Álvaro Negredo: fame di gloria

“Un attaccante senza fame è come un pub senza birra”

Vi immaginereste mai un pub senza birra? Difficile. Sarebbe oltraggioso chiamarlo “pub”: la birra è il collante che lega e soprattutto vivacizza un ambiente gioviale, unico. Persone sconosciute possono ritrovarsi abbracciate ad esultare per un gol, oppure consolarsi a vicenda per una partita persa. Insomma, non c’è pub senza birra.

Così come, d’altronde, non c’è attaccante senza fame. Fame di gol, gloria personale, di quella scarica di adrenalina che solo un tocco depositato in rete può recare: chi è mai sazio. L’attaccante deve sempre aver fame, ma vi sono momenti in cui lo stomaco si ribella alla sua voracità: ambiente ostile, infortuni, gerarchie, sono tutti potenziali elementi che potrebbero togliere l’appetito. Essere attaccante diventa, così, una sfida logorante con i propri dubbi, insicurezze, ma anche gioie, emozioni: essere attaccante significa cercare la fame anche quando tutto il corpo si rifiuta. Andare oltre, cercarsi il cibo anche quando le condizioni divengono ostili.

Prendete esempio da Álvaro Negredo. Lo Squalo più temuto in Spagna ha cacciato in diversi territori: da Almeria a Sevilla, spostandosi a Manchester e Valencia. Negredo ha saputo coltivare il suo appetito realizzativo, anche quando la ruota non girava: terminare la stagione in doppia cifra era un obiettivo prestabilito dal suo orologio biologico, dal suo animo, consapevole che il suo regime di terrore stava attecchendo le difese spagnole.

“Attenti, arriva lo Squalo!”

Immaginiamo che in Liga fosse una frase gettonata. La sola presenza di Álvaro incuteva timore: come gli squali, studiava il territorio e si aggirava nell’attesa della zannata decisiva. E quella zannata faceva male, male al portiere che spesso non poté contrastare la sua voracità ed evitare che il pallone entrasse comodamente in contatto con l’interno della rete.

Le sue capacità finalizzative sono ben note al grande pubblico: ad Almeria 31 gol in 2 anni, a Sevilla 70 in 4 anni. Medie spaventose, impressionanti e soprattutto celebrative di un’attaccante meno decantato dai media spagnoli, ma ugualmente decisivo.

Ma cos’ha di particolare lo Squalo? Proviamo ad analizzare il suo stile, la sua tecnica di attacco.

1. STUDIARE L’AVVERSARIO

Studiare, studiare e studiare. Álvaro scruta attentamente ogni movimento avversario, per poi colpirlo nel suo punto debole: lo faranno tutti, direte. Eppure lui spicca tra i migliori marcatori nella Liga, confermando la sua rapacità.

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“Segna ogni tanto eh…” [All credits to FourFourTwo]
Negredo non è il classico giocatore incollato all’area di rigore: no, non è così. Nonostante la sua bravura in quello spicchio di terreno sia encomiabile, lo spagnolo partecipa alla manovra per dare profondità e spesso si presenta fuori dall’area: qui, in Siviglia-Valencia, lo vediamo effettuare diversi passaggi e azioni al limite dell’area e a ridosso della meta campo. Che poi faccia paura davanti al portiere, beh, è un altro discorso.

2. INTIMORIRE IL PORTIERE

Dopo la teoria viene la pratica. Una volta studiata la situazione, Negredo non sferra subito il colpo. Prima di effettuarlo, punta a scatenare una bufera emotiva, psicologica, di timore: il portiere è solo l’ennesima vittima della sua fame di gloria.

Ed ecco che Álvaro fulmina con lo sguardo la sua preda, facendogli capire che l’attacco sarà inevitabile, letale, decisivo: il calcio di rigore è la massima espressione di quest’egemonia. Dagli undici metri lo squalo può dilaniare mentalmente l’avversario, sferrando poi il colpo vincente.

"Sei uno dei portieri più promettenti al mondo?Beh, io sono lo Squalo Negredo…"
“Sei uno dei portieri più promettenti al mondo?Beh, io sono lo Squalo Negredo…”

Ed ecco la terza fase: l’azzannata vincente.

3. ATTACCARE

Attaccare la preda. Il periodo d’osservazione è terminato e non resta che sfoderare l’attacco. E con quel sinistro così potente e preciso ha potuto saziare la sua indicibile fame di gol: un appetito genuino, che non destabilizza la linea e appaga l’animo, che non conosce sazietà finché non arriva l’esultanza in seguito al gol. Negredo e il gol divengono così due collanti solidissimi, una specie di matrimonio in cui l’accordo prematrimoniale prevedeva che la sfera entrasse almeno 10 volte in porta, in modo che Negredo potesse agguantare la doppia cifra e un equilibrio interiore decisivo ai fini della sua continuità.

Parola d'ordine? Attaccare!
Parola d’ordine? Attaccare!

Lo squalo vive nei mari spagnoli con assoluta scioltezza, comanda in maniera tirannica e dittatoriale le aree di rigore: giusto difensori dello spessore di Sergio Ramos potevano resistere ai suoi perforanti attacchi, per intenderci.

Poi il calo: l’Oltremanica lo destabilizza.

Forse il clima ostico e nordico ha ostacolato e frenato il suo appetito: Negredo segna appena 9 gol in campionato, meno di quanto ci aspettava. Un ambiente diverso, più competitivo e complicato rispetto al campionato spagnolo, che mette in luce pregi e difetti di Álvaro: alla fine, grazie alle svariate competizioni nazionali ed internazionali, arriverà a 23 gol.

Sembra non bastare a far riemergere quell’appetito insaziabile e genuino che contraddistinse Negredo: neppure il rientro in Spagna, al Valencia, gioverà.

Lo squalo intraprende allora una nuova sfida: torna in Inghilterra. Il Valencia lo gira in prestito secco al Middlesbrough, neopromosso e stracolmo d’ambizione, alla ricerca di un bomber da doppia cifra.
È la sua occasione di rinascita, di ritrovare quella fame di gol, ma soprattutto di gloria: un attaccante ha sempre bisogno di gloria.

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