Che si fa adesso?

“Chi l’avrebbe mai previsto?” sussurravano dal Meazza il 3 dicembre 2017, quando l’Inter superava il Chievo Verona per 5 a 0 e si piazzava un po’ timidamente in cima alla classifica. Il progetto spallettiano di un’Inter coraggiosa e degna di “destini forti” sembrava stesse assumendo una sempre più precisa fisionomia: nelle prerogative dei suoi singoli, Icardi, Perisic, Skriniar, Vecino, nella compattezza della squadra, nella sua fisicità. Fino al 3 dicembre, l’Inter fu la squadra che non perdeva una gara da inizio luglio, dalla prima amichevole di pre-stagione, che continuava a macinare vittorie, che capiva come farlo, che aveva la pazienza e la certezza di affermare, fra sé e sé, che prima o poi, anche nelle gare più ostiche, un gol sarebbe arrivato. E così effettivamente fu. Almeno fino a quella quindicesima giornata di campionato che vide l’Inter conquistare altri tre punti davanti ai suoi tifosi, la settimana prima del derby in casa della Juventus.

E chi l’avrebbe mai detto, pertanto, due mesi dopo, che da allora la squadra nerazzurra non avrebbe mai più rivisto i 3 punti. Che nelle funeste otto giornate seguenti l’Inter di Spalletti avrebbe dimostrato di non essere tanto diversa dall’Inter di Mancini, o da quella di Pioli, di Stramaccioni, o di Mazzarri. Così, dopo otto giornate senza vittorie, fra prestazioni al limite della decenza ed una società a cui gran parte della tifoseria comincia a storcere il naso, l’ambiente nerazzurro è costretto a chiedersi cos’è andato storto, stavolta.

La presa di coscienza

Ad inizio stagione, pochi giorni dopo la prima giornata di Serie A e le ottime prestazioni maturate ad agosto in amichevoli di prestigio, dell’Inter di Spalletti si osservavano alcuni innovativi e fondamentali cambiamenti, o quantomeno alcuni interessanti propositi, da noi discussi sulle tematiche della dinamicità e della spinta. Seppur basato sul tradizionale 4-2-3-1, infatti, il sistema di gioco intendeva mostrare evidenti margini di miglioramento apportati sia nella costruzione della manovra d’attacco, adesso fluidificata dai movimenti ad ampio raggio dei terzini, sia nell’attenzione rivolta alla copertura, garantita soprattutto dall’ottimo acquisto di Milan Skriniar.

Inter, Skriniar migliore acquisto dell'Inter di Spalletti| Numerosette.eu

Col passare dei mesi, però, le previsioni tattiche di luglio e agosto sono state accantonate dove potessero destare meno l’attenzione dei tanti che, anche di fronte alle continue vittorie nerazzurre, notavano diverse sintomatiche difficoltà nell’impostazione di manovra, perennemente orfana di una definita identità di gioco in grado di dimostrare anche dei lumi di buon calcio. Certo, non bisognava dimostrare un calcio pari a quello del Napoli di Sarri o della superba concretezza juventina, ma i punti dell’Inter erano gli stessi delle favorite allo scudetto, e questo bastava. Le lacune però non tardano a svelarsi. Ed anzi eccole lì, meschine, manifestarsi prepotentemente dal primo momento in cui la squadra di Spalletti viene messa faccia al muro. Dall’incredula gara contro il Pordenone, alla prima sconfitta contro l’Udinese, per concludere con la mancata reazione contro il Sassuolo, l’Inter prende coscienza della propria realtà decostruendo ciò che di buono aveva mostrato negli ultimi mesi. E ad oggi, non sembra essere rimasto altro che un’invalidante disillusione.

Inter, delusione di Icardi dopo la sconfitta contro il Sassuolo | Numerosette.eu

Staticità e lentezza

Il sistema di gioco spallettiano, che avrebbe previsto i tagli di una delle due ali verso il centro, garantendo così il dialogo con la punta, è andato ad insabbiarsi in un’inconcludente staticità basata sui tentativi di cross da parte degli esterni. Nient’altro. Nessun inserimento tra le linee dei centrocampisti, Borja Valero prima rivolto verso l’attacco ed in seguito, con la pretesa di dettare i tempi di gioco ad una squadra che evidentemente li sconosce, posto nuovamente in cabina di regia. Nessun taglio da parte di Perisic che appare già stanco, nuovamente prevedibile, spesso inesistente, simbolo della decadenza che ha investito i nerazzurri. E i terzini da elemento essenziale per gli esiti della manovra d’attacco, sono stati ingurgitati dal caos dei ballottaggi.

Partiamo dunque dal centrocampo. Borja Valero, Vecino, Gagliardini, Brozovic e Joao Mario erano i nomi su cui Spalletti doveva necessariamente puntare. Il modulo resta lo stesso instaurato ormai dal 2014 con Mancini, ma, vista l’assenza di un trequartista puro, il nuovo tecnico toscano tenta di farne a meno puntando sulle caratteristiche dei due acquisti prelevati dalla Fiorentina nel corso dell’estate. A volte è Vecino il protagonista degli inserimenti in area di rigore, come dimostra il gol realizzato alla seconda giornata contro la Roma, a volte Borja Valero. Gli altri tre sopra citati, invece, continuano a non convincere. Joao Mario, inoltre, va sempre peggio: da nuovo trequartista “alla Nainngolan”, numero 10 dell’Inter 2.0, a mezz’ala inconcludente, distratta, il più delle volte impacciata e priva di idee, spedito a Londra già a gennaio.

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Tralasciando le individualità, in quanto è difficile esprimere un giudizio concreto su due giocatori evanescenti come Gagliardini e Brozovic, Spalletti e tutta l’Inter hanno progressivamente dimenticato le benevoli idee della scorsa estate. Ad agosto si parlava infatti di un centrocampo rivolto non più alle due ali, quanto il contrario: dovevano essere i due esterni alti a costituire il punto nevralgico che legava la mediana all’attacco. Candreva avrebbe dovuto dimenticare la sua ossessiva ricerca del pallone nella zona laterale del campo, ma anzi riceverla sulla trequarti, garantendo così gli inserimenti di uno dei due mediani, Vecino in primis, e la sovrapposizione dei terzini. Basterebbe invece rievocare la nauseabonda gestione del possesso palla nella gara di ritorno contro la Spal per accertarci che non si sia realizzato nulla di ciò. Ai centrocampisti è infatti sì richiesto il loro supporto già dalla prima impostazione sulla mediana, ma per darla a chi? Basterebbe stavolta notare come sempre più spesso Borja Valero si sia ritrovato lì da solo ad attendere il taglio di qualcuno e, in assenza di questi, venga quasi costretto a lanciarla, in quanto definirle verticalizzazioni sarebbe un affronto, ai tre d’attacco che attendono passivamente nel loro ristretto campo d’azione un pallone che, chiaramente, il più delle volte viene o anticipato, o vanificato dalla mancanza di uno sviluppo concreto della manovra.

Inter, pessima gestione del pallone contro la Spal |Numerosette.eu

Esemplare anche il match di ritorno contro la Roma. Durante i venti minuti finali i nerazzurri riuscirono a reagire al pressing degli avversari che li aveva costretti per tutta la gara a ricapitolare verso dietro. Esce Candreva ed entra Eder, garantendo persino una risoluzione all’annoso problema della staticità di gioco di una squadra che ormai sconosce l’idea di affiancare due punte nello stesso momento. Dopo pochi minuti dal suo ingresso, proprio l’italo-brasiliano viene servito in area di rigore da un ottimo lancio di Miranda. Niente meno che Miranda, l’uomo più arretrato degli undici in campo. Certamente, è normale ed anzi ben accetto che anche un centrale di difesa sia in grado di impostare l’azione, o, in tal caso, di lanciare magistralmente un attaccante sotto porta. Il problema dell’Inter è che quell’episodio evidenzia un altro importante aspetto che, nel corso delle giornate, è sempre più emerso: a dettare i tempi di gioco, ad impostare l’azione, non sono più i due centrali di centrocampo, ma i due centrali di difesa. Quante volte, nell’assoluta atarassia del centrocampo nerazzurro, abbiamo potuto notare Skriniar assumersi il compito di regista della squadra, in grado di accelerare i movimenti dei suoi compagni, o persino di introdursi in area di rigore di fronte alla pachidermica ed asfissiante attesa del pallone degli attaccanti interisti. Anche in tal caso, non è errato che sia il centrale a presentare tali caratteristiche, quanto che sia stato spesso l’unico a mostrarle. Un po’ come quando Prandelli chiese disperatamente a Chiellini di piazzarsi in attacco come un deus ex-machina per quell’Italia-Uruguay del mondiale brasiliano.

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Siamo solo noi

Come la canzone del nerazzurro Vasco Rossi, la rosa dell’Inter può contare sì e no di 15 nomi impiegati da Spalletti. Il tecnico toscano ha persino tentato di allargarla grazie alla sua abile capacita di rivalorizzazione di quei calciatori ormai rassegnati al dimenticatoio o alla consapevolezza di un loro fallimento in ottica Inter. Basti pensare al ritorno da titolare di Davide Santon, alla fiducia rivolta a Ranocchia nel momento del bisogno, all’utilizzo di Nagatomo per le prime partite di stagione. Miracoli spallettiani a parte, la realtà dei fatti dimostra che il tecnico è stato a tutti gli effetti costretto a puntare sulla resurrezione di questi in quanto la rosa dell’Inter non è stata ultimata nella sua ampiezza. È da non credere, ad esempio, che Icardi non abbia un suo reale comprimario. Eder resta certamente il primo sostituto, ma presenta caratteristiche essenzialmente diverse rispetto al numero 9 argentino: non è un attaccante d’area di rigore, non è adatto ai numerosissimi cross alti che la squadra continua ad effettuare nella speranza di trovare proprio la testa di Maurito. Non a caso, contro il Crotone abbiamo visto una punta centrale più “mobile”, ma al contempo meno presente in area di rigore al momento del consueto traversone. E se l’Inter vive prevalentemente attorno a questo sistema di gioco, sarebbe stata essenziale la compresenza di un effettivo vice-Icardi.

Inter e la mancanza di un vero vice-Icardi | Numerosette.eu

Inoltre, l’elemento vacante e ricercato da ormai due sessioni di mercato: il trequartista. Dai sogni sotto l’ombrellone di un Nainngolan in nerazzurro all’esplicita richiesta di acquisto da parte di Javier Pastore, l’Inter, in un modulo che prevede un giocatore in grado di saper svolgere realmente quel ruolo, non possiede ancora un trequartista. Lì, Spalletti ha provato praticamente tutti i suoi centrocampisti, ma niente, nessuna soluzione definitiva. Non è un caso, infatti, che proprio dalla partita contro il Crotone il modulo sia mutato in un 4-3-3, sebbene ancora l’esito resti per lo più insufficiente. Il mercato di gennaio, quantomeno, ha messo una toppa alla difesa con l’acquisto di un secondo centrale, ma quel che appare dall’esterno è che l’acquisto di Lisandro Lopez resti soltanto l’ennesima raffazzonata cucitura posta lì per necessità. È questo il reale progetto per il ritorno dell’Inter nell’Europa che conta?

L'Inter e il mancato arrivo di Pastore
Javier Pastore, ennesimo rimpianto del mercato nerazzurro

Giovani e vincenti

Si tratta dell’annoso dibattito sul perché non viene mai impiegato nessun ragazzo della Primavera, sebbene questa dimostri da anni di rientrare fra le migliori d’Italia, se non d’Europa. La giovane squadra gestita da Vecchi ha conquistato Scudetto e Supercoppa Italiana durante l’ultima stagione e soprattutto presenta una serie di nomi estremamente interessanti e, viste le necessità, utili per rimpinguare i buchi della prima squadra. In attacco promettono bene il sudamericano Facundo Colidio, autore della doppietta vincentre contro la Roma valida per Supercoppa ottenuta circa un mese fa, e il danese classe ’99 Odgaard. È doveroso menzionare altri giovani di prospettiva come Zaniolo, Emmers, Valietti, Rover, Lombardoni, che come tanti altri scalpiterebbero per rientrare fra i nomi della prima squadra. Inoltre, giusto per non dimenticare, a vestire la maglia nerazzurra dei “grandi” ci sarebbe già un Primavera, quale Andrea Pinamonti, pressoché ignorato dall’allenatore toscano.

Inter, Colidio vice-Icardi?
Colidio, autore della doppietta contro la Roma valida per la vittoria della Supercoppa Primavera

Caos terzini

“Gioca Yuto, anzi no, ecco Santon; dietrofont di Spalletti: titolare il giapponese, ma ancora in ballottaggio con Dalbert. A destra Cancelo o D’Ambrosio”.

Un motivetto incessante, un costante supplizio che, comunque, nei momenti di maggiore tranquillità venne chiaramente motivato dalle intenzioni del tecnico nerazzurro di provare più uomini per lo stesso ruolo. Scelta accettabile, certo, fino a metà novembre. A febbraio, con un’astinenza di vittorie che ormai perdura da 8 giornate, sarebbe il caso che ci si decidesse su quale terzino puntare realmente per la corsa Champions. L’estenuante e costosa trattativa per Dalbert, al momento, è prevalentemente contrassegnata dall’ennesima e ormai immancabile delusione del tifoso interista nei confronti di un nuovo acquisto su cui erano state riposte inevitabili aspettative. Il francese non è partito quasi mai da titolare e, quando accade, viene o sostituito nella ripresa, come accaduto col Crotone, o viene costantemente bacchettato da Spalletti per la sua “timidezza”.

Inter, Dalbert sta deludendo

Così, a sinistra ecco che il mister toscano gli preferisce prima Nagatomo, poi Santon, fino a provare in quel lato D’Ambrosio e Cancelo, il più delle volte con esiti negativi. Si tratta di una confusione straziante, ai limiti dell’accettazione, specialmente se ricordiamo quanto detto prima sull’importanza degli esterni bassi nella primordiale idea di gioco di Spalletti. In tale visione, l’unica nota positiva resta quella di Cancelo, per impostazione naturale proteso all’attacco, e dunque alla sovrapposizione; nulla da togliere a D’Ambrosio che con Candreva, per il momento, sembra essere l’unico essere vivente in grado di dialogare calcisticamente. I continui spostamenti e i tentativi attuati da Spalletti, perciò, non rivelano altro che il parziale fallimento di quel progetto su cui il tecnico avrebbe puntato ben volentieri e che attualmente sembra essersi arenato sulla primaria scelta su chi debba essere titolare in questa o quella partita.

“Non è che, magari, sono soltanto inadatti?”

Si è detto tanto riguardo la fragilità mentale dei vari Brozovic, Perisic, Joao Mario, Kondogbia e di quanti altri avessero vissuto il bipolare contesto nerazzurro degli ultimi anni senza riuscire ad imporsi. Contro il Crotone, però, in mezzo alla nebulosa prestazione di un’Inter schiacciata da una squadra di media-bassa classifica, è stato possibile notare una piccola scintilla di reazione, un lume di rischiaramento. È infatti bastato poco per notare che l’approccio dei nerazzurri sia progressivamente cambiato con l’ingresso in campo di Karamoh, Cancelo e Rafinha. Il giovane francese ha dimostrato che anche l’esterno d’attacco ha la possibilità di tagliare verso il centro o di saltare l’uomo, piuttosto che cercare ossessivamente il cross in area di rigore. Il portoghese col numero 7 continua a convincere sulla fascia destra come mai aveva fatto un terzino negli ultimi cinque o sei anni, soprattutto per merito della sua attenzione rivolta alla fase offensiva e ai tentativi di porre in area avversaria pericolosi cross tagliati. Cross tagliati, non traversoni. E Rafinha, beh, sembrava avesse assunto la valenza di un vate profetico, di un Copernico di fronte agli scienziati tolemaici. A centrocampo la partita cambia nettamente con il suo ingresso: aggressivo su ogni pallone, intraprendente nella costruzione della manovra d’attacco verso la quale tenta di rivolgere persino sprazzi di bellezza con una costante richiesta di movimento con scambi rasoterra, che già basterebbero a elevarlo al di sopra dei comuni mortali dal cross alto made in Inter since 2014.

Inter, Rafinha può rivoluzionare la manovra d'attacco

Così, di fronte alle buone prestazioni di tre nuovi arrivi, in quanto anche Cancelo e Karamoh possiamo considerarli come tali ancora, sarebbe il caso di chiedersi se, effettivamente, si tratti soltanto di un calo mentale. Non può piuttosto essere che un giocatore come Perisic, ad esempio, non sia effettivamente il fuoriclasse che, dopo alcune partite, ha effettivamente mostrato di essere? E se il croato fosse soltanto un ottimo esterno d’attacco, che presenta però evidenti carenze nella lettura di gioco e nella sua efficacia durante i 90 minuti? E se Brozovic non fosse soltanto svogliato, ma semplicemente inadatto?

Sarebbe più che naturale porsi queste domande di fronte all’ennesimo mutamento radicale del rendimento da parte di questi soliti nomi. Degno di comprensione e frustrato mentalmente, tutt’al più, potrebbe esserlo Icardi, spesso poco servito per quelle che sono le sue ovvie necessità da attaccante d’area di rigore. Ma quando, invece, dopo tre anni, il Meazza intravede ancora un Perisic impacciato, prevedibile e con poca lucidità sottoporta già nel mese di febbraio, ci si chiede se effettivamente più che limiti di personalità non si tratti proprio di inevitabili carenze tecniche. Per non parlare di Brozovic, incognita dalla presunta qualità fin dal primo momento in cui ha vestito la maglia dell’Inter e mai capace di una sua chiara rivelazione. Di fronte a un centrocampista tuttofare e qualitativamente superiore come Rafinha, d’altronde, tali macchie non potevano non passare più inosservate, né tantomeno giustificate. Oltretutto, per anni sono state spesi fiumi di parole nei confronti di Ranocchia e su quanto il suo “problema” fosse di natura psicologica, quando sarebbe bastato per l’Inter conoscere prima uno Skriniar per comprendere e risolvere davvero la questione.

Possibili espedienti

Questo è il momento in cui, solitamente, il tifoso, così come l’opinionista, assumono il ruolo dell’allenatore. Prima criticano il suo operato, poi propongono le proprie considerazioni, naturalmente migliori rispetto a quelle adottate dallo staff tecnico, fino a decretare il necessario bisogno di un cambiamento, rappresentato dall’esonero del mister in carica. E se ad un periodo di relativa quiete, costituita da qualche vittoria, seguiranno altrettante sconfitte, ecco che il ciclo viene a riproporsi. Noi, un po’ populisticamente, vogliamo dar voce alle opinioni di chiunque abbia tentato di proporre la propria soluzione per fronteggiare la crisi nerazzurra, talvolta appoggiandoli, talvolta no.

Inter, Spalletti non è il problema

  • Non è Spalletti il problema. C’è chi ha davvero richiesto l’esonero del tecnico ex Roma. Pertanto, lungi dall’affrontare analisi psicologiche a noi inappropriate, è naturale porsi acune domande su come possa essere possibile che, ancora una volta, sia l’allenatore che siede sulla panchina dell’Inter il problema. Non è un caso che questa squadra presenti le stesse difficoltà di quelle affrontate durante le stagioni trascorse. E il problema si risolverebbe dunque, anche stavolta, ghigliottinando l’ennesimo tecnico nerazzurro? Spalletti non conosce certamente il campionato italiano da quest’anno ed ha vissuto rapporti ancor più incandescenti in una piazza come quella di Roma, dunque appare estremamente inappropriato bocciare il suo operato umano e tattico. Specialmente se fino a dicembre la sua squadra era in cima alla classifica. L’unica critica, al massimo, resta quella riguardo la confusione sulla scelta dei titolari, sebbene il motivo resti anche lì legato ad un livello tecnico al ribasso che non permette l’imposizione di alcuni calciatori su altri.
  • Un modulo nuovo. Contro il Crotone, come si è già detto, l’Inter ha presentato per la prima volta un 4-3-3. La nuova disposizione tattica permetterebbe anzitutto di sopperire all’assenza del trequartista, oltre a rinvigorire i due esterni d’attacco con un maggiore supporto da parte delle due mezz’ali di centrocampo. La squadra, inoltre, potrebbe tornare ad accorciarsi maggiormente in fase d’impostazione, garantendo così un possesso palla più pragmatico ai fini dell’azione. Quel che conta, comunque, è la dinamicità del gioco assieme alla capacità della squadra di saper cogliere i momenti ed i tempi della gara, ultimamente tralasciati con ogni evidenza, e conseguenza.
  • Maggiori alternative d’attacco. Se la difesa resta un terreno ancora da plasmare per Spalletti, l’attacco non è mai stato messo in discussione. Perisic-Icardi-Candreva è il tridente titolare. Ma perché non metterlo in discussione? È ormai sempre più frequente, ad esempio, che il tecnico sostituisca a partita in corso Candreva con Eder, o, come avvenuto contro il Crotone, con Karamoh. E sia contro la Roma, sia nell’ultimo match casalingo, tale scelta si sia rivelata estremamente positiva; senza l’esterno ex Lazio, infatti, l’Inter sembra acquistare maggiore mobilità sulla fascia destra, specie se è Cancelo il terzino, garantendo con Eder la possibilità di tagliare verso l’area di rigore, o con Karamoh imprevedibilità e rapidità. Dunque, perché non tagliare definitivamente il cordone ombelicale che lega Spalletti ad un attacco per il momento in evidente difficoltà di concretizzazione?
  • Stravolgere tutto, nel peggiore dei casi. Che si provi la coppia Eder-Icardi, la difesa a 3 e gli esterni bassi di centrocampo, che si introducano in prima squadra i talenti della Primavera. Se anche quest’Inter dovesse perdere, nel corso di questi mesi, ogni chance per reggere la lotta per il quarto posto, ciò che bisogna tagliare non è più la testa dell’allenatore, ma i ponti col recente passato.

 

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