Chi visita per la prima volta Amburgo rimane affascinato dai suoi numerosi canali, dal Rathaus, l’imponente municipio cittadino, dal lago Alster, dal porto, il secondo più grande d’Europa, e dall’odore di pesce che dalle banchine del mercato si diffonde in tutta la città. Chi è appassionato di calcio però è anche affascinato dal Volksparkstadion, la casa dell’Amburgo calcistica. Leggendaria è infatti la rivalità cittadina tra l’HSV, la squadra storica della città, e il Sankt Pauli, la squadra dell’omonimo quartiere a luci rosse che per secoli ha attratto marinai da tutto il mondo.
Il Volksparkstadion sorge imponente a poche fermate di metro dal centro e con i suoi 57 mila posti è uno degli stadi più grandi in Germania. Nel 2006, ha ospitato alcune gare dei Mondiali tra cui anche Repubblica Ceca-Italia. Il fulcro dell’impianto è la Stadionuhr, l’orologio dello stadio che conta il tempo di permanenza in Bundesliga dell’HSV, unica squadra mai retrocessa in 2.Bundesliga. Nell’Amburgo calcistica si dice “se non sai l’ora guarda la Stadionuhr”, che ormai da anni batte ininterrotta a ricordare a tutti i tifosi i fasti di una gloria calcistica ormai passata.
Sì, perché l’Amburgo è una delle squadre storiche in Germania e ha avuto un passato da grande. Da queste parti sono passati Horst Hrubesch, Thomas Doll, Ruud van Nistelrooy, Rafael van der Vaart, Vincent Kompany, Kevin Keegan, Nigel de Jong, il Kaiser Franz Beckenbauer, il cannoniere tedesco Uwe Seeler. Proprio a Uwe Seeler, bandiera del club e idolo dei tifosi, è dedicata la statua all’ingresso del Volksparkstadion. 6 campionati, 3 Coppe di Germania, 2 Coppe di Lega, una Coppa delle Coppe e poi lei, quella Champions League che gli juventini ricordano ancora perché fu quel Felix Magath, poi allenatore del Bayern, a decidere la finale 1982/83, regalando all’HSV il suo momento di gloria più grande di sempre. I tifosi quella notte la ricordano ancora come fosse ieri. Loro, i 57.000 del Volksparkstadion, ci sono sempre stati e ci sono ancora.
Quella che invece non c’è più è la gloria di un tempo. L’ultimo sussulto risale infatti al 2009/2010, semifinale di Europa League persa 2-1 a Craven Cottage, casa del Fulham, dopo uno 0-0 in casa. Da quel momento un deludente ottavo posto nella stagione 2010/2011 e poi un declino esponenziale che ha portato la squadra a lottare per la salvezza nelle ultime stagioni. L’Amburgo di oggi è un club che nemmeno lontanamente ricorda la squadra che lottò per vari anni ai massimi livelli del calcio europeo.
L’allenatore è Bruno Labbadia, ex tecnico del Bayer Leverkusen che ha rilevato i Rothosen nell’aprile del 2015. La formazione tipica è un 4-2-3-1 classico con René Adler in porta, portiere di sicuro affidamento un tempo nel giro della nazionale tedesca. In difesa al centro Emir Spahić, ex Bayer Leverkusen, e Johan Djourou, capitano e nazionale svizzero. Ai lati giocano invece Dennis Diekmeier e il giapponese Gotoku Sakai, con il primo più difensivo tatticamente e il secondo che ha il compito di spingere sulla fascia sinistra. Il duo di centrocampo è formato da Lewis Holtby, ex talento scuola Schalke 04, e quell’Albin Ekdal inseguito da mezza Serie A e che ha invece deciso di andare a giocare nella città anseatica. Sulla trequarti troviamo, poi, il trio formato da Nicolai Müller, ala con il vizio del gol, l’ex Bayern Ivica Olić e il croato Ivo Iličević a supportare l’unica punta Drmić, passato solo un anno fa al Borussia Mönchengladbach per ben 10 milioni di euro.
Sebbene le individualità non siano certo da bassa Bundesliga, l’Amburgo latita spesso di coralità. La manovra è spesso sfilacciata e i reparti distanti, i giocatori sembrano sovente nervosi e poco creativi e privi di quella carica agonistica indispensabile specie nella lotta salvezza che porta squadre come il ben più piccolo Hoffenheim a fare di Amburgo terra di conquista.
Se l’Amburgo in campo non se la passa bene fuori dal rettangolo di gioco la situazione è persino peggiore. I milioni di debiti ormai sono diventati 90, a fronte di un capitale di solo 22,5 milioni. Per salvarsi l’Amburgo richiede ogni anno prestiti su prestiti ed è di pochi giorni fa la notizia che la società abbia deciso di vendere altri 40 milioni in azioni con il 4,5% di rendita per finanziare i 25 milioni ancora da pagare per lo stadio e i 15 milioni per ripagare un altro prestito. In poche parole il financial board ha deciso di chiedere un prestito per ripagarne un altro e l’ha chiesto ai suoi tifosi.
Come se non bastasse una squadra che ormai non genera più introiti da competizioni europee, a ciò si aggiunge uno dei monte ingaggi più alti di tutta la Bundesliga. L’Amburgo è infatti sesto in questa speciale classifica con 46 milioni nel 2014/15, poco dietro a Borussia Dortmund e Bayer Leverkusen che, però, arrivano ogni anno in Champions League o disputano un’Europa League da protagoniste. Il Friburgo e il Paderborn, le due squadre sotto l’Amburgo nel 2014/15, si fermavano rispettivamente a 19 e 15 milioni. E cosa dire di giocatori come Lasogga, 4 milioni all’anno per appena 6 gol in questa stagione, o dell’ultimo van der Vaart, l’anno scorso ad Amburgo per 3,5 milioni a stagione e ora appena 7 presenze al Betis Siviglia in Liga. Gli ingaggi dell’Amburgo sono rimasti quelli di una volta, i risultati purtroppo no.
Dalle parti del Volksparkstadion c’è tanto da lavorare sia in campo che fuori per cercare di tornare a quell’equilibrio che un tempo garantiva introiti e successi.
Amburgo: un grande porto, una grande città e chissà, magari prima o poi di nuovo anche grande calcio.
Per ora di grande c’è soltanto il rammarico.