Sta perdendo il senno, il lume della ragione. La negligenza è di tutte le parti che lo alimentano, sia chiaro. Di noi giornalisti che lo abbiamo modificato e spettacolarizzato, del continuo aumento delle cifre che lo muovono, dell’economia che cambia e rende naturali certi giochi di vincoli e decisioni. Ma non solo, perché queste dinamiche hanno legittimato – o meglio, reso noto, perché prima questa categoria viveva nell’anonimato – il ruolo di agenti e intermediari, al giorno d’oggi talvolta vere e proprie star, ben oltre al giocatore, l’ultimo tassello – non per caratura – di una catena che ha drogato il nostro protagonista: il calciomercato. Il crescente delirio di quest’ultimo è tangibile nelle ultime sessioni che lo hanno caratterizzato, dove il potere è continuativamente passato dalle mani delle società a quelle dei giocatori e dei propri entourage.

Evoluzione malsana
Tutto sta diventando lecito nella follia delle più disparate questioni che si aprono ogni giorno in questo campo. Probabilmente la visibilità regalata dal prodotto è una droga eccitante che non permette più di capire dove si ferma il pudore e iniziano la mancanza di rispetto e l’oltraggio per la decenza. I procuratori muovono le pedine e interagiscono selettivamente in base a tanti fattori: comportamenti che fanno parte di ogni modalità di lavoro e di interessi, talvolta però sentendosi in dovere di atteggiarsi da fulcro di questo settore.
I calciatori, dal canto loro, difficilmente riescono a non assoggettarsi ai propri rappresentanti, sebbene se ne possano discutere le volontà, poiché alla fine lo scopo finale è quello comune: i secondi puntano a guadagnare dai primi, a loro volta intenti nell’incasso dello stipendio più alto condizionato alla parte sportiva. Insomma, il soldo, come per tutti, è una leccornia dalla quale si è dipendenti, in un modo o nell’altro.

Il calciomercato della follia
Però ecco, si è persa la testa. Questa estate soprattutto è stata la migliore rappresentazione possibile di ciò che sta avvenendo nel ventre dell’evoluzione malsana del calciomercato. L’insolenza e il facile indispettirsi dei calciatori e dei propri entourage hanno messo le società con le spalle al muro. Il limite del pudore è stato varcato. Allenamenti “marinati”, partite saltate e certificati presentati per puntare i piedi, come i bambini viziati che davanti al problema cercano la via teoricamente più semplice.
I casi nell’attuale sessione sono molteplici. Keita Baldè, con la Lazio – squadra che negli anni ci ha abituati alle prime frontiere del “litigio di mercato” – non vuol rinnovare il contratto: fino a qui niente di male, se non fosse che per la partita di Supercoppa Italiana contro la Juventus lo spagnolo non è stato convocato dai biancocelesti, dopo numerose incomprensioni e vicende, tra cui la rissa con Lulic. Keita non si è quindi presentato alla ripresa degli allenamenti, senza prima aver dichiarato che l’esclusione gli ha “provocato un disagio psicologico del quale non sapeva valutare le conseguenze”. Il peso delle parole e il loro significato, talvolta, viene seriamente non considerato.

Sindrome da calciomercato
Ma non c’è solamente Keita: il Barcelona ha ceduto Neymar al PSG – tralasciamo l’argomento, già ampiamente trattato – mettendo nel mirino Ousmane Dembelè del Borussia Dortmund e Philippe Coutinho del Liverpool. Il primo ha inscenato una telenovela interessante, saltando allenamenti e comportandosi scorrettamente nei confronti della società. Il secondo non è sceso in campo fino a ora con i Reds a causa dei sintomi da mercato.
C’è chi la sindrome da calciomercato ce l’ha avuta veramente. O almeno secondo chi gliel’ha accordata. Stiamo parlando di Nikola Kalinic che, sulle orme dell’ex compagno di squadra Federico Bernardeschi – che presentò un certificato medico alla Fiorentina per “gastroenterite acuta” in modo da non presentarsi in ritiro, agevolando i giorni del passaggio alla Juventus – ha prima “fatto forca” all’allenamento per poi aver inviato anch’egli un certificato medico dove era dichiarato “emotivamente inquieto” a causa dello stress da mercato. Anche qui, il peso delle parole, oltre a quello delle malattie, è stato messo da parte. Perché le malattie e i malesseri, quelli veri, sono sinceramente altri e di diversa natura.

Guardando avanti
Non è finita qui: Geoffrey Kondogbia, le bizze di Leonardo Spinazzola, l’ennesimo certificato di M’Baye Niang. Niente è più calcolabile. Troppe parti in causa per poter preservare un filo conduttore dell’azione. Ognuno guarda – legittimamente – alle sue necessità, tramortendo i valori. Le società sono ingabbiate e, nel dettare legge, compiono errori e utilizzano il pugno duro, laddove possono. I giocatori, dal canto loro, sono sempre più consapevoli di poter gestire le situazioni a proprio piacimento. “Il fine giustifica i mezzi”, o quasi, in questo caso. Guardando al futuro, tra cifre folli e comportamenti variopinti, il calciomercato è destinato ad accrescere in modo crudele la propria fama da guerra d’interessi. Che poi, più o meno, il calcio è spesso lo specchio del mondo e non differenzierebbe neanche in questo.
Però dovremmo rientrare nei ranghi del pudore, finché siamo in tempo. Se ancora lo siamo.