley a Le Havre: ne sentiremo parlare

Curioso il fatto che si potrebbe ritrovare contro entrambi in Premier, visto che Diomande ora è all’ Hull City e Mousset al Bournemouth, nel caso segnino è già pronto il più classico dei “poi non dite che non ve lo avevo detto“, quantomeno per sdrammatizzare.
E poi, parliamoci chiaro, quando allenava la nazionale degli States riusciva a segnare pure Altidore, cosa vuole di più il buon Fernando?

Sarà intrigante vedere se riuscirà a trovare un modo per far convivere l’ex giocatore di Juve e Siviglia con l’altro acquisto dell’estate, Borja Baston, punta centrale che lo scorso anno ha fatto faville con la maglia dell’Eibar.

Vederli in campo insieme, con il 4-2-3-1, sembra improbabile visto che entrambi si esprimono meglio da prima punta e possibilmente con intorno giocatori più dinamici ma non è da escludere a priori che Bradley possa provare a metterli in campo contemporaneamente.

Non ci resta che vedere come sarà accolto dai tifosi questi primo allenatore statunitense in Premier, certo è che, almeno per noi italiani, vederlo a guidare i cigni del Galles avrà sempre un non so che di amaro, visto il trattamento riservato a Guidolin dopo che, nella scorsa stagione aveva egregiamente guidato la squadra e in questa abbia avuto solo poche partite per lavoro, nonostante tre delle cinque sconfitte siano arrivate con squadre del calibro di Leicester, Liverpool e Manchester City.

 “Ma davvero mi sostituisce con questo qui?”

Poi voglio dire, tirando in ballo la carriera: vale di più una quasi promozione con il Le Havre o arrivare in Champions con l’Udinese?
Il tempo ci dirà chi ha ragione, nel frattempo siate pure voi a trarre le dovute conclusioni…

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