Numerologia: un brasiliano d’Armenia

1.

I talenti più brillanti dello scenario calcistico, in particolare negli ultimi anni, si sono sempre dovuti distinguere nella loro immagine, forse perchè non era pensabile avere un’estetica normale essendo così straordinari in campo. Gli esempi sono tanti: la cresta di Neymar, la cura maniacale del corpo di Cristiano Ronaldo. Oppure basta pensare a Leo Messi, che ha contrapposto alla figura umile e spoglia descritta dal capello lungo e sbarazzino che portava nella prima parte della carriera quella di un uomo con un braccio completamente tatuato e un’acconciatura biondo platino sulla cui bellezza non pochi si sono posti un interrogativo. La creatività deve esprimersi anche fuori dal campo. C’è sempre quell’eccezione che conferma la regola, però. Henrikh Mkhitaryan la rappresenta pienamente. Guardando il suo viso, i tratti del suo volto, il suo hairstyle, a tutto si potrebbe pensare tranne che a un talento in grado di spostare gli equilibri in attacco a suon di giocate e skills da brasiliano. Forse anche per questo, nella sua carriera, ha fatto più fatica di quanto si potesse pensare ad ottenere un riconoscimento adeguato alla sua qualità tanto che, qualche settimana fa, Mourinho non ha impiegato molto tempo a cederlo, dopo che il suo posto era stato occupato da Alexis Sanchèz.

 

2.

Mkhitaryan nasce a Erevan, capitale dell’Armenia. Per essere precisi, però, quando viene al mondo nel 1989 quel territorio è ancora parte della Repubblica Socialista Sovietica Armena, uno dei paesi satellite dell’Unione Sovietica. Fino al 1991 rimarrà tale, e Erevan ne faceva parte dal 1936. Un periodo di tempo vissuto intensamente dal padre di Henrikh, un-ex giocatore che disputò buona parte della sua carriera proprio nella Soviet Top League, distinguendosi come un ottimo attaccante (provateci voi a segnare 46 gol in una stagione di una competizione sovietica). Con Hamlet, questo il suo nome, Henrikh è molto legato, e quando nel 1996 muore a causa di un cancro al cervello, a Henrikh scatta il desiderio di ripercorrere le sue orme. Un anno dopo è su un campo da calcio, con la maglia dell’FC Pyownk, formazione formata solo qualche anno prima, dopo che l’Armenia si era dichiarata indipendente come conseguenza del crollo del muro di Berlino. Nel 2001 passa in prima squadra, e partecipa al dominio del Pyownk vincendo quattro dei nove scudetti armeni che la società ottiene tra il 2001 e il 2009.

In mezzo a questo delirio di trofei, Henrikh compie un’esperienza che gli cambierà la vita.

Nel 2003, infatti, si presenta a San Paolo, in Brasile, per disputare uno stage con la squadra della città. Quella da cui provengono Kakà o Hernanes, per capirci. A proposito, sapete riconoscere il ragazzo un po’ imbronciato al centro della foto qui sotto, di fianco a Mkhitaryan?

Mkhitaryan ed Hernanes | numerosette.eu

3.

Questo periodo di prova, che poi non si concretizzerà nella firma di un contratto, a detta dello stesso Henrikh gli cambierà la vita. Innanzitutto lo vive da solo, senza famiglia, a soli 13 anni. Pensate come dev’essere per un ragazzino armeno trovarsi dall’altra parte del mondo, con persone che parlano un’altra lingua e un unico linguaggio per farsi capire, quello che si comunica con i piedi. Mkhitaryan riesce ad assorbire tutte le componenti più coinvolgenti della mentalità sudamericana, e le riporta con sè nel viaggio di ritorno. Lui stesso affermerà, dopo la firma con lo United in un suo pezzo su The Players Tribune, che “quando sei felice accadono buone cose in campo: l’ho imparato dai brasiliani”. Henrikh continua ad esprimersi su alti livelli, dimostrando da subito un’attitudine da passatore creativo, quasi artistico nella sua visione dei movimenti dei compagni e nella capacità di servirli con la pennellata migliore.

4.

Nel 2009 passa al Metalurh Donetsk, team ucraino che nel 2015 è fallito a causa della crisi economica imposta dal conflitto nel paese; un anno dopo ha la prima chance ad alti livelli, nello Shakhtar di Lucescu e dei brasiliani. Eh sì, perchè nella formazione della città est-europea i brasiliani erano ben dodici (tra cui Douglas Costa, Willian, Luiz Adriano). Non è difficile capire che la lingua tecnica era inevitabilmente simile, e Mkhitaryan si trova subito a suo agio nel ruolo di trequartista/incursore di centrocampo che il tecnico romeno gli cuce addosso. L’esplosione definitiva arriva nel 2011, quando mette a segno 10 gol e produce 7 assist in campionato. Numeri che salgono esponenzialmente un anno dopo, e diventano rispettivamente 25 e 9. Le squadre della nobiltà calcistica europea non potevano rimanere indifferenti a questo brasiliano nelle vesti di un semplice operaio.

5.

Nel 2013 il Borussia Dortmund continua la tradizione per la quale lo Shaktar nel giro di qualche anno ha incassato secchiate di milioni grazie ai suoi talenti che ancora oggi imperversano le migliori leghe del vecchio continente. Con Klopp però Henrikh non ottiene i suoi migliori risultati. “Giocavamo un calcio forsennato” dirà qualche anno dopo. E spesso evita di citare anche il nome dell’allenatore attualmente al Liverpool. Un rapporto che non decolla, che causa ad Henrikh diverse notti piene di pensieri a Dortmund. Finchè non arriva Tuchel, che apre il campo ai giocatori creativi del club e sguinzaglia completamente Mkhitaryan. Il campionario di trick messi in atto da Henrikh è veramente ampio. Con entrambi i piedi è capace di servire i compagni, di creare la scintilla in un’azione apparentemente poco pericolosa. E’ in grado di dribblare in velocità, utilizzando il fisico e i suoi piedi rapidi. In campo si fida delle sue giocate, fuori si affida a Raiola, quindi sa che ogni tanto è necessario cambiare divisa, ma lo fa volentieri per passare allo United nell’estate 2016.

Stretta di mano tra Mkhitaryan e Mourinho al momento della presentazione | numerosette.eu
“Tu, dal cognome impronunciabile: dai un nome alla panchina, perché sarà la tua migliore amica”

6.

Questo è uno dei punti di svolta della sua carriera. Con Mourinho, Mkhitaryan passa in un contesto di attesa, nel quale la squadra deve aspettare le mosse avversarie. Non esattamente il massimo per lui, che aveva reso al meglio nella squadra di Tuchel, che faceva del controllo la sua istanza più importante. Con Pogba potrebbe formare un binomio tecnico e fisico devastante, ma qualcosa non funziona e la sua prima stagione ad Old Trafford lascia un po’ a desiderare. Wayne Rooney, suo compagno durante la scorsa stagione, ha sottolineato il fatto che la mancanza di offensività fosse un problema per Henrikh: “Al Manchester United non aveva abbastanza libertà per giocare come al Dortmund”, ha affermato. Questo elemento, sommato all’impazienza che ha causato un numero enorme di cessioni e acquisti importanti tra le fila dei Red Devils negli ultimi anni, ha portato Mourinho a metterlo sul piatto per arrivare a Sanchez.

7.

Mkhitaryan ha 29 anni e un talento sconfinato, che si traduce in passaggi chiave, dribbling, gol segnati che possono fare la differenza in una grande squadra. 

È un brasiliano nel corpo di un armeno.

Come molti degli sportivi che provengono dalla cultura latina, Henrikh è stato per ora un po’ troppo discontinuo: nei quattro anni e mezzo passati in grandi club, ha letteralmente dominato in una sola stagione, quella al Borussia con Tuchel. Per il resto si è limitato a dare sprazzi del suo talento e a riempire video su YouTube di sue giocate straordinarie. All’Arsenal si vive un importante momento di transizione: non si sa se Wenger rimarrà nella prossima stagione, è stato ceduto il miglior giocatore della squadra, ma ne sono arrivati altri altrettanto forti (aggiungete anche Aubameyang). Nel frattempo Henrik ha iniziato bene, distribuendo tre assist nella vittoria per 5-1 contro l’Everton. Per entrare col piede giusto nel prime della sua carriera in un contesto che, se si rivelasse adeguato alle sue caratteristiche, potrebbe elevarlo finalmente ad uno dei talenti offensivi più luminosi del calcio europeo.

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