Quinto Orazio Flacco, poeta romano contemporaneo di Giulio Cesare, inventò in un componimento la locuzione latina In media res, talmente eufonica da sopravvivere ai secoli fino ai nostri giorni. Essa intende un modo di narrare che ignori il normale procedimento di una fabula in favore di un inizio nel mezzo delle cose. Ciò, unito all’intreccio dei fatti, compone l’articolo in cui vi state per addentrare.
1. Quando un goal di Medel rivelò la vera faccia della Roma
Sembra una vita fa, ma era solo il 2015. Il 31 ottobre, per la precisione. Il fischietto più importante del mondo certificato dall’IFFHS, quello di Nicola Rizzoli, che un’estate prima ha diretto la finale mondiale tra Germania e Argentina, dà inizio al big match dell’11° giornata. Inter e Roma si giocano il primo posto ex aequo con la Fiorentina. La Juventus era decima, al tempo, aveva gli stessi punti del Torino, a meno nove dalla vetta. Higuaín di goal ne aveva segnati solo otto, non era il capocannoniere perché Éder ne aveva segnato uno in più. Nessuno avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe successo in futuro.
La Roma era ancora nella sua versione lato oscuro: con Garcia in panchina, il 4-3-3 con Gervinho in campo e Nainggolan mediano. L’Inter era l’Inter degli 1-0, con Guarín capitano e Icardi in panchina per aver litigato con Mancini. Quelli che si definiscono i bei vecchi tempi.
Ora, scriviamone: Medel non ha mai segnato tanto, è uno dei centrocampisti del vecchio continente con più di 200 presenze ad aver segnato di meno in assoluto, di goal ne ha fatti anche meno di Busquets, e Busquets ne ha fatti veramente pochi. Da quando è sbarcato in Europa, Medel ha all’attivo dieci goal, abbastanza da poterseli contare sulle mani. Uno di questi dieci lo segnò quella sera, con un tiro rasoterra da fuori area, di quelli che scatenano in noi la classica domanda: «Sì, ma il portiere?» Che se passassimo meno tempo a farcela, e più ad apprezzare i gesti tecnici in quanto tali, saremmo tutti più rilassati.
Spalletti un giorno a Szczęsny chiederà: «Do you want glasses?»
Di quella partita si ricordano anche la doppia ammonizione di Pjanic per fallo di mano e la versione Ercolino sempre in piedi di Handanovič che salverà l’Inter anche fin troppe volte.
Dopo la seconda parata diventa ipnotico.
Settantacinque giorni dopo finisce l’era Garcia e la Roma compirà un cammino inferiore solo a quello della Juventus. L’Inter terminerà quarta con una differenza reti di 12 goal, e un Mancini che tutto poteva aspettarsi tranne che una deposizione uguale e contraria a quella già subita.
2. Dal centrocampo in su
Quella che sto per ritirar fuori è una delle partite più belle nella storia moderna della Serie A. O almeno, una delle più belle per i tifosi generalisti.
Quell’Inter-Roma finita 5-3 è paragonabile al più recente ottavo di finale tra Manchester City e Monaco, ma con delle dovute differenze: a cominciare dalla presenza di veri giocatori vintage. Tanto per fare qualche esempio: nella Roma giocavano Julio Sergio, Fábio Símplicio e Loria; nell’Inter Kharja. Se in voi si è creato un misto di nostalgia e disagio a leggere questi nomi: è giusto così.
Come in Manchester City – Monaco, in quella partita non fu previsto dagli allenatori (Leonardo e Ranieri) un vero piano difensivo, i difensori erano lì solo per rispetto alla tradizione calcistica che esige, anzi impone, un reparto offensivo, uno intermedio, e uno difensivo. Eppure, l’impressione era che quegli otto giocatori disposti agli estremi del campo in due linee a quattro non avessero una reale e comprovata utilità. Tutto a favore dello spettacolo.
Vedetelo il video, perché stiamo per notare un paio di cose.
Innanzitutto ci salta all’occhio (cioè all’orecchio) la prestazione di Caressa schierato come telecronista. Le azioni della partita sono così numerose e dense da occuparlo in una sorta di apnea parlata, come nel rap, in cui è fondamentale, e non scontato, avere abbastanza fiato da arrivare fino in fondo alla frase. Inizia dal minuto 1:54, con l’azione della Roma che parte da Borriello, s’incastra con Vučinić che non sa esattamente cosa fare, ma che poi – com’è suo solito – trova il colpo di genio e l’imbucata per Símplicio. Caressa è talmente dentro a ciò che deve spiegare – o almeno tentare di farlo – da rimanere quasi senza voce nell’esatto momento in cui Ménez raccoglie il pallone e lo spreca, terminando poi il discorso con un «Che partita, amici!». Che letto così sembra una frase a effetto di quelle insegnate nei corsi di marketing, ma che in realtà suona sincera e giustificata: di minuti ne erano passati una ventina, ma lo spettacolo era già bello che partito.
Un altro paio di cose da notare:
- La Roma per il secondo anno consecutivo schierava sulla trequarti la coppia Ménez-Vučinić, probabilmente i giocatori con più turbe umorali presenti sulla piazza. Quella Roma non fece un bel campionato.
- Al minuto 4:20 il goal del montenegrino è una palese citazione a Pippo Inzaghi.
- Al minuto 5:08 c’è un’evitabile simulazione di Taddei che, se fosse rimasto in piedi, magari avrebbe evitato il traversone di Eto’o, ergo il goal.
3. Zemanlandia esiste
Una delle più belle vittorie della seconda Roma di Zeman è stata quella che ha travolto l’Inter di Stramaccioni. Di quella partita, che guardai non tanto perché era Inter-Roma, ma perché era il primo banco di prova per la squadra spettacolare ma fragile del boemo, ricordo il tridente Totti-Osvaldo-Destro (che può sembrare inusuale se non si pensa che Totti, in quella squadra, correva come un ventenne e spaziava su tutto il fronte offensivo) l’infortunio precoce di De Rossi e il primo goal di Florenzi con la maglia della Roma, il pareggio dell’ex Cassano, e poi il tripudio romanista con una giocata di Totti alla Totti e il cucchiaio di Osvaldo che, secondo Trevisani, «segna solo goal pazzeschi».
La Roma segnerà anche il terzo goal con Marquinho, a chiudere i conti.
Quando la felicità è troppa.
4. L’Inter di Baggio e Ronaldo, la prima Roma di Zeman
È il 20 dicembre del ’98 e nell’Inter, allenata da un romeno greco-ortodosso che porta il nome di Mircea Lucescu, giocano giusto qualche paio di piedi buoni: tipo Ronaldo, Baggio, Simeone, Zamorano con la leggendaria maglia 1+8, mentre le telecamere indugiano su Pirlo e Recoba in panchina, insomma: YouTube non è un bel posto per gli interisti dai venticinque anni in su.
Dall’altra sponda ancora il boemo, più giovane di quattordici anni. La Roma, al secondo (e ultimo) anno della sua gestione, si fa forza del dio gioco e di Totti alla sua prima stagione da capitano, il 31 ottobre Aldair gli ha ceduto la gloriosa fascia che porterà al braccio almeno per le future diciannove stagioni.
La partita finisce 4-1, Baggio devastante.
5. Totti in due gif (2005/06)
Parte uno
Parte due (e il guardalinee che se ne frega).
6. Quando tra Mourinho e Ranieri non era ancora guerra
In una classifica del genere non poteva mancare l’Inter del triplete e la prima Roma di Ranieri che finì inesorabilmente seconda. Al tempo era l’8 novembre, i giallorossi erano ancora creature innocue, troppo presto perché il portoghese iniziasse la sua personale partita psicologica (sempre dominata) con l’allenatore che non era ancora conosciuto come l’artefice della favola calcistica più bella degli ultimi trent’anni.
Al tempo parlava solo il campo, le tante occasioni sprecate della Roma contro la freddezza meccanica dell’Inter. Finì 1-1 con un gran goal di Vučinić (che ne avrebbe potuto fare almeno tre) e una gran risposta di Eto’o (che l’unica è riuscito a capitalizzarla).
Ma è a fine partita che inizieranno i primi screzi:
Tanto lui la gira come vuole, e alla fine ha sempre ragione. Comunque non mi è antipatico… [Claudio su Mou]
Ranieri? Lui piange sempre, sarà contento per il pareggio… [Mou su Claudio]
7. Hai vinto, ma davanti a noi non festeggi
Un altro bel 1-3, dopo quello firmato Zeman 2.0 di cui abbiamo scritto prima, fu quello che vietò i festeggiamenti per il 15° scudetto interista nel 2007. L’Inter di Mancini si trovava con 13 punti di vantaggio a meno sei dalla fine, potrebbe quindi festeggiare in casa, ma alla Roma, che in quello stadio si è sempre fatta sentire anche quando poi ha perso, ciò non va giù, e decide con una forza di volontà che sembra avere storicamente solo quando può distruggere anziché costruire, di imporsi con tre goal contro il rigore (inesistente) trasformato da Materazzi. Perché sì, in una squadra con Ibrahimović, Adriano e Figo, i rigori li batteva Materazzi.
E anche bene.
Quell’Inter ovviamente vinse lo scudetto, ma non quel giorno, non davanti alla Roma.
Traccia: Arca di Noè (2017) Alessandro Mannarino
Questa è una storia, da raccontare
Può andare bene, può andare male
Ma non si sa, qual è il finale
Bisogna andare, comunque andare
A camminare…
Sulla terrazza, con visto mondo
Dove ogni alba, è anche un tramonto.
E per stasera, siete pronti “a camminare” ?