La stagione di Premier League, come al solito, ci sta regalando le consuete montagne russe di emozioni. Vero, il dominio incontrastato del City ha praticamente chiuso i giochi per il titolo, eppure la lotta per la Champions League – tra le altre – ci tiene incollati allo schermo del televisore o di Rojadirecta per i più temerari. C’è chi, poi, dovrebbe essere inserito in questa lotta, ma sta vivendo un tracollo in pieno stile PD e non riesce a risollevarsi. Parliamo dell’Arsenal, si.
Ad onor del vero, l’annata degli uomini di Wenger non era nemmeno iniziata nel peggiore dei modi, soprattutto considerando la vittoria del Community Shield ad agosto ed il tutto sommato positivo cammino nel girone di Europa League: da lì in poi è stata un’inesorabile, continua ed inevitabile caduta verso l’oblio.
Sono proprio i Gunners i veri protagonisti in negativo di questo campionato, sembra più che legittimo chiedersi come sia possibile che una squadra dalla tale storia e blasone sia arrivata a questo punto. Abbiamo quindi provato a trovare ed analizzare le cause di questo momento no dei londinesi, rendendoci conto di trovarci di fronte ad una nave sempre più destinata ad affondare.
Condottiero disgiunto
Inutile girarci attorno: il primo e forse principale artefice di questa situazione è Arsène Wenger.
Non fraintendete questo discorso, l’alsaziano merita sicuramente rispetto per i trofei e gli obiettivi conquistati in passato nella sua pluridecennale carriera, ma l’impressione è che nelle ultime stagioni – in particolare quella in corso – la mancanza totale di idee unita a quel pizzico di arroganza che l’ha sempre contraddistinto siano state fatali per le sorti della squadra.
La prima grande colpa del manager francese è stata quella di non aver saputo come gestire le situazioni delicate, sia dal punto di vista dello spogliatoio che da quello prettamente tattico.
Ma partiamo dal mercato: l’indecisione in merito al rinnovo di Sanchéz e Ozil – con la conseguente partenza a gennaio del primo – ha rappresentato solo il primo di numerosi momenti di instabilità, causanti una confusione senza precedenti poi, per forza di cose, riversata in campo. La punta di un iceberg dissolto assieme alle capacità decisionali che hanno sempre contraddistinto il buon vecchio Arsène, come nella famosissima cessione di Henry nel 2007: fu una scelta discutibile, certo, ma almeno dimostrò convinzione nelle proprie idee puntando senza alcun dubbio giocatori più giovani e futuribili.
Wenger, ora, è un condottiero disgiunto. Totalmente scollegato dall’organico, quasi come se ci fosse un muro di Berlino a frapporsi tra lui, le sue idee, le sue certezze ormai svanite, e i giocatori: forse Mesut Ozil è tra i pochi ad accendersi con i dettami del francese, ma non bastano più le sue fiammate per ardere un fuoco già spento da fiumi di sconfitte.
La sensazione che trapela dall’esterno è chiara, e l’animo combattivo che aveva contraddistinto i cannonieri anche solo fino a qualche stagione fa sembra sepolto, come se ormai i giocatori non inseguissero più un obiettivo concreto ma giocassero quasi per inerzia.
E soprattutto manca la brillantezza psicofisica per sostenere i ritmi a cui viaggia solitamente l’Arsenal.
Provate a guardare qualsiasi partita di quest’anno e comparatela con partite disputate dai Gunners in annate più positive – senza scomodare paragoni altresì impietosi con l’Arsenal degli invincibili o quello di fine anni 90′ – noterete una compagine troppo disunita per poter puntare anche solo ad un “normale” quarto posto, decisamente doloroso per una piazza abituata a ben altro.
La gara dell’ultimo turno in casa del Brighton è assolutamente emblematica da questo punto di vista: l’ennesima prova di un fallimento sempre più grande.
Wenger ha perso il controllo dei suoi anche per quanto riguarda il mercato e l’utilizzo dei singoli giocatori, puntando troppo su un reparto offensivo già abbastanza fornito ed ignorando una difesa decisamente rivedibile in praticamente ogni uscita: Lacazette, Aubameyang e Mkhitaryan sono tutti giocatori formidabili e dall’indiscutibile talento, ma anche acquisti veramente poco funzionali alla causa. O meglio, divengono funzionali in un contesto più fluido e ben congeniato.
L’arrivo di questi nomi altisonanti ha obbligato Wenger a giocare quasi sempre con un modulo ultra offensivo, l’ultima cosa di cui aveva bisogno una delle peggiori difese di tutta la Premier, sia per singoli che per intero reparto: ecco perché l’irrefrenabile desiderio di rimpolpare il reparto offensivo non ha fatto altro che esporre i punti deboli di tutta la squadra a figuracce praticamente assicurate, sbilanciando ulteriormente l’equilibrio.
L’Arsenal paga, oltre che all’ultima, anni e anni di campagne acquisti sbagliate o poco ragionate: troppe volte si è puntato più sull’accontentare i tifosi che alla sostanza, trovandosi quindi con enormi lacune tecniche e tattiche in interi reparti.
Questa cattiva gestione dell’alsaziano ha innescato una reazione a catena che ha messo alla luce tutti i limiti di una società ben lontana dai successi del passato, rischiando anche di compromettere quanto di buono fatto nella sua esperienza pluridecennale sulla panchina londinese.
Equilibrio utopico
Che poi, l’Arsenal non gioca per niente un brutto calcio nella metà campo offensiva: la fluidità di manovra è sempre rientrata nei canoni della squadra di Wenger, e i tanti interpreti dalla tecnica sopraffina riescono a beneficiarne sfruttando le loro indubbie qualità. I Gunners sono infatti il quinto attacco della Premier con 52 reti segnate, quasi 2 a partita, ed un efficienza superiore alla media – una precisione al tiro del 54% su oltre 460 tentativi.
Ma se dai sempre la sensazione di poter subire gol, difficilmente potrai crescere.
E’ chiarissimo come per individuare i limiti della squadra bisogni guardare nelle retrovie, ad una difesa incerta ai livelli – più o meno – delle squadre invischiate nella relegation zone, giusto per intenderci. Chiariamoci, la solidità difensiva non si limita alla nomea e alla forza del singolo giocatore: in Inghilterra si lavoro poco di reparto, l’Arsenal ne è un esempio lampante.
Per capire da dove nascano queste lacune dobbiamo partire dal modulo, un 3-5-2 senza un’ossatura ben definita. Uno schieramento simile necessità di un elevato dinamismo degli interni di centrocampo, intercambiabilità di ruolo tra i giocatori ed una disponibilità al sacrificio difensivo da parte di tutta la squadra, tutte cose che questo Arsenal non ha e non sembra essere in grado di avere. Potrebbe, sulla carta, ma in questo determinato periodo storico stenta ad avere tali caratteristiche con una certa continuità.
Una difesa a tre composta per due terzi da giocatori adattati – molto spesso Monreal e Chambers – necessità di un centrocampo di maggiore copertura, con giocatori all’evenienza disposti a sostituirsi ad uno dei 3 centrali e tatticamente disciplinati, in sostanza l’esatto contrario di Xhaka, Elneny o Wilshere che rimane un talento fuori dal comune, ma troppo lontano dal fenomeno che abbiamo ammirato a cavallo tra il 2010 ed il 2012.
Fermo restando che quest’Arsenal ha tremendamente bisogno dell’eclettismo calcistico di Aaron Ramsey.
Abbiamo trovato qualcosa che forse pesa più di Akinfewa, ed è proprio l’assenza del gallese nell’ultimo periodo.
Pesa anche la disarmante frequenza di errori tecnico-tattici che coinvolge tutti i reparti, difesa e centrocampo. Potremmo prendere molti episodi come esempio di questa situazione: almeno una volta a partita la squadra avversaria riesce a creare occasioni importanti con un semplice lancio lungo, oppure approfitta dei chilometri di spazio tra le linee dei Gunners trovandosi libera di correre in campo aperto.
Le due partite, ma soprattutto i goal subiti, giocate la scorsa settimana contro il City riassumono al meglio quanto detto in precedenza, manca la concezione delle spaziature difensive, nessuno ha la minima idea di cosa fare o come agire sotto pressione.
La rete di Aguero ne è l’esempio perfetto: provate a seguire Mustafi e i suoi compagni di reparto e chiedetevi se quella può essere considerata una difesa da top team. Grave errore di posizionamento del tedesco, troppo avanzato.
Anche i numeri supportano la tesi di una difesa non sufficiente.
L’Arsenal subisce più di 10 tiri a partita, concede ben più di 1 goal a gara ma soprattutto ha commesso da inizio campionato 13 errori che han portato direttamente ad una rete avversaria, più di qualsiasi altra squadra di Premier.
Beh, almeno è una squadra che va controcorrente, direte: tutte le big, bene o male, cercano di limare le proprie lacune difensive. Il City è riuscito a diventare ingiocabile grazie ad un sistema difensivo totalmente perfezionato, United e Liverpool non sono garanzie ma hanno avuto un miglioramento tangibile ed il Tottenham ha trovato in Alderweireld un leader difensivo oltre che un equilibratore perfetto; solo l’Arsenal non ha saputo evolversi nella stessa direzione delle rivali ed il posizionamento in classifica ne è la naturale conseguenza.
Un notevole passo indietro, una dimostrazione lampante di un progetto tecnico non idoneo alla Champions League: nessuno nella squadra londinese, dai giocatori alla dirigenza, sembra avere idea sulla destinazione della squadra che pare sempre più messa in campo perché obbligata.
L’Arsenal sembra quindi destinato ad una stagione senza gioie e ad un altro piazzamento fuori dalle top 4 – il secondo consecutivo – ma anche una crisi del genere può avere delle soluzioni.
Si, ma quali?
Deve chiederselo prima di tutto Wenger: il momento di lasciare la panchina è forse già passato e siamo certi che rimarrà sino al termine della stagione: non gli resta che combattere per una causa che ha sposato dal 1° ottobre 1996, e che sposa ancora nonostante gli ostacoli.
Si, effettivamente lo abbiamo messo alla gogna. Ma non dimentichiamoci che l’Arsenal, un allenatore così longevo e vincente, non l’ha mai avuto. Semplicemente è giunto il suo tempo.
Naturalmente, in queste condizioni, i Gunners non possono progredire in maniera decisiva, l’alsaziano non ha più i mezzi e le idee per portare qualcosa di buono al club che rischia di rimanere impantanato nella mediocrità a lungo. Ma soprattutto sembra aver perso la credibilità per poter veicolare alla squadra la propria idea di gioco.
Non resta che incentrare tutte le energie nervose sull’Europa League, per tentare un insperato accesso alla prossima Champions: forse ha trovato l’avversario peggiore. Milan e Arsenal sono due poli completamente differenti, diametralmente opposti, ma geneticamente predisposti a sfide prestigiose. Si, vogliamo credere che la componente genetica, quel rinomato DNA, possa incidere sull’andamento della sfida: per non dimenticare la qualità dei Gunners, quella abbonda. Abbondano anche i problemi, troppi, per un Wenger ormai abbandonato al suo destino. E Wenger Out non pare più un semplice slogan di protesta destinato a morire in poche ore, no, è un’esortazione, un consiglio, una scelta da seguire.
Perché, ora, Wenger e l’Arsenal hanno perso la chimica. E in un sodalizio storico come questo, se non hai la chimica, non trovi più la soluzione.