Lo chiamavano Vulcanico

Prologo

Salmo è un rapper che personalmente apprezzo molto, nel 2013 esce con un album chiamato Midnite, e dopo sedici giorni con il videoclip della canzone Rob Zombie, titolo in onore di Robert Bartleh Cummings, metallaro e regista di cui consiglio film come La casa del diavolo e – se proprio siete malati di horror – Le streghe di Salem.

Nella canzone in questione, la strofa che c’interessa recita:

Stiamo sugli attenti con il senso del decoro
Lavori e ti paghi la macchina per andare a lavoro
Stanno chiusi in casa, si sentono sicuri
Ma la verità è in strada, è scritta sopra i muri

 

Concentratevi sull’ultima frase.

 

Ora, a me chi scrive sui muri, generalmente, fa schifo. Il fatto stesso di prendere una bomboletta, trovare un muro vergine e imbrattarlo con una scritta insignificante frutto del tuo pensiero, ti etichetta ai miei occhi in maniera quantomeno negativa. Ovviamente non cito in causa gli artisti di strada, quelli sono un’altra cosa.

Palermo, come tutte le città, non fa eccezione: è piena di writers che condividono i loro pensieri per le strade della periferia, o le vie del centro, le piazze. Le scritte più gettonate sono le sigle dei gruppi di appartenenza: UCS ad esempio, che sta per Ultras Curva Sud; oppure le classiche dediche d’amore come: Tio amato. Poi ci sono quelle frasi più complesse, più ambiziose, che toccano gli ambiti della critica sociale e della politica, Fascio ti sfascio è un evergreen, la falce e il martello affiancata al sostantivo feci declinato nella sua accezione più volgare, anche.

Palermo, via Roma. Noi, ovviamente, ci dissociamo da ogni tipologia d’insulto.

Girando per Palermo si possono trovare frasi che, più specificamente, prendono di mira una persona soltanto (Salvini topo di fogna è abbastanza gettonata, per scrivere che non è prettamente una questione napoletana) e tra quelle persone che vengono prese di mira, ce n’è una in particolare che i palermitani amano e odiano in un equilibrio pencolante, un antieroe di quelli veri, una personalità cosiddetta vulcanica che corrisponde al nome di Maurizio Zamparini.

Tra i lumi palermitani muniti di bombolette le frasi che più spesso lo prendono di mira sono Zamparini vattene, o – se il tifoso in questione era particolarmente scontento della gestione societaria – Zamparini merda. Se prendiamo per vere le parole di Salmo, ovvero che la verità è scritta sopra i muri, l’ex-patron rosanero ha sempre avuto un rapporto conflittuale coi suoi tifosi.

 

L’addio

Il 28 febbraio 2017, giorno del martedì grasso che rappresenta la fine del Carnevale, Maurizio Zamparini ha rassegnato le sue dimissioni da presidente dell’USC Palermo attraverso un comunicato stampa flemmatico che, dopo tanti periodi di finte rese, ha certificato l’addio alla carica tenuta per quindici anni. La società viene acquistata dal fondo anglo-americano Integritas Capital Limited, rappresentato da Paul Baccaglini, che alcuni di voi riconosceranno per il passato da Iena e le collaborazioni con Pif.

Forse non proprio l’immagine del magnate.

Al di là degli interrogativi riguardo la figura di Baccaglini (che, come sottolineato dal Sole 24 ORE, è fondatore di una società dormiente dal valore di 1.250£) bisogna anche farsi altre domande, ovvero: cosa lascia Zamparini al Palermo e cosa lascia alla Serie A? Siamo sicuri che non ci mancheranno le sue dichiarazioni folli, o i suoi colpi insospettabili, o i suoi semplici, quasi rassicuranti, esoneri? Ai posteri che chiederanno della storia del calcio italiano nel primo ventennio del 2000, come potrà essere spiegata la figura, così splendente e allo stesso tempo come un glaucoma, del Palermo di quegli anni e di chi lo guidava?

Politically incorrect

Ci si potrebbe fare un libro sulle citazioni di Zamparini, una sorta di atlante dell’assurdo, anche abbastanza spesso. Nel 2016 France Football – la rivista che per intenderci ha inventato il Pallone d’Oro – scrisse un articolo raccogliendone le migliori 10 punchlines del presidente.

Una punchline sarebbe la parte finale di una gag, ovvero l’ultimo terzo della struttura tipica di una barzelletta che s’incarica del provocare la risata. La prima punchline citata è: «Pioli? Mi sto mangiando il secondo testicolo per averlo lasciato andare. Il primo l’ho già mangiato» Che è una dichiarazione talmente grottesca che potrebbe appartenere a un pezzo satirico di Saverio Raimondo, piuttosto che a un presidente di una società di Serie A.

Lo chiamavano Vulcanico in TV, in Rai sopratutto. Vulcanico in effetti è l’aggettivo più politicamente corretto per descriverlo, causa delle sue manie di protagonismo irrequiete, tipiche del titolare avido, dello Scrooge di cui scrissi a Nataleper cercarne una similitudine letteraria. Ma al di là del politicamente corretto televisivo, vulcanico è il più superficiale degli aggettivi per descrivere la sua personalità.

Zamparini, particolarmente negli ultimi anni, è il più facile esempio della senescenza in azione, della lucidità che va appannandosi come uno specchio in una sauna. Zeppo di buie, di esagerazioni, di cattiverie, di insulti, sopratutto di contraddizioni. Il suo rapporto con gli allenatori è leggendario, se ne sono avvicendati ventinove in quindici anni di presidenza, per la media di un cambio ogni 190 giorni. Senza considerare i richiami e il ripetersi di quegli stessi esoneri, perché sbagliare è umano ma perseverare è diabolico.

Zamparini-Novellino, andata.

Eppure Zamparini ha sempre dichiarato di voler trovare l’allenatore giusto, quello su cui stabilire il progetto di una squadra duratura, il suo Ferguson. E io ci credo. Nel 2008/09 alla prima di Davide Ballardini vinta contro la Roma, dichiarò: «Adesso che ho trovato il tecnico giusto non ho nessuna intenzione di lasciarmelo scappare. Spero che Ballardini resti con noi per i prossimi cinque-sei anni». Ballardini a fine stagione lasciò il Palermo, ma effettivamente quella volta non fu colpa sua, l’allenatore era scappato alla Lazio e Zamparini si vide distruggere il suo progetto quinquennale. Certo, a Palermo ritornò per tre volte e per altrettante fu esonerato, ma prendiamola come un equo gioco del karma.

Nel 2011 è il momento di Mangia che, dopo la vittoria incredibile per 4-3 con l’Inter, fa annunciare al patron: «Ho già dato mandato a Sogliano di rinnovare il [suo] contratto. Spero che il Palermo diventi l’Arsenal del calcio italiano e che Mangia diventi il nostro Wenger» Verrà esonerato quattro mesi dopo, il 19 dicembre, quando due giorni prima aveva rassicurato i giornalisti portando un panettone in conferenza stampa. Ma io a Zamparini credo, e penso veramente che volesse trovare l’allenatore giusto per portare il Palermo alla quiete dei risultati e della metà classifica. Il problema di Zamparini è che l’allenatore giusto non portava il suo nome.

E il secondo problema, forse il più grande, è stato quello delle personalità multiple: da una parte, davanti ai microfoni, l’ex presidente era una persona ragionevole ed equilibrata che si augurava la pace; dall’altra, magari sempre davanti agli stessi, era l’istinto fratricida che monta i presupposti della guerra.

Ricordo, quando invitato a Tiki-Taka, disse: «Ho avuto grandi allenatori come Guidolin, Del Neri, Zaccheroni, Prandelli, Spalletti e ne dimentico altri. Il problema è che i miei d.s. mi hanno sempre riferito che le colpe erano degli allenatori…mi auguro di non esonerarne neppure uno».

Era il 2014, un anno dopo sulla panchina del Palermo si avvicendarono prima Iachini, poi Ballardini, poi Fabio Viviani, Schelotto, che per cause burocratiche non poté sedersi in panchina e prima Tedesco e poi Bosi ne fecero da prestanome; dimessosi, arrivarono ancora Iachini, poi Novellino e di nuovo Ballardini. Ignorando i prestanomi, sono sette cambi in panchina per cinque allenatori: record della sua gestione e della storia della Serie A. Quell’anno, in seguito alle dimissioni bis di Iachini, l’ex presidente lo prese a parole in radio definendolo un deficiente, dalla mentalità perdente e a cui non frega un cazzo.

Zamparini non solo appartiene alla categoria di presidenti che entrano a piedi uniti nell’area di competenza dell’allenatore, ma ne è una sorta di evoluzione, un guru dell’eccesso di potere, sia in privato che in pubblico. Guidolin disse di lui: «È il miglior presidente dal martedì al sabato, poi, se le cose andavano male, aveva la cattiva abitudine di attaccare gli allenatori pubblicamente». E non è un caso che sia tra i presidenti che colleziona più brutte parole ogni qualvolta un rapporto finisce, Gattuso, che non è un fine comunicatore, lo definì un incompetente totale: «Mi chiamava in piena notte per rifare la formazione. È ovvio che può farlo, come allenatore sono operativo 24 ore su 24. Il problema è la sua incompetenza: non ci capisce niente. Inoltre è ipocrita e cattivo»

Guidolin ha il sorriso di chi vorrebbe sprofondare nelle viscere della terra.

Oltre che con gli allenatori, i problemi relazionali si estendono anche al resto della società: direttori sportivi e amministratori delegati erano le altre vittime preferite dall’ex-patron. Sono una decina i collaboratori che si sono visti negli ultimi tredici anni, da Foschi (bis) a Sagramola, Sabatini, Sogliano, Panucci, Lo Monaco, Perinetti, Amoruso, Galli. Tutti nomi con cui ha litigato, esonerato, o portato alle dimissioni. Panucci durò appena un mese, dimessosi, per sua ammissione, per dignità personale: «Non c’è stato rispetto dei ruoli, è successo quello che in una società non dovrebbe mai succedere. Zamparini ascolta tutti senza parlarne coi suoi consulenti, si fida di altre persone».

Ritornando al primo, Rino Foschi, alla seconda avventura finse di star male pur di andare via da Palermo: «Finora, dall’altra parte, ho preso solo sberle. Si vede che faccio nomi di gente avulsa e quindi è meglio che lascio, non sono più da Palermo. Io non sono malato, semmai mi stavo ammalando» Le costanti dei suoi litigi sono sempre le stesse: la strafottenza del rispetto dei ruoli, l’insolenza, la testardaggine e le contaminazioni decisionali da cui spesso si faceva acchiappare per mano di esseri ignoti.

Gestire una società

Eppure, nonostante tutto, le statistiche parlano chiaro: Zamparini è il miglior presidente della storia del Palermo, con due promozioni in A, cinque piazzamenti in Europa e una finale di Coppa Italia. Tra i record collezionati dalla squadra sotto la sua egida ci sono quelli di miglior piazzamento, maggior numero di punti in campionato, maggior numero di goal segnati, miglior serie positiva in casa in un campionato, e assoluta. D’altro canto, c’è il record negativo della peggior sconfitta casalinga: lo 0-7 con l’Udinese del 2011.

«Troppo brutta per essere vera» Delio Rossi si atteggia come un samurai pronto a essere ucciso o a fare harakiri. Al fischio dell’arbitro fece il giro del campo in lacrime e ricevette un’ovazione agghiacciante dello stadio: tutti sapevano cosa sarebbe successo.

 

Da un’indagine del Sole 24 ORE, al 30 giugno 2009 la società rosanero era quella con il miglior bilancio dell’intera Serie A. Ciò però ha avuto vita breve. Il vero grande errore che gli si può imputare, escludendo quindi la sua natura, è quello di non essersi fidato dei collaboratori e di non aver stabilito una strategia forte che ri-sviluppasse il ciclo terminato dopo la finale di Coppa Italia.

I problemi dell’ultimo Palermo, paradossalmente, sono iniziati a partire dal mercato, lo scouting di Zamparini si è sempre concentrato nella zona sudamericana, sopratutto in Argentina e Uruguay, in un mercato pieno di talenti acquistabili a prezzi moderatamente bassi, che ha portato dapprima giocatori normali come Mariano González o Andújar, e poi la scoperta di giovani talenti più o meno riusciti come Cavani (pagato 5 mln al Danubio nel 2007) Abel Hernández (6 mln al Peñarol nel 2009) Bertolo (3,7 mln, Banfield, 2009) Pastore (6,5 mln, Huracán, 2009) Muñoz (4,6 mln, Boca, 2010) Santiago García (1 mln, Rosario Central, 2010) Lores Varela (chi?).

Con l’aumento dei prezzi di mercato, però, anche in Sud America le società si sono fatte forti di un certo potere di vendita: nel 2012 l’impresario Pablo Mascardi scova un giovane di nome Paulo Dybala, ed essendo in buoni rapporti con Sean Sogliano (all’epoca d.s. del Palermo) intavola una trattativa per portarlo in Europa; l’Instituto, squadra in cui Dybala milita, gioca in divisione B, ma nonostante questo non cederà se non per meno di 15 milioni tra tasse e commissioni, più del doppio di quanto fu pagato Pastore appena tre anni prima, per giunta rivenduto a una cifra maggiore.

L’alzamento dei prezzi del mercato sudamericano costringe Zamparini – e gran parte dei club italiani dalla simile filosofia come l’Udinese – a spostare gli occhi su mercati più economici e vicini, che però fin da subito palesano due malus: il primo riguarda lo scouting e la rete di contatti ridotte rispetto a quelle di altre società presenti da più tempo sul territorio, e il secondo sono il minor numero di talenti e di nomi esotici meno rivendibili ad alte cifre, provenienti da un po’ tutte le zone europee, sopratutto da est (Milanović, Struna, Ujkani, Čočev, Jajalo, Trajkovski, Posavec, Balogh, Đurđević, Sallai, Nestorovski) o da nord (Quaison, Hiljemark, Aleesami) nomi quasi tristi, poco redditizi anche per i più validi tra loro.

Oltre a questo sono mancati anche quei colpi interni alla Serie A su giocatori di medio-alto livello come Corini, Grosso, Barzagli, Barone, Bresciano, Balzaretti, Cassani, Migliaccio, Simplício, Amauri e Miccoli: l’ossatura di una squadra su cui preventivare la crescita di quegli stessi talenti su cui arricchirsi. Probabilmente se Quaison o Lazaar (tanto per fare due, tra i nomi più recenti) avessero anticipato la loro carriera di qualche anno, la loro crescita sarebbe stata molto più agevole e importante. Ma invece, pian piano, il Palermo è prima diventata una squadra da bassa classifica e poi una da zona retrocessione, colpa di una gestione societaria confusa al limite della schizofrenia.

Finale

A proposito di Corini, fu lui a descrivere in maniera più dura la situazione, quasi apocalittica. In una conferenza di metà gennaio, appena undici giorni prima di rassegnare le dimissioni, disse: «Voglio parlare da tifoso, da persona che ama il calcio: se non si esce dal limbo diventa complicato giudicare un progetto, anche con Guardiola o Mourinho. Non si può dire che in ogni partita si rischia di andare a casa, io resterei qui vent’anni, anche mettendomi in discussione, ma con una dialettica stabile».

Le sue parole, oltre a suonare come uno sfogo, un grido d’aiuto, sono potenti proprio perché è lui a dirle, uno dei simboli più forti della storia recente rosanero: «Io rimango, ma ogni partita a Palermo è una bomba atomica. Mica ci possiamo chiedere cosa succede ogni tre minuti, qui è sempre Hiroshima»

Un altro pezzo di Rob Zombie che mi sento di citare, dice:

Ormai non resta altro che speralo
Chiedi: «Questo freak show come pensi di pagarlo?»

Ah, per ultimo: anche La casa dei 1000 corpi non è malaccio come film.

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