Un’altra emozionante stagione di Premier League sta volgendo al termine e, come dal 2004 ad oggi, anche stavolta l’Arsenal vincerà il campionato l’anno prossimo.
Questa però potrebbe essere un’annata particolare, perché è, forse per la prima volta, concreta la possibilità che Arsene Wenger, dopo 20 anni, lasci la panchina dei Gunners.
Noi, in barba al politically correct, oggi vi spieghiamo perché i sostenitori del #Wengerout sono dalla parte della ragione, dandovi sette motivi per i quali, continuando con il francese in panchina, l’Arsenal non vincerà mai la Premier League.
Wenger Out
1. Estetismo
Arsene Wenger è un esteta e, come tutte le persone inebriate dalla bellezza effimera, ha una predisposizione naturale e una sorta di sentimento di adorazione per la sconfitta.
In qualità di paladino dell’estetismo, di capitano della atavica eleganza, sa infatti benissimo che una vittoria, un titolo importante, metterebbe fine al suo progetto di perfezione: i calciatori di oggi, a differenza di quelli di ieri, su gli allori tendono a rimanerci seduti per molto tempo, smettendo di migliorarsi e di puntare alla perfezione stilistica.
Molte volte abbiamo sentito dire che “l’Arsenal ti migliora“, verrebbe quasi da chiedersi se la mancanza di vittorie non sia una premessa fondamentale a ciò.
Il titolo del 2004 è arrivato senza nemmeno una sconfitta, la perfezione e, non a caso si presume, da lì in poi non ha più vinto una Premier, conscio che nessuna vittoria avrebbe potuto eguagliare quella.
Perchè un esteta? Giudicate da questo video
2. Senza Giroud di parole
Dite quello che volete, ma una Premier League con Giroud prima punta titolare non la puoi vincere e Wenger lo ha confermato per ben 4 stagioni.
Chiediamo scusa ai fan della punta ex Montpellier però un dato è chiaro, sebbene abbia assunto un ruolo più da giocatore di sistema, lasciando spesso il ruolo di principale terminale offensivo della squadra ad Alexis Sanchez, una formazione che vuole puntare al titolo e si impone di giocare con un modulo che preveda una punta sola, non può avere in quel ruolo un calciatore che, in quattro stagioni, non abbia mai raggiunto quota 20 gol, fermandosi massimo a 16. Certo, nel calcio moderno il finalizzatore conta relativamente ed emergono attaccanti più partecipativi alla manovra (vedi Kalinic, che Montella preferirebbe nettamente a un goleador come Bacca), ma è anche vero che Giroud non ha mai raggiunto picchi realizzativi altisonanti, per quanto il suo miglioramento sia graduale e costante. Qualche dubbio, comunque, lo lascia.
3. Masochismo
L’Arsenal di Wenger ha una tendenza al suicidio quasi commovente.
Per conferma basti guardare alla scorsa stagione.
Quando la fortuna vuole che le tre squadre sulla carta superiori a te – Chelsea, Manchester United e Manchester City – sono contemporaneamente in crisi e riesci a vincere lo scontro diretto contro la prima in classifica al 95’, tarpando le ali alla grande sorpresa, poi dovresti volare. Ma non lo fai.
L’Arsenal si è sciolta come neve al sole, scivolando addirittura al terzo posto, salvo poi riprendersi e tornare seconda all’ultima giornata, con tanto di smodati festeggiamenti per la celebrazione del St. Totteringham day, vista la sconfitta del Tottenham che ha consentito un sorpasso che fino a qualche settimana prima sembrava impossibile.
Quest’anno i Gunners non possono neanche godere di questo rito: gli acerrimi rivali termineranno la stagione sopra, 22 anni dopo.
4. L’urlo di Mounch
Il quarto punto, forse, creerà qualche scaramuccia: finché Mourinho (o anche il suo spirito) aleggerà sui campi della Premier League, Wenger non potrà più vincere niente.
Al di là dei vari botta e risposta tra i due, con perle assolute dell’allenatore portoghese che ha definito il collega come “specialista dei fallimenti” o “un voyeur, uno a cui piace guardare gli altri”, la verità è che l’ingegnere di Strasburgo soffre terribilmente il confronto con l’ex allenatore di Chelsea, Inter e Real, che, qualche giorno fa, è stato battuto da Wenger per la prima volta nella in carriera, a 13 anni di distanza dal loro primo incontro.
Una vera e propria psicosi che costringe Wenger a un probabile complesso di inferiorità e non ci stupirebbe sapere che Mourinho gli appare anche la notte nei peggiori incubi.

5. Destino infausto
Barcellona, Milan, Bayern, Bayern, Monaco, Barcellona, Bayern.
Questi sono i fortunatissimi sorteggi dell’Arsenal negli ultimi 7 ottavi di Champions League, ovviamente tutti culminati con l’eliminazione.
La sfortuna infatti è il quinto motivo per cui Wenger dovrebbe lasciare la panchina l’Arsenal.
I Gunners hanno cambiato tutto, perfino lo stadio, eppure la maledizione che attanaglia la squadra non se ne vuole andare, facendo dunque pensare che il menagramo sia proprio il povero Arsene.
Pure nella finale di Champions del 2006, la prima (ed unica) per i londinesi nella loro storia, un qualche harakiri ha colpito i biancorossi, costretti a giocare quasi tutta la gara in 10 per l’espulsione di Jens Lehmann. La sorte mandò allo sbaraglio il malcapitato Almunia, infilato sul primo palo e sotto le gambe da Belletti. Ripetiamo, Belletti.
5 Bis. Quando il sorteggio è stato favorevole (Monaco) è finita comunque in tragedia, per capire il perché di tutto ciò dare un’occhiata al punto 3.
6. Confusione
La sesta motivazione è la confusione pressoché totale del manager in fase di mercato: Sanchez e Ozil a parte, non azzecca un colpo più o meno dai tempi dell’invasione romana della Britannia.
Lucas Perez, Yaya Sanogo, Mertesacker, Chamakh sono solo alcuni dei giocatori sbagliati in questi anni, con la pecca, mai veramente risanata, di non aver ancora sostituito un bomber come Robin Van Persie, quando venne ceduto allo United.
Più volte i tifosi hanno espresso il loro malcontento per delle sessioni di mercato passate nell’anonimato e, sebbene solo Wenger sappia i profili perfetti per il suo sistema, resta più di qualche dubbio sul suo operato, pensando poi che non hanno una grande prima punta da 5 anni e un difensore affidabile da almeno 7-8. Certamente l’aspetto difensivo risulta il più urgente, in assoluto.
(E sono solo 10)
6 Bis. Il colpo alla Henry riesce una volta nella storia, anzi, chissà se e quando rinascerà uno come lui: l’addio di Titì ha lasciato un vuoto incolmabile nel cuore e nella testa di Arsene, che ha provato in maniera ossessionante a sostituirlo con qualche trattativa “ad effetto”.

7. E ORA?
La settima e ultima ragione, che più che altro è una domanda: chi glielo fa fare di restare? Ha vinto, ha incantato col suo gioco – valorizzando giovani importanti – ha regalato al calcio uno dei più grandi fenomeni degli ultimi 30 anni e soprattutto una delle squadre più belle e sfortunate di sempre. Ormai ha quasi 68 anni, e una pausa dopo 20 anni vissuti al massimo sarebbe più che legittima (e meritata).
In ogni caso, bon voyage Arsene.