«Questi tifosi sono la rovina del Genoa. Questa non è una piazza passionale, ma masochista. Quel che è accaduto è vergognoso, una contestazione senza senso. Ora capisco perché il Genoa da trent’anni non riesce a rialzare la testa. Qui i tifosi sanno soltanto contestare. È impossibile fare bene».
Osvaldo Bagnoli dopo Genoa – Roma
Mercoledi 21 novembre 1990. Al Ferraris di Genova si disputa il ritorno degli ottavi di Coppa Italia: la Roma di Rudi Völler e Pluto Aldair se la gioca con assoluta tranquillità, forte del 2-0 all’Olimpico e del ferreo turnover dei rossoblù, impegnati pochi giorni dopo nel derby contro i cugini primi in classifica. Quel giorno si scrisse la storia, in negativo. Quel giorno uscì una mezza verità che il popolo genoano non avrebbe mai voluto udire: no, ad Osvaldo Bagnoli non andò giù la contestazione. Alla fine del match, in sala stampa, scatenò tutta la frustrazione; Bagnoli è sempre stato schietto, diretto, non le ha mai mandate a dire. E quelle parole, ancora oggi, riecheggiano nel fortino del Ferraris.
“Fortino“, forse un tempo. Perché se facciamo un volo pindarico al presente, il Ferraris appare inespugnabile per la Samp, non certo per il Grifone: quattro punti in dieci partite casalinghe, troppo pochi. Una sola vittoria, soffertissima, contro un Benevento coraggioso e ben organizzato, abile a testare i riflessi di Perin e il sistema cardiovascolare del tifoso rossoblù medio.
E il tifoso medio genoano, lo sappiamo, è un osso duro. Difficilmente malleabile, aspramente critico nei confronti della gestione societaria, mai soddisfatto. A Genova si usa un termine appropriato, calzante: mugugno. Il mugugno, per il genovese, è una cicatrice genetica che può migliorare. Può eluderla, ma non andrà via. Si tratta propriamente di un brontolio costante.
Nonostante tutto, però, i genoani amano. Conservano e nutrono una passione viscerale, un amore incondizionato per la maglia, che li porta a riempire la Gradinata Nord di livore: il mugugno è un dazio da pagare, in questa prospettiva. Da anni le manovre societarie del presidente Preziosi mettono in perenne disaccordo il popolo rossoblu: c’è chi lo difende a spada tratta, chi lo faceva ma si è stufato, e chi esorta a non dare conto alle sue azioni. Non siamo qui per giudicarle, ma siamo qui per analizzare l’unico uomo che riesce a coniugare in armonia questi sentimenti vividi e contrastanti.
Ci riesce solo lui. Davide Ballardini.
Dal 7 novembre 2017 – due giorni dopo la sconfitta nel derby – il Genoa poté stare leggermente più tranquillo. Il sergente di ferro è tornato, rude e comprensivo, integralista e innovativo al tempo stesso, pronto a vincere una battaglia che rientra perfettamente nelle sue corde.
Ballardini nasce a Ravenna, ma ha il carattere genovese. Chiuso, non proprio estroverso e diffidente ai primi incontri, si aprirà piano piano per poi riservarti sorprese. Alt, non vogliamo cadere nelle generalizzazioni, trattasi semplicemente di un’osservazione maturata da chi vanta un soggiorno nel capoluogo ligure da tutta la vita.
È l’uomo giusto per il Grifone, e cercheremo di capire i motivi di questo matrimonio strano ma vincente.
Coesione interna
L’unione fa la forza. Non è la frase promozionale di uno spot pubblicitario della Volvo, stavolta è calzante con la prima mossa di Ballardini: rafforzare il gruppo.
Quello che ha lasciato Juric in eredità assomigliava ad un puzzle dai pezzi mancanti, un contesto dove i giocatori non avevano le motivazioni per ricercarli, quei pezzi: l’ambiente necessitava di una scossa. D’altra parte, le statistiche parlano chiaro: sei punti in ben dodici partite, dieci gol fatti e diciannove subiti. Procedere con Ivan Juric sarebbe stata un’operazione coraggiosa, con un pizzico di masochismo.
Ballardini, però, non si fa spaventare da nulla: con il suo sguardo impassibile e il suo pugno di ferro alla Sergente Hartman, ha voluto cominciare dalle certezze mentali più che tattiche. Lo ha fatto tramite una rivalutazione totale dell’organico, reintegrando esuberi preventivamente scartati da Juric – su tutti Spolli – dando una possibilità a tutti.
Emblematica, in questo senso, la formazione schierata in Coppa Italia, contro il Crotone. In palio gli ottavi allo Stadium, fare turnover o promuovere gli 11 usciti degnamente nell’ultimo turno con la Roma? Ballardini sorprende tutti e stravolge totalmente le carte in tavola, vuole creare una coesione interna importante. Lo fa, cambiando 11/11.

All’integralismo tattico – ne parleremo, tranquilli – viene contrapposta una politica decisamente accogliente e accomodante del sergente Ballardini: la chance ti viene data, sempre e comunque. Se poi non la sfrutti, forse non è destino.
Occasioni Galattiche
Lui, la sua chance, l’ha sfruttata pienamente. Andrej Gălăbinov, dopo anni di gavetta in Serie B, vuole sgomitare tra le migliori difese italiane e bucare i migliori portieri: lo ha fatto tre volte, più di chiunque suo compagno di squadra, sebbene non sia avanzatissimo nelle gerarchie di Ballardini. Già, perché il tecnico ravennate sembra optare per un reparto offensivo più leggero, dinamico, capeggiato dal nuovo centravanti di Ballardini: Goran Pandev.
Il macedone è sceso in campo dal primo minuto – come prima punta – ben otto volte consecutive, guadagnandosi un posto di rilevo nella scala gerarchica del tecnico, non solo per la generosità con cui si abbassa a ricevere il pallone, ma anche per i movimenti in profondità che mettono in apprensione le difese avversarie.

Ed ecco il punto, la scarsa lucidità in zona offensiva. Occasioni nitide, galattiche, mal sfruttate da tutto l’organico che raccoglie punti ma non semina reti. La fortuna di questo Genoa va rintracciata non solo nella densità in zone nevralgiche del campo, ma anche nella capacità di saper soffrire in determinate situazioni.
Ma soprattutto la solidità difensiva. Chi ha investito al fantacalcio su Perin, ringrazi Ballardini.
San Mattia e i suoi discepoli
Se non ci fosse Perin, ogni tanto Ballardini si metterebbe le mani nei capelli che non ha. Già, perché il portiere nativo di Latina è totalmente rigenerato, forse più degli altri: nessuno ha mai messo in discussione il suo talento che gli è valso pure il posto fisso in Nazionale, ma le scorribande fallimentari dei suoi compagni miste agli infortuni potrebbero aver insinuato qualche dubbio.
Sembrava aver fatto un passo indietro a quella scellerata annata pescarese, dove il Delfino uscì con le ossa rotte, una retrocessione e 84 gol subiti in Serie A: nonostante ciò, Perin non aveva sfigurato. Il Genoa fu convinto, volle riprendersi il figliol prodigo che con i suoi guantoni mise più di una pezza nel torneo di Viareggio vinto con la Primavera.
Poi arrivò l’1 settembre 2013, il giorno in cui Perin svoltò definitivamente. Lo fece, cadendo.
Ironia della sorte, fu proprio il suo attuale compagno di squadra Giuseppe Rossi a beffarlo con un mancino dalla distanza che sorprese Perin: il portiere cercò di respingere lateralmente, ma la traiettoria assunse un giro inspiegabile ed entrò.
Fu il gol della svolta. Da quel momento Perin non ebbe più paura.
A distanza di anni, il Genoa ringrazia. Perin è tornato fare la differenza – superando due rotture del crociato e un’operazione alla spalla – sostenuto da un blocco difensivo di sicuro affidamento: la fisionomia del portiere cambia completamente se l’assetto difensivo lo rasserena. Ballardini ha conferito le sue idee, integraliste e conservative, ma in questo preciso momento ideali per l’obiettivo del Genoa.
Il Grifone non deve ambire all’olimpo dell’estetismo, bensì a quello del pragmatismo, che il tecnico ravennate sembra preferire. “Fare di necessità virtù” come si suol dire.

Ma se le prime apparizioni di Ballardini fecero intravedere sprazzi di manovra, il tempo da buon giudice della Corte Suprema ha saputo stabilire esattamente l’opposto: Firenze e Torino due trasferte esemplificative della perfetta sincronia tattica rossoblù, abile a creare una particolare densità e costringendo l’avversario a sfruttare l’ampiezza del campo. Non è un caso che solo l’Atalanta – maestra in questo – sia l’unica ad aver battuto il Genoa in campionato.
Agevolato da un sacrificio corale, Perin può guidare da capitano una difesa più convinta dei suoi mezzi. E non solo: da quando Spolli è stato eletto ministro della difesa genoana proprio da Ballardini, i meccanismi sono meno arrugginiti. L’ex Catania torna a recitare una parte da protagonista, una manna dal cielo dopo le nitide bocciature di Juric. Il terzetto Izzo-Spolli-Zukanovic capeggiato da San Mattia Perin porta risultati, oltre che porte inviolate: il Genoa non prende gol da più di 360 minuti. Se poi si mette pure a segnare…
Mediana operaia
Si, lo sappiamo, abbiamo trattato i ruoli in ordine casuale: sarebbe stata troppo scolastica una trattazione in ordine. Scolastico, in effetti, risulta il livello di regia del centrocampo rossoblù, forse il reparto che soffre maggiormente. Questa sofferenza sembra riflettersi palesemente sul reparto offensivo, poco supportato e chiaramente isolato, contrariamente all’idea propositiva di Ballardini.
Ballardini, in cuor suo, si aspetta il Genoa ben apprezzato contro Roma e Atalanta, vivace e propositivo, abile a cambiare ritmo dando risvolti più temibili ad un possesso palla che, a tratti, risulta pregno di sterilità e staticità. Eppure, con il passare delle gare, la mediana del Grifone ha assunto contorni tipicamente grezzi, operai, volti alla conquista del pallone senza l’esigenza di verticalizzare subito o conferire un cambio di ritmo lampante. Il Genoa propone, sfruttando spesso le corsie esterne con il dinamismo di Biraschi e Laxalt, per cercare magari il fraseggio corto con gli attaccanti. Fatto sta che Veloso, il regista designato, indossa l’abito del recupera palloni, dell’interditore che manca dai tempi della cessione di Rincón alla Juventus: più avvezzo alla regia, ad ora, pare Andrea Bertolacci, con Rigoni o Omeonga – di cui sentiremo parlare – pronti a riempire gli spazi in area.

Quel che risulta evidente è la mission attraverso cui il Genoa esibisce e imposta la sua strategia combattiva, ovvero la conquista del bottino. Ma non ditelo in giro, è un segreto.
Il segreto
Come si spiega questo radicale cambio di rotta? Domanda lecita, chiesta proprio al tecnico ravennate al termine di Verona – Genoa (0-1).
Mister, partiamo da qui: sette punti in tre partite, ne aveva fatti sei il Genoa nella precedente gestione. Cosa ha fatto questa squadra? Su cosa è intervenuto principalmente?
Non lo so. Io arrivo, faccio il mio lavoro, porto le mie idee, la persona che sono.
Forse Ballardini non ha segreti particolari. Forse bastava un equilibratore per dare sicurezza a questo Genoa, e forse Ballardini meriterebbe una chance a lungo termine, meriterebbe la possibilità di intervenire sull’aspetto della programmazione, a lui congeniale.
Dietro alla nomea di “mister salvezza” si cela una capacità di programmazione e crescita dei giovani, apprezzata anche da Sacchi che, nel 2002, lo portò a Parma in qualità di responsabile vivaio. Tra gli altri, fu artefice del lancio di Dessena, Cigarini e Giuseppe Rossi, che ritrova adesso a Genova.
Sacchi lo ammira per la sua elasticità e adattabilità alle situazioni in corso, Davide cresce con il mito suo e di Osvaldo Bagnoli. Già, proprio Bagnoli, allenatore ancor oggi annoverato tra i migliori nella storia del Genoa, oltre che amato da tutti.
Ballardini riesce a mettere d’accordo tutti ed è pronto a salvare il Genoa, per la terza volta. Solo l’uomo giusto può riuscirci.
Ma per Preziosi, non basta.