Pensateci un attimo; Paco Alcacer era arrivato a Dortmund giusto per dare a Lucien Favre un attaccante in più. Fa sorridere, adesso.
No, non stiamo esagerando. Il tecnico del BVB aveva più volte espresso la sua idea di calcio basata su una squadra giovane, dinamica e senza punti di riferimento; una difesa tradizionale a 4, due mediani di impostazione e quattro punte largamente interscambiabili, capaci di fare la differenza in qualsiasi zona del campo: Goetze, Reus, Sancho e Larsen (o Pulisic).
Quindi Paco Alcacer, numero 9 in arrivo dal Barcelona, sembrava solo un rincalzo, e per giunta poco adattabile a uno stile di gioco del genere. A maggior ragione perché arrivava da due anni di scarso utilizzo, se vogliamo usare un eufemismo: chiuso da Messi, Suarez, Dembélé e chi più ne ha più ne metta, il giovane valenciano si è dovuto accontentare di scampoli di partita (50 presenze in due anni, di cui i quattro quinti partendo dalla panchina) mettendo a segno comunque un buon bottino (15 reti e 4 assist). Eppure, da quando veste la maglia dei ragazzini gialli di Dortmund, allo spagnolo sono bastati otto turni di campionato (e un numero ridicolmente basso di minuti giocati) per convincere tutti della sua straordinaria letalità.

Alcacer viene da lontano
Con la maglia del BVB Paco Alcacer ha segnato 6 gol in appena 81 minuti di gioco, subentrando sempre dalla panchina. Come se non bastasse, è andato a segno negli ultimi dieci tiri (tra club e nazionale) inserendo tra le sue vittime anche il Bayern Monaco di Niko Kovac, capitolato nell’ultimo turno di Bundesliga proprio al Signal Iduna Park per 3-2. Favre ha scoperto in Alcacer un’arma letale, l’attaccante che qualsiasi allenatore vorrebbe: un grande professionista che, pur partendo dalla partita, impatta in maniera determinante modificando l’inerzia del gioco.
Ma questo Paco Alcacer viene da lontano, perché l’abilità di essere sempre letale in uno spazio di tempo ridottissimo se la porta dietro da tutta la carriera. Nato come attaccante nella seconda squadra del Valencia (terza divisione), si è guadagnato visibilità a suon di gol e prestazioni. Promosso in prima squadra, ha cominciato ad essere utilizzato come subentrante e questa caratteristica non se l’è più scrollata di dosso, nelle sue successive esperienze. Tanto al Getafe quanto al Barcelona, tutti si erano convinti che Alcacer fosse più utile a partita in corso che non dall’inizio. Uno dei rari giocatori che gioca meglio partendo dalla panchina.
Alcacer ha venticinque anni ma alla fine dei conti ha giocato una sola stagione da titolare: quella del 2015/16, col Valencia, collezionando 15 gol e 8 assist in 46 partite. Una stagione sopra la media, che ha convinto il Barcelona ad acquistarlo per trenta milioni di euro.
Questo video, significativamente intitolato “Useful”, mostra chiaramente perché Alcacer non potesse effettivamente sfondare al Barcelona. Le sue indubbie qualità tecniche erano al servizio di giocatori più tecnici di lui – soprattutto Suarez – e inoltre gli si richiedevano compiti difensivi da ala. Tutte cose che portano via energie determinanti per un attaccante.
Uno spagnolo atipico
Alcacer è una punta poco tradizionale persino se interpretiamo il ruolo alla spagnola. Alto 1,75 m, è una specie di falso nueve un po’ più alto dei veri falsi nueves, o, se giriamo la frittata, un nove tradizionale un po’ più piccolo e molto dinamico. Ma il suo vero tratto originale è la mentalità poco spagnola quando si tratta di entrare in campo. Raramente si vedono giocatori iberici che sfruttano appieno gli scampoli di partita di un subentrante, pochi, come Borja Valero, ne fanno addirittura una professione.
Lui, però, sin dai 17 anni ha dovuto convivere con questa condizione esistenziale e l’ha trasformata in un’arma a suo vantaggio. Abbandonando l’estro saturnino tipico degli spagnoli, ha abbracciato un pragmatismo continentale che, guarda caso, ha trovato i suoi frutti migliori in Germania.
E questo suo impatto stratosferico con la Bundesliga è frutto, ovviamente, anche della visione del calcio a Dortmund. Molto spesso Alcacer gioca gli ultimi venti minuti, quando le marcature sono allentate e le possibilità di segnare aumentano vertiginosamente. Inoltre è affiancato da attaccanti che parlano la sua stessa lingua in termini di qualità (Reus e Goetze) e soprattutto ha scoperto in Sancho un nuovo partner in crime: un giovane (classe 2000) capace di sfornare assist a ripetizione scardinando i fianchi della difesa avversaria.

Il cambio d’oro
L’ultimo turno di Bundesliga ha contrapposto il Borussia Dortmund e il Bayern Monaco, rivelandosi un punto di non ritorno nel campionato tedesco. Dopo una buona mezz’ora di dominio, i bavaresi sono passati in vantaggio con un gran gol di Robert Lewandowski, estendendo il controllo della partita a tutta la prima frazione di gioco.
Le carte in regola sono cambiate con il calcio di rigore trasformato da Reus, uno dei più ispirati della partita; a quel punto le squadre si sono aperte diventando incredibilmente pericolose. Ma il turning point lo ha rappresentato la sostituzione di Favre: al 61′ dentro Alcacer, e fuori un impalpabile Gotze, sempre in sofferenza in mezzo alla marcatura bavarese.
A quel punto, il cambio d’inerzia è stato evidente. Alcacer ha cominciato a giocare al centro liberando spazio per Reus, che è diventato immarcabile. Si è divorato il pareggio appena entrato in campo, dopo una progressione poderosa di Sancho sulla destra; poi ha schiacciato la linea difensiva del Bayern dentro l’area permettendo a Reus di realizzare lo spettacolare 2-2.
La fine, ovviamente, la conosciamo tutti. Alcacer diventa un cecchino nell’ultimo quarto d’ora e su un pallone disperato di Witsel ha preso in contro-tempo tutta la difesa del Bayern, realizzando con un tocco sotto il gol del sorpasso decisivo. Ora i bavaresi sono terzi a -7 dalla vetta e per Kovac si fa sempre più dura.
Ovviamente, il premio “gol della giornata” va al raddoppio di Reus, di pregevolissima fattura tecnica.
Ritrovarsi in Germania
Alcacer sta raccogliendo i frutti di anni di sacrificio. Al Barcelona continuavano a credere in lui, ma allo stesso tempo ogni sessione di mercato infoltiva il reparto offensivo in maniera terribile. Con gli arrivi di Malcom e Vidal, gli spot si erano ridotti ulteriormente e così, alla prima occasione, dalla Spagna lo hanno scaricato in prestito a una squadra – il BVB – alla disperata ricerca di una punta dinamica come Michy Batshuay, girato dal Chelsea al Valencia.

Lucien Favre ha capito che il gioco del Borussia poteva aver bisogno, in determinate fasi della partita, di un finalizzatore puro, da piazzare davanti ai giocatori di fantasia che affollano il reparto offensivo. Perché Goetze e Reus, per quanto siano tecnicamente tra i migliori al mondo, non hanno mai avuto il rendimento continuo di una prima punta e il Borussia rischiava di vanificare un gioco molto verticale con un’assenza di realizzazioni. Assenza che è stata colmata da Alcacer, buttato nella mischia proprio quando ce n’era bisogno: quasi sempre in situazioni disperate, e molto spesso nelle fasi d’assedio di una partita, quando l’originalità di un 9 atipico come il valenciano ha fatto sempre la differenza.
Ora, però, rimane la domanda che tutti ci poniamo. Premesso che Alcacer non potrà tenere questi numeri disumani (in campionato la media è di 1 gol ogni 29 minuti), resta da chiedersi se lo spagnolo sarà in grado di mantenere questo grado di inerzia nell’arco di un’intera partita. Nelle tre partite giocate da titolare ha segnato soltanto un gol, peraltro non determinante, nella morbida vittoria contro il Monaco in Champions League.
La rivincita
La sua prima stagione al Borussia Dortmund potrebbe essere anche la sua migliore da professionista. Le premesse ci sono tutte: una squadra che viaggia a ritmi spaventosi, una piazza prestigiosa e che sogna in grande, e un reparto offensivo che funziona a meraviglia oliando gli ingranaggi con grande qualità.
Alcacer sta dimostrando ai molti detrattori (e sono aumentati, dopo la fallimentare esperienza con la Spagna al mondiale di Russia) che la sua originalità (posizionale, tecnica e mentale) può fare la differenza, specialmente in campionati lontani dalla Spagna. Forse il Barcelona non era la sua dimensione; subentrare quando le partite sono già in cassaforte è poco motivante per tutti, figurarsi per uno che sugli spezzoni ci ha costruito la carriera. In Germania, invece, la musica è cambiata; il Dortmund dovrà lottare su ogni pallone per strappare lo scettro al Bayern, e un uomo come Alcacer ha l’esperienza – e il cinismo – giusti per essere sempre utile al momento più opportuno.
Resta da evidenziare l’umiltà con la quale Alcacer ha accettato il secondo prestito nel giro di quattro anni. Un prestito che, questa volta, sapeva di bocciatura irrimediabile. Non come quando il Valencia lo mandò a Getafe a farsi le ossa; quest’anno il Barcelona, che aveva investito su di lui 30 milioni, si era convinto di averli piazzati male e voleva evitare che il giocatore si svalutasse troppo in panchina. In Germania, Alcacer ha dimostrato di avere un fiuto per il gol che pochi in Europa possono vantare e chissà che, nell’arco di questa stagione, non possa persino arrivare a far capire che in fin dei conti il Barcelona se lo meritava. Magari, con una Bundesliga sulle spalle.