Chi avrebbe avuto mai il coraggio di sopportare l’onere di un numero della stessa materia del piombo? Quale sorte brama l’ascia del confronto e la calda lama del ricordo verso colui che pretende di eguagliare medesima gloria? E, soprattutto, chi è colui che invocano con il nome di Erede? La storia di Arthur Melo, ventiduenne centrocampista brasiliano, (ri)comincia adesso.
Dopo aver ottenuto la gloria della Libertadores con il Gremio, è la volta dell’Europa. Acquistato dal Barcellona durante l’ultima sessione di mercato, indosserà la maglia numero 8: non è, però, soltanto il numero di quell’hombre che dovrà ricoprire. In campo, infatti, è rimasto un posto vacante.
La nuova voce del Brasile
È sotto lo sguardo attento di Luis Felipe Scolari che il classe ’96 conquista la prima presenza ufficiale con il Tricolor. Ma è Renato Gaucho Portaluppi ad assicurare al centrocampista brasiliano un posto da titolare tra le file del Gremio. Il fisico minuto non cela affatto le ampie vedute, in senso assoluto, di Arthur, giovane brasiliano dal tocco elegante che probabilmente già sentiva in cuor suo che, con quelle caratteristiche, l’Europa non sarebbe stata poi così lontana. Infatti gli basta pochissimo, quando, alla prima stagione in prima squadra, con 27 presenze nel Brasileirão viene nominato rivelazione del torneo. E vista la costante fucina di talenti che tradizionalmente sforna il Brasile, non è certamente così semplice che un centrocampista, anche non troppo appariscente rispetto ai giovani funamboli scalpitanti d’attenzioni, riesca subito a raggiungere un simile traguardo.
Mi piace avere la palla tra i piedi, amo i passaggi corti ed il gioco rapido.
Con queste parole, Arthur anzitutto pone in rilievo le sue affinità con un calcio più sintetico e sobrio. Aspetti che spesso tendono a scontrarsi con le caratteristiche del calcio brasiliano, impregnate da una tradizione ormai claudicante e fuori tempo massimo, rispetto alle ingenti voci di una revisione più moderna, che guardi più al modello europeo, specialmente per la nazionale. Sorvolando però il dialetto del futèbol verdeoro – verso cui comunque resta un bene non intaccare la radice della tradizione, che ancora attira e appassiona numerosi seguaci d’oltreoceano – è indubbio che Arthur rappresenti uno dei vessilli della nuova voce. Non a caso, infatti, Tite ha già rivolto nei suoi confronti parole di riguardo, paragonando l’ascesa del ragazzo brasiliano per la rapidità con cui è emerso, a quella del connazionale Gabriel Jesus, per quanto ancora abbia bisogno di affermarsi con continuità nei piani della Seleçao. Durante l’amichevole contro l’Argentina, comunque, abbiamo potuto intendere che il fulcro del gioco della nuova nazionale verdeoro passerà dai suoi scarpini. Eleganza e rabbia, agonistica, ma anche esistenziale: di chi nel tempo che avanza inesorabile riesce a esonerare la paura della caducità, e il conseguente ritorno a sé. Queste, comunque, sono le scintille della Nuova Voce di questo Brasile e sono state innescate dal classe ’96 Arthur Melo, da cui poca favilla gran fiamma seconda.
La calamita
Al Gremio, Arthur è riuscito a consacrarsi con il ruolo di playmaker: era infatti lui a impostare la manovra offensiva, spaziando sulla metà campo e avanzando verso la trequarti avversaria. I moduli a cui si adatta meglio sono il 4-3-3 e il 4-2-3-1: sistemi di gioco che prevedono, presumibilmente, un’ingente quantità di giro palla, una rotazione e sovrapposizione degli spazi e delle posizioni in campo, a lui congeniale. Non mostra una spiccata mentalità offensiva, o meglio non ancora: sarà compito di Valverde infatti pretendere che il giovane brasiliano, agevolato dalla coinvolgente manovra offensiva del Barcellona, veda di più la porta. Oltretutto, ha già mostrato quest’estate di possedere un buon tiro dalla distanza con il gol, finora l’unico in blaugrana, realizzato nella ICC contro il Tottenham.
Ideale sia per l’impostazione, sia per il mantenimento del palleggio, col Gremio tendeva persino a ricevere il pallone da primo uomo, al posto del centrale di difesa, per poi scambiarla con le mezzali o uno degli attaccanti (Luan, Maicon). Conosce e sfrutta ampiamente gli spazi per avanzare, piuttosto che forzare la manovra portando palla al piede, per quanto non disdegni di farlo. Per Arthur il calcio è una cosa semplice, come uno scambio rapido con i terzini o con le mezzali, specialmente se agevolato dal lavoro svolto dalla pressione di un centrocampista d’interdizione (Renato al Gremio, Busquets e Rakitic adesso).
Potremmo quindi parlare di egocentrismo del suo gioco, vista la costante tendenza nel richiedere il pallone fra i piedi, per poi smistarlo ai compagni di reparto. Non sorprende assolutamente, infatti, che sia stato il maggior realizzatore di passaggi (2003!) del campionato brasiliano nel 2017. Insomma, caratteristiche care e ampiamente ricercate per vestire la casacca blaugrana. Inoltre, come dimostra il frame sottostante, nonostante i 1,72cm e i soli 66kg, Arthur non si tira affatto indietro quando c’è da lottare e fare a spallate, riuscendo anche a contribuire abilmente alla fase di ostruzione della manovra avversaria, con conseguente ripartenza. Da una sensazione di eleganza e di fragile raffinatezza si intravede dunque un’anima latina dirompente e selvaggia, maturata grazie alle necessità del calcio brasiliano, dove non basta essere belli.
Lo scettro dell’erede
Adesso, però, è giunto il momento di capire perché Arthur appaia così speciale. Come già detto sopra, giunge a Barcellona in punta di piedi, con la timidezza che qualsiasi giovane centrocampista in rampa di lancio dovrebbe avere nel momento in cui la sorte offre due binari diversi: sarò la rivelazione di uno dei club più importanti del mondo, o mi accontenterò del ruolo della comparsa e di urlare io c’ero? Arthur lascia che sia il caso a parlare, ma non troppo. Già durante le prime gare amichevoli in cui ha vestito la divisa del club catalano, Arthur ha mostrato l’interessante bagaglio tecnico a sua disposizione, in attesa che l’inizio della stagione e l’arrivo di Vidal lo allontanassero parzialmente dal campo. Ma più il brasiliano collezionava le prime presenze con il Barça, più si parlava di lui e più vedeva il suo nome fra i titolari, a discapito proprio di Arturo Vidal. Finché, finalmente, si ammise ciò che ancora nessuno fino a inizio settembre voleva ammettere: Arthur ricorda Xavi, indossa degnamente il numero di Iniesta e occupa efficacemente la sua posizione di centro-sinistra.
Già! Proprio di questo parliamo. #armonia #pensiero #visione #letturadifferente #calcio pic.twitter.com/JVvcbQiZIh
— Daniele Adani (@leleadani) October 25, 2018
Arthur ha già, ovviamente, accettato il paragone, pur con l’evidente imbarazzo di ricevere domande che lo pongono al cospetto un maestro catalano che indossò la numero 6. Che dovrebbe dire, d’altronde? Il campo sta già rispondendo eloquentemente. E raramente abbiamo assistito a un giovane giocatore sudamericano ambientarsi con così tanta semplicità in un campionato di così alto valore, replicando in occasioni internazionali, anche contro avversarie inglesi e italiane. Anzi, proprio contro l’Inter ha disputato una delle sue migliori prestazioni stagionali. Inter che aveva sondato il terreno per un ipotetico approdo di Arthur questa estate, ma il Barcellona è stato più rapido e, come suo solito, più furbo. Circa 30 milioni per accaparrarselo, che per i tempi che corrono non può che definirsi un affare.
Ma se in Italia il numero 8 ha ricevuto la celebrazione del suo talento e l’onere del paragone da un appassionato di calcio sudamericano come Adani, in Inghilterra le parole di Rio Ferdinand sgorgano continui complimenti, fino ad attribuirgli l’appellativo di Xaviesque.
I movimenti per tentare di liberarsi dalla pressione avversaria, la ricerca del pallone fra i piedi, la tendenza alla verticalizzazione rasoterra e quant’altro: di Arthur è stato detto persino che sembra essere cresciuto a La Masia. E, in effetti, non poteva trovare club migliore per valorizzare le proprie abilità: la sua rapida e naturale integrazione al sistema di gioco blaugrana è soltanto la consacrazione delle prospettive calcistiche che il 22enne ha maturato fin da giovane e poi espresso ampiamente.
Colpisce, anzi, proprio la spontaneità con cui Arthur riesca a svolgere, e talvolta persino imporre, il proprio gioco. A tal punto che al Camp Nou qualcuno pensa che Xavi sia davvero tornato in campo con la maglia numero 8 dell’amico Iniesta: così, per scherzare.