Nella domenica ho sempre visto assai malinconia. Sì, in teoria dovrei essere contento di riposarmi, ma per me è solo il giorno che precede il lunedì. Ogni distrazione, quindi, è buona per scacciare il magone e la consapevolezza di dover prendere il pullman alle 06:30 del giorno dopo. Capitano delle volte, però, in cui non si ha come alleviare la tristezza per il fine settimana finito. Perché? Perché non c’è la Serie A. In questi casi bisogna lavorare di libera iniziativa.
Così, ho deciso di organizzare una festa, o meglio, un gala. L’occasione è il primo compleanno di Assai, la nostra rubrica arrivata a festeggiare l’anno di vita. Le cose, però, vanno fatte sempre come si deve; così ho pensato di non limitarmi alla solita combo micidiale torta + tanti auguri a te + foto col festeggiato. Per l’occasione è sembrato più che giusto organizzare i primi Assai Awards, l’unica premiazione ufficiale in cui verranno annunciati i 7 episodi di cronaca sportiva più esaltanti, nel bene o nel male, di quest’anno.
Per ogni gala di un certo livello c’è bisogno di un presentatore che si muova con sapienza sul palco, interagisca con i premiati e sappia riempire le pause senza far andare via gli spettatori. David Letterman era impegnato, Pippo Baudo pure, ci aveva detto di sì solo Arevalo Rios. Abbiamo preferito fare da noi. La serata inizia senza intoppi. Qualche piccola scaramuccia sul red carpet c’è stata, ma alla fine tutti gli ospiti hanno occupato il loro posto. Iniziano così i primi Assai Awards.

Settimo posto
Come ogni classifica che si rispetti iniziamo anche noi dall’ultima posizione, altrimenti smettereste di leggere già ora. Così chiamiamo sul palco il settimo classificato alla prima edizione degli Assai Awards: Romano Fenati. Mentre scorrono le immagini del suo folle gesto ai danni di Stefano Manzi – per chi fosse appena tornato dall’Erasmus su Marte, il pilota marchigiano in gara ha affiancato il rivale e ha tirato il freno della sua moto per superarlo – il nostro premiato, chiamato a ritirare il premio, nel tragitto in platea mette lo sgambetto a uno steward e butta a terra la videocamera di un operatore.
Gli consegniamo il premio a distanza di sicurezza, come si lasciano le valigiette piene di soldi ai ricattatori nei film, e lui lo riceve contento. Ha detto solo che cambierà l’etichetta e la coprirà con quella del circuito di Misano Adriatico. Così, per soddisfazione personale.
Sesto posto
Qui succede qualcosa di strano. Non appena annunciamo il sesto posto in classifica ai nostri Assai Awards, tutto il pubblico abbandona la sala inspiegabilmente. Qualcuno se ne va sbattendo la porta e gridando “E basta!”, altri mettono gli auricolari per non sentire, qualcuno piange. Ebbene sì, era facilmente intuibile, tra le cose più incredibili – ma poi neanche così tanto – degli ultimi 12 mesi di sport, c’è la mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali in Russia. A ritirare il riconoscimento non viene nessuno; dalla regia ci dicono che in Federazione ancora non finisce la riunione di 6 giorni per decidere chi sarebbe dovuto salire sul palco. Ventura, che sarebbe la star più attesa, ormai siede sulla panchina del Chievo e sta cercando di far assimilare alla squadra il suo infallibile 4-2-4; Tavecchio, pure assolutamente benvoluto dal pubblico, l’ultima volta è stato visto parlare in francese sulle rive del lago di Como. E così rimane lì questo glorioso premio, davanti agli occhi di tutti, un monito per il futuro con la sua scritta. Una lapide.

Quinto posto
Normalmente è abituato a stare più in alto in tutte le classifiche nelle quali viene inserito, ma gli Assai Awards sono una cosa a parte e quindi si dovrà accontentare. Cristiano Ronaldo o CR7 che dir si voglia non ha assolutamente vissuto un anno normale. È stato lo sportivo più presente in questa nostra rubrica e non poteva essere lasciato fuori da una serata così importante. In dodici mesi ha vinto la quinta Champions League in carriera segnando un incredibile gol in rovesciata ai quarti di finale contro la Juventus; è andato via dal Real Madrid pagato 100 milioni proprio dalla squadra che ha buttato fuori e – ultima cosa, decisamente meno piacevole – è stato accusato di aver stuprato una donna a Las Vegas ormai dieci anni fa. Quanto fatto sul campo non può essere messo in dubbio da nessuno, per le disavventure esterne, invece, non ci è concesso pronunciarci prima che lo faccia la magistratura. In ogni caso si può dire che gli ultimi dodici mesi per il Portoghese non sono stati assolutamente normali.
Ah, ovviamente lui non si è presentato alla cerimonia quando ha saputo di non essere primo in classifica.

Quarto posto
La migliore descrizione di Assai non la si può rendere con delle parole, la migliore descrizione di assai è un urlo. Un’esplosione di sentimenti, positivi o negativi che siano, non esprimibili con le parole. Assai è l’urlo di Manolas. Sì, il quarto posto in questa nostra classifica lo occupa l’impresa della Roma con il Barcellona ai quarti di finale di Champions, che ha permesso ai giallorossi di ribaltare il 4-1 dell’andata con un 3-0 e di approdare in semifinale. Assai è quello, è la tensione crescente, è l’inaspettato ma sperato, è la liberazione e la gioia. Tutto condensato nella partita perfetta dell’Olimpico e riassunto dalla corsa folle di un Manolas che grida a squarciagola. È lui che viene a ritirare il nostro premio. Questa volta non lo fa di corsa, ma con il sorriso compiaciuto di chi sa che, per una sera, indossando i panni dello sfavorito che alla fine ce la fa, ha regalato a tutti una delle più classiche storie di sport.
Terzo posto
Ora gli Assai Awards si fanno più o meno seri. Siamo arrivati al gradino più basso del podio e, dopo intermezzi a tratti comici, ora non c’è nulla di cui scherzare. A guadagnarsi la medaglia di bronzo troviamo Jaylen Brown, ala piccola dei Boston Celtics, che ora si appresta a iniziare la terza stagione sul parquet del TD Garden. Lo scorso 17 novembre Brown è sceso in campo contro i Golden State Warriors campioni in carica in circostanze abbastanza particolari. Il giorno prima è morto uno dei suoi amici più stretti ed è facile immaginare quanto il ragazzo, allora ventunenne, fosse sconvolto. Ovviamente tutti gli lasciavano grande libertà di scegliere se giocare o no; solo una persona ha provato a convincerlo a scendere in campo e c’è anche riuscita: la madre del ragazzo scomparso. Così Jaylen ha indossato la divisa con l’animo di chi, in quel momento, sta giocando per un qualcosa di più grande, di chi è in mezzo ad altre persone, ma sostanzialmente sta facendo tutto solo per se stesso e per una propria motivazione personale. Il risultato è, neanche a dirlo, vittoria di Boston e Jaylen Brown MVP della partita con 22 punti. Lo chiamiamo sul palco, è commosso, alza il premio al cielo, la sua forza è venuta da lì.
Secondo posto
Al secondo posto della nostra classifica troviamo un’altra storia di riscatto. Il protagonista è Shaquem Griffin, giocatore di football presente per ben due volte nei nostri Assai. La sua storia è resa straordinaria – e quindi da Assai – dal fatto che a soli quattro anni gli venne amputata una mano. Da allora, una carriera in uno sport in cui si gioca appunto con le mani diventa un’ipotesi ben più che remota. Invece, terminato il percorso al college, il buon Shaquem si è messo prima in mostra alla combine prima del draft – l’evento in cui agli atleti vengono fatti test e misurazioni fisiche – e, successivamente, è riuscito anche a guadagnarsi un posto ai Seattle Seehawks in NFL, riuscendo, nonostante la sua difficoltà, ad imporsi nella migliore lega al mondo. Ciò che ha fatto è stato rendere realtà una storia che rischiava di rimanere la solita “favola” della quale si parla per un paio di giorni sui social prima di vederla scomparire. Ora Shaquem Griffin ha realizzato il suo sogno e il miglior modo per celebrarlo – ne siamo certi – è la medaglia d’argento agli Assai Awards.

Primo posto
Dopo un piccolo intervallo torniamo con la premiazione del vincitore assoluto degli Assai Awards. Durante la pausa Preziosi ha richiamato ed esonerato di nuovo Ballardini giusto per il gusto di farlo e Piatek, alzatosi per andare in bagno, ha involontariamente urtato con la testa e scagliato in porta un pallone lanciato da Candreva (che ogni volta che può, dietro indicazione di Spalletti, si esercita con i cross). Ma torniamo a noi.
Signore e signori durante quest’anno ci siamo divertiti, emozionati, a volte commossi; abbiamo visto pronostici sovvertiti ed esiti inaspettati; abbiamo visto realizzato quello che non avremmo mai immaginato potesse succedere: questo è Assai. E proprio per questo il primo premio non potevamo non assegnarlo a lui: protagonista che più casuale non si può, prototipo dell’individuo comune che per un giorno diventa eroe e artefice di quella gioia che nasce solo dall’insperato. Il vincitore degli Assai Awards è Alberto Brignoli. Su quel gol si potrebbero scrivere libri, potrebbe essere preso come esempio per propaganda rivoluzionaria o, in alternativa, come soggetto di una sceneggiatura. Io, Beneventano e tifoso del Benevento, ho sperimentato un’ascesi estatica collettiva, che avrebbe vissuto chiunque si fosse trovato allo stadio in questo momento.
Quando sale sul palco a ricevere il premio lo abbraccio, perché mi ha ricordato perché mi piace questo sport. E assai.